I testamenti di Margaret Atwood: Gilead 15 anni dopo

I testamenti

I testamenti, edito nel 2019 dalla casa editrice Ponte delle Grazie, è l’attesissimo seguito del romanzo Il racconto dell’Ancella, capolavoro della Atwood del 1985 e da cui è stata tratta una serie di enorme successo. Dato alle stampe ben 34 anni dopo il primo romanzo, I Testamenti ne ripropone le stesse atmosfere asfissianti e, a tratti, angoscianti. Le costrizioni, gli obblighi, la pressione, la disuguaglianza, la segregazione, la sottomissione, il trauma del non sapere niente del sesso se non in termini di peccato arrivano dritti allo stomaco, come un pugno. Con questa narrazione a più voci, l’autrice non solo catapulta nuovamente il lettore negli abissi profondi di Gilead, ma getta nuova luce su questo universo distopico, mostrando anche che non sempre è tutto come sembra.

I Testamenti, femminismo e libertà

I Testamenti prosegue idealmente la trama del primo romanzo, mantenendone atmosfere e ideali. Come Il racconto dell’Ancella, anche I Testamenti è ambientato nell’immaginaria Repubblica di Gilead sorta alla fine del XX secolo negli USA. Si tratta, per chi non lo sapesse, di una società fortemente partriarcale e piramidale, di ispirazione biblica, retta dai Figli di Giacobbe, in cui le donne non hanno libertà di parola né di pensiero; sono dei meri oggetti nelle mani degli uomini, siano esse Mogli o Ancelle.

Mentre Il racconto dell’Ancella presenta una Gilead nel pieno del suo sviluppo, la società de I Testamenti è impegnata in una rivolta silenziosa, ma non per questo meno fatale. Attrici di questi fermenti sono proprio le donne, esseri  vessati e, allo stesso tempo, venerati. Voci narranti sono una zia, una futura moglie e una adolescente canadese, che offrono tre diversi punti di vista che, unito a quello di Offred per il primo romanzo, offrono un quadro ben più delineato del delirante mondo di Gilead. Partendo dalle due narratrici “minori”, possiamo dire che la futura Moglie, Agnes Jemima, e la ragazza canadese, Daisy, sono due facce della stessa medaglia: pensieri, comportamenti, modi di vivere sono segnati dalle loro differenti origini.

Si sa che l’ambiente influenza la persona e il modo in cui essa guarda il mondo, e così quei principii che Agnes percepisce come assolutamente normali appaiono mostruosi a Daisy e a noi lettori. Agnes non sa cosa c’è al di là di Gilead, non conosce altro che la cieca obbedienza alla volontà maschile; Daisy invece è cresciuta nel “nostro” mondo, vede Gilead come un luogo in cui i diritti fondamentali delle donne vengono costantemente violati, è animata da uno spirito ribelle verso una società che percepisce come ingiusta non rendendosi conto di quanto, per certi aspetti, sia simile alla nostra realtà quotidiana. Agnes racconta di una vita di sottomissione, una vita di paura dell’ignoto, una vita in cui, per il solo fatto di essere nata donna, è destinata ad essere considerata inferiore, impura, inetta, fonte di peccato.

Delle tre narratrici, tuttavia, quella che più colpisce è Zia Lydia, della quale nel primo romanzo abbiamo conosciuto la crudeltà e l’inflessibilità. Ne I Testamenti vediamo formarsi delle crepe nel granitico muro delle sue convizioni, che la portano a sfruttare la sua capacità di manipolazione per minare dall’interno il sistema di Gilead, che lei ha contribuito a far nascere e che ora vede tanto deteriorato da meritarsi la dissoluzione. Zia Lydia è un “cattivo, ma non troppo“, una di quelle persone che usano la crudeltà come arma per sopravvivere in un mondo che potrebbe ucciderle, cercando di fare il “meno peggio” per piegare le cose in modo che non siano dannose prima di tutto a loro stessi, e poi, se possibile, anche ad altri. Proprio una frase pronunciata da Zia Lydia rachiude il senso di questo romanzo: “La storia non si ripete, ma fa rima con sé stessa“. 

La dittatura di Gilead non è tanto diversa dalle altre mille dittature che, in ogni tempo e in ogni luogo, si sono succedute. Gli abusi psicologici e fisici che subiscono le donne in questo mondo parallelo e distopico non sono altro che lo specchio di quelli che oggi, nella realtà quotidiana, molte donne sono costrette a subire. Come quelle di Gilead, anche le donne del nostro presente sono spesso private della loro voce e dei loro diritti, sottomesse ad una società maschilista che le vuole in catene. La forza di questo romanzo, come di quello che lo precede, sta proprio nel mostrare il lato peggiore della nostra epoca come se fosse qualcosa di lontano da noi.

Di primo acchito non riusciamo a mettere in relazione il nostro mondo con quello creato dalla Atwood. Ma poi, forte come un pugno, ne diventiamo consapevoli. E allora la forza femminista che pervade il romanzo diviene ancora più evidente e importante.

La ribellione che le tre protagoniste, ognuna sfruttando i propri mezzi, mettono in atto, non è altro che l’emancipazione che l’autrice auspica per tutte le donne del mondo.

Fonte immagine copertina: Ufficio Stampa

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