Io non voto Giorgia è il primo libro scritto da Giovanna Musilli, docente di filosofia a Roma, che si propone di smascherare le strumentalizzazioni e contraddizioni del governo guidato da Giorgia Meloni. L’autrice Giovanna Musilli analizza approfonditamente gli strumenti e le modalità adottate dalla destra italiana, consentendo la sua ascesa al governo alle elezioni politiche del 2022. In questo senso, Io non voto Giorgia si propone di stimolare una riflessione critica nella società civile e di incoraggiare l’emergere di un “immaginario” alternativo, lontano dalla visione autoritaria e di destra che sta prevalendo in Europa.
Di seguito l’intervista a Giovanna Musilli, autrice di Io non voto Giorgia. Anatomia di una destra tutt’altro che social
Considerando i tempi difficili che stiamo attraversando, soprattutto nel nostro paese, un libro come questo appare cruciale per esplorare le peculiarità di una destra populista, xenofoba e autoritaria. Qual è stata la motivazione dietro la decisione di scrivere Io non voto Giorgia. Anatomia di una destra tutt’altro che sociale di Giovanna Musilli?
Le motivazioni che mi hanno indotto a scrivere “Io non voto Giorgia. Anatomia di una destra tutt’altro che sociale” sono tante e hanno più o meno tutte a che fare con una serie di mistificazioni ideologico-propagandistiche messe in atto da FDI con pieno successo, da almeno tre anni. Mi spiego meglio. Innanzitutto, la triste constatazione che viviamo in un paese in cui è possibile spacciare per “nuova” una classe dirigente che definire “vecchia” è un eufemismo, dal momento che i dirigenti di FDI sono quasi tutte persone che hanno militato nel MSI, poi in AN, e infine hanno orbitato nel mondo berlusconiano per venti o trent’anni, a partire da Giorgia Meloni. In secondo luogo, lo sconcerto relativo all’incredibile quanto efficacissima strategia propagandistica che è riuscita ad accreditare FDI come un partito di destra sociale, e perfino tutto “legge e ordine”. La maggior parte degli elettori ha creduto di votare un partito attento alle classi sociali fragili, sostenitore del welfare e strenuo oppositore del neoliberismo selvaggio, delle multinazionali e dell’alta finanza, pronto a sacrificare un po’ di libertà in nome della legalità, dell’ordine sociale e dei treni in orario. Ora, a prescindere dalla condivisibilità o meno di queste idee (per me NON condivisibili), in ogni caso, FDI è tutt’altro: è un partito iper-liberista, per nulla interessato al welfare, né ai servizi che uno stato sociale dovrebbe garantire ai suoi cittadini (sia pure solo agli italiani da venti generazioni!), e totalmente berlusconiano nel rapporto con la legalità, la giustizia (soprattutto penale), la certezza e la severità delle pene. Questi equivoci così macroscopici mi indignano profondamente, e mi fanno interrogare molto sulle ragioni che hanno potuto favorirli. C’è poi lo sgomento che mi suscita la marcata ostilità ai principi costituzionali che anima le classi dirigenti di questa destra, evidente dalla riforma del premierato (che condurrà l’Italia verso l’Ungheria), ma anche dall’allergia ai diritti civili e all’antifascismo quale principio fondante della nostra repubblica, misti peraltro a un turpe e inaccettabile revisionismo storico (pensiamo alle dichiarazioni di La Russa sull’attentato di via Rasella, o all’ex portavoce del presidente della regione Lazio, Marcello De Angelis, sulla strage di Bologna). Per concludere, non mi soffermo neanche sul tema della competenza. Insomma, l’angosciante interrogativo che mi si pone davanti da quasi tre anni è: come è possibile che un partito così sia stato in grado di coagulare intorno a sé un consenso tanto ampio?
Nel suo libro Ingiustizia Globale, Branko Milanovic sostiene che l’impoverimento della classe media sia una delle principali cause dell’ascesa dei populismi e dell’estrema destra. Sebbene l’elemento economico sia preponderante, cosa pensa spinga concretamente, un cittadino o una cittadina, magari anche dei ceti più bassi, a segnare una X sulla fiamma tricolore di Fratelli d’Italia?
Sicuramente l’illusione di votare un partito il cui programma si fondasse sul welfare e la protezione sociale è stato uno dei motivi principali; poi credo che abbia fatalmente contribuito un apparato ideologico identitario, semplice, rassicurante per quanto anacronistico, xenofobo e autoritario. L’italiano medio, impoverito e impotente di fronte a scenari internazionali più che angoscianti, assillato dall’incertezza oramai diventata una dimensione esistenziale (che coinvolge il lavoro, la casa, la salute e perfino le relazioni umane, la famiglia, il futuro dei propri figli), e purtroppo generalmente privo di strumenti culturali e critici adeguati, è inevitabilmente attratto da rassicurazioni a buon mercato (Dio, patria e famiglia), da soluzioni semplicistiche a problemi complessi (blocco navale/deportazione in Albania dei migranti), e anche dall’immediata identificazione con il leader, percepito come persona vicina ed empatica (“Scrivete Giorgia sulla scheda. Sono una di voi” disse la Presidente del Consiglio prima delle scorse elezioni europee). Aggiungerei che storicamente, purtroppo, l’indole italiana è portata ad affidarsi al capo che risolve i problemi in modo rapido ed efficiente, liberandosi di quei fastidiosi lacci e lacciuoli rappresentati dai pesi e contrappesi costituzionali, dalle garanzie democratiche, dai corpi intermedi della società civile, percepiti per lo più come impedimenti forieri di lentezza e inefficienza, nonché espressione delle élite economico-finanziarie (di “sinistra”, ça va sans dire) tradizionalmente contrarie a politiche di rinnovamento socio-economico. Il cittadino medio dell’Italia del 2025, purtroppo, è pronto a sacrificare un po’ di diritti e di libertà in cambio di un’illusoria protezione sociale, di un sistema valoriale consolatorio, della falsa percezione di una società legalitaria, ordinata, rassicurante. Inoltre, questa destra è molto abile a incanalare la rabbia sociale contro le minoranze (migranti, comunità LGBTQ+, islamici…), così da tutelare se stessa e tutte le élite e le lobby di questo paese, a fronte di politiche neoliberiste, antisociali, illegalitarie. Infine, conviene menzionare anche la mancanza di un’alternativa politica coesa, e altrettanto identitaria. Ma questa è tutta un’altra storia.
Un dato fondamentale che dovrebbe farci riflettere sullo stato di salute della nostra democrazia è sicuramente l’astensionismo. In Io non voto Giorgia di Giovanna Musilli lei approfondisce l’argomento inquadrandolo in una prospettiva sociale e storica. Pensa che l’ascesa di un movimento di massa, in grado di superare la logica dei partiti di sistema e rappresentare le classi subalterne, potrebbe risanare il sistema democratico e riaccendere l’interesse dei cittadini per le urne?
Questa domanda è molto difficile. Penso che – nel 2025 – probabilmente non sia più tanto utile distinguere un “partito” da un “movimento”, soprattutto se identifichiamo il partito con l’apparato e il movimento con una forma di spontaneismo autorganizzato. In effetti, ogni soggetto politico che aspiri a governare, deve dotarsi di una classe dirigente (sia pure rinnovabile), di un apparato burocratico-amministrativo (sia pure snello), di un’organizzazione capace di iniziative sui territori, di un team della comunicazione preparato e in perenne aggiornamento… Detto ciò, penso che potremmo anche accontentarci dei partiti che ci sono, se fossero in grado di costruire un’alternativa di governo a questa destra, con un’alleanza programmatica seria, comprensibile, capace di proporre un modello di società migliore di quello della destra. A mio avviso, il M5S – archiviata l’infausta esperienza Draghi, e le carte bollate tra Grillo e Conte – potrebbe tornare ad essere un soggetto politico capace di catalizzare il consenso delle masse, degli astenuti, delle classi subalterne deluse dalla destra, degli ex ceti medi oramai sulla soglia della povertà, dei cittadini liberi che non si sentono più rappresentati da una sinistra morta e sepolta. Se poi nessuna di queste eventualità dovesse verificarsi, allora sì, auspicherei la nascita di un soggetto politico nuovo e di massa, magari a partire dai movimenti pacifisti della società civile, ma per ora non mi pare che sia un’eventualità all’ordine del giorno.
Le dichiarazioni di Giorgia Meloni sul Manifesto di Ventotene hanno fatto parecchio discutere, suscitando l’indignazione del centro-sinistra. In effetti, le sue affermazioni sono perfettamente coerenti con le sue politiche; d’altro canto il PD sembra aver tradito gran parte dei valori fondamentali del manifesto che tenta ipocritamente di rivendicare. Ritiene che quella relativa al Manifesto di Ventotene rappresenti una strategia ideologica e culturale a cui il centro-sinistra ha abboccato?
Credo che l’espressione “strategia ideologica e culturale” nobiliti eccessivamente l’operazione comunicativa di “distrazione di massa” – perfettamente riuscita – messa in atto dalla Presidente del Consiglio allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal fatto che l’Italia ha supinamente aderito al folle programma bellicista e guerrafondaio di Ursula Von Der Leyen. Programma che arricchirà lobby e fondi di investimento, impoverirà noi cittadini (maturando debito pubblico e dunque pregiudicando il futuro delle nuove generazioni), e con buona probabilità condurrà l’Europa alla terza guerra mondiale. Credo, inoltre, che al cittadino medio italiano la querelle su Ventotene interessi tanto quanto il sesso degli angeli, mentre invece interessi molto l’eventualità che l’Italia in un prossimo futuro possa essere coinvolta in una guerra mondiale. Perciò, complimenti alla Meloni per l’abilità comunicativa che ha distratto il dibattito pubblico dal vero tema in questione… D’altro canto, il PD si trova nell’imbarazzante condizione di non poter rivendicare i valori fondanti dell’Europa di Ventotene, visto che ha sempre sostenuto l’invio di armi in Ucraina, in cieca obbedienza al diktat statunitense, e ora almeno metà del partito è favorevole al programma di riarmo europeo.
Il ReArm Europe è una questione ormai centrale all’interno del dibattito pubblico. Spingere gli Stati a destinare ulteriori fondi del bilancio pubblico sugli armamenti è una cosa inquietante. Tuttavia, non sembra esserci una discussione approfondita sul piano approvato dal Parlamento Europeo, limitandosi ad una superficiale controversia culturale e valoriale, sia a destra che a sinistra. Pensa che, in tempi così duri e segnati da conflitti generalizzati, possano emergere le condizioni per una reale alternativa politica e sociale?
Sicuramente il ReArm Europe, oggi ipocritamente ribattezzato Readiness Europe, non è stato oggetto di un dibattito pubblico approfondito, almeno in Italia, ma temo neppure altrove. Le uniche forze politiche che oggi fanno davvero opposizione a questo folle progetto sono – in tutta onestà – il M5S e AVS. Ci sono poi tanti movimenti nati in seno alla società civile (dalla Lista “Pace, Terra e Dignità” di Michele Santoro, all’associazione “Schierarsi” di Alessandro Di Battista) che si oppongono strenuamente al riarmo europeo, come si sono sempre opposte all’invio di armi all’Ucraina e al silenzio politico dell’”Occidente democratico” sui massacri che lo stato di Israele sta perpetrando da un anno e mezzo. Le condizioni affinché l’opinione pubblica sia indotta a una riflessione seria sulla situazione internazionale, sulla necessità inaggirabile di costruire un percorso di pace, sulla follia di riarmare l’Europa, nonché sui principi costituzionali che dovrebbero orientare l’azione di tutte le forze politiche, ci sono tutte. Credo che la maggioranza degli Italiani sia contraria a spendere denaro pubblico (per di più a debito) in armi, tanto quanto alla sventurata ipotesi di una futura guerra dell’UE contro la Russia, in nome della sublime sintesi recentemente operata dall’illustre professor Zagrebelski quando ha detto: “Preferisco una pace ingiusta alla ʽmorte giustaʼ di innocenti”. Perciò, se tutte le forze che rifiutano il piano di riarmo e perseguono la pace ad ogni costo, oggi presenti in Italia decidessero di avviare un’operazione culturale di massa, sorretta da una strategia comunicativa ben organizzata e capillare, penso che avrebbero buone possibilità di mobilitare la maggioranza dei cittadini italiani.
Io non voto Giorgia. Anatomia di una destra tutt’altro che sociale di Giovanna Musilli è il suo primo saggio edito da Graphofeel. Ha già in mente dei progetti per il futuro? Se sì, quali e come intende perseguirli?
L’indignazione e il senso di impotenza che ho provato in questi ultimi anni certamente mi inducono a non perseguire il lathe biosas (oggi potremmo trasporlo nell’espressione “ripiegati nella dimensione privata”) consigliato da Epicuro. Mi prefiggo, infatti, come obiettivo immediato un impegno civile serio e continuativo, secondo le mie possibilità. Ad esempio, sto finendo di scrivere un secondo saggio, indirizzato a interrogarmi sulle ragioni che hanno contribuito negli anni a rendere quasi impronunciabile la parola “sinistra”, e a chiedermi se davvero principi quali la giustizia sociale, la pace, il welfare siano così anacronistici come ad oggi sembrano a gran parte degli elettori italiani.
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