“Il mio soggiorno presso la libreria Morisaki durò dall’inizio dell’estate fino alla primavera. Abitavo sommersa dai libri in una stanza al primo piano, un ambiente buio e angusto, umido, pervaso dell’odore di muffa tipico della carta vecchia. Ciò nonostante, il ricordo di quelle giornate è ormai parte di me perché è proprio lì che la mia vita, la mia vera vita, è cominciata. Senza quell’esperienza tutto sarebbe stato molto più scialbo, banale, piatto”.
Comincia così I miei giorni alla libreria Morisaki, romanzo d’esordio di Satoshi Yagisawa (Chiba, Giappone, 1977) pubblicato da Feltrinelli e vincitore del prestigioso premio Chiyoda, divenuto ben presto, superando ogni aspettativa, un caso editoriale prima in Giappone e poi in Europa.
Takako è una ragazza di venticinque anni dalla vita piatta che, quando viene improvvisamente a sapere che l’uomo di cui è innamorata si sposa, sprofonda ancor di più nell’accidia e nel grigiore della propria vita. Nel momento più difficile, però, riceve una chiamata inaspettata dall’eccentrico zio Satoru che non vedeva da anni. Accettato di incontrarlo si ritroverà a dover prendere una decisione che cambierà per sempre la sua vita o, meglio ancora, il suo modo di approcciarsi ad essa: trasferirsi al piano superiore della libreria dello zio a patto che gli dia una mano con la gestione del negozio. Satoru, infatti, è proprietario della libreria Morisaki, una piccola libreria di libri usati ubicata nel quartiere di Tokyo chiamato Jinbōchō.
Takako, superate le prime remore, inizierà così questo nuovo periodo della propria vita, entrando di fatto a far parte di questo strano ma affascinante micromondo che è il quartiere. Il rapporto con lo zio, la conoscenza di alcuni clienti storici della libreria e, soprattutto, la riscoperta passione per la letteratura, le faranno capire cosa vuole davvero dal proprio futuro.
Il romanzo, diviso sostanzialmente in due parti che rappresentano due snodi precisi della storia, anche se collegati tra di loro, si presenta come una lettura particolarmente leggera, “da ombrellone”, che cerca di affrontare temi sicuramente interessanti ma senza farlo con abbastanza profondità da poter scuotere qualcosa nell’animo del lettore. Il comportamento e il carattere dei personaggi sono poco stratificati, mancano forse di spessore e si fatica, a parere di chi scrive, ad empatizzare con questi ultimi.
Il vero protagonista è il quartiere in cui è ambientata quasi interamente la storia che ci viene narrata: Jinbōchō. Il quartiere di librerie più grande del mondo. Nei momenti in cui l’autore descrive quelle strade, quei vicoli, quei negozi, quei bar, allora sì che il lettore inizia a vagare con l’immaginazione ritrovandosi sperduto per Tokyo alla ricerca di un libro usato da acquistare o di un locale in cui sorseggiare un buon caffè. Le trame (e sottotrame) dei vari personaggi sono purtroppo troppo deboli ma, soprattutto, troppo poco dettagliate per poter lasciare un segno indelebile.
Una lettura piacevole, a tratti spensierata, anche se non proprio indimenticabile, che ha come palcoscenico un luogo che, questo sì, viene voglia di voler scoprire.
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