Tra quartieri altolocati, famiglie gelose dei propri segreti e reporter spiantati dai metodi investigativi poco ortodossi si snoda la vicenda narrata da Howard Owen ne Il country club, pubblicato da NNEdizioni e tradotto da Chiara Baffa, secondo libro che vede come protagonista Willie Black, “un rognoso reporter purosangue” a cui è difficile non affezionarsi più o meno subito.
La storia prende spunto dal lavoro che l’Innocence Project ha svolto negli Stati Uniti da trent’anni a questa parte riaprendo casi giudiziari ormai chiusi da decenni alla luce di nuovi esami, come per esempio l’analisi del DNA delle vittime. Vecchi delitti dimenticati riaffiorano a galla, facendo tremare chi pensava di averla scampata e dando nuova speranza a chi è invece stato incastrato dagli ingranaggi lenti di un pigro sistema giudiziario. Willie Black ricorda il processo di Richard Slade, un ragazzo nero che fu condannato ingiustamente per lo stupro di Alicia Simpson, bianca e di buona famiglia, avvenuto nel country club più esclusivo di Richmond, il Quarry. Dopo trent’anni di carcere viene scagionato, e qualche giorno dopo Alicia viene uccisa con tre colpi di pistola. Gli occhi della polizia si posano su Richard, che non ha un buon alibi, ma Willie non è convinto.
La vicenda che ci racconta Howard Owen ci parla di Richmond, cittadina dove una calma apparente nasconde un Sud statunitense che non è mai davvero cambiato, ovvero dove un ragazzo nero può essere incarcerato senza troppe prove per la sola parola di un bianco. Sembra incredibile che a farsi strada in questa confusa congerie di pregiudizi razziali e segreti di buona famiglia sia un poco elegante giornalista pluridivorziato con qualche problema con la bottiglia, eppure è proprio così. Più diverse parti e controparti cercano di dissuaderlo a disseppellire la verità dei fatti, più Willie Black recupera una qualche forma di onestà professionale e un certo qual senso di giustizia.
“In un mondo perfetto, non sarebbe un uomo imperfetto come me ad aiutare il mondo a farsi un’opinione sulle cose.”
Willie Black è un giornalista talentuoso. Il suo intuito e la sua sete di verità, gli hanno procurato una certa notorietà. Ma la sua mancanza di diplomazia e l’inosservanza dell’autorità dei superiori sono state fonti di guai e sospensioni. Willie è un tipo bizzarro ed indipendente. Ha tre ex mogli, una figlia alla quale paga le rette universitarie, occasionali avventure amorose e diverse bevute al bar quando le cose non girano come vorrebbe. Un cinquantenne mai cresciuto, una sorta di “cane sciolto”. Inaffidabile, imprevedibile, ma molto intraprendente. Nonostante la sua pelle bianca, egli ha origini afroamericane. Origini che va riscoprendo e nelle quali, attraverso la conoscenza, va riconoscendo via via sempre di più. Tutto questo attraverso l’indagine per scagionare il giovane Slade.
“Ormai essere di “etnia mista” non è più un gran problema. Anzi, mescolare le etnie potrebbe essere l’unica cosa in grado di salvare il nostro ottenebrato paese, anche se sono sicuro che troveremmo qualche altro motivo per odiarci a vicenda”
Una narrazione disillusa ma ironica, scettica ma di ottima compagnia è la caratteristica che fa de Il country club di Howard Owen una lettura davvero piacevole e soddisfacente. C’è tutto: l’ambientazione – ormai familiare al pubblico italiano – in una piccola cittadina americana, i segreti, i pregiudizi, ma anche l’amicizia, il coraggio e, ultimo ma non meno importante, il lento risveglio di una pigra coscienza di fronte all’ennesima ingiustizia perpetrata. Un errore giudiziario, forse, che diventa occasione per uno spaccato della società degli stati del Sud dell’America con relative ristrettezze mentali, pregiudizi, autoreferenzialità e divari sociali molto netti.
Il libro mostra un’America reale, quella dove i ricchi allungano gli artigli del potere pur di preservare una parvenza di irreprensibilità. Pronti a celare verità scomode, a fare squadra, a rendere torbide le acque della giustizia. Lo stupro subito da una giovane rampolla dell’alta società scatena reazioni a catena in una trama che non dà tregua. Accusato ingiustamente è Richard Slade e non bastano trenta anni di carcere a cancellare una colpa inesistente. Willie segue il caso con pazienza ed intelligenza, ricostruisce gli eventi utilizzando un metodo preciso. Usa la testa e il cuore, non si lascia intrappolare da piste fuorvianti. Il costrutto narrativo mostra una padronanza linguistica e stilistica da fuoriclasse. Howard Owen racconta il razzismo senza eccedere in stereotipi. Ne mostra gli aspetti sociali, destruttura una subcultura purtroppo dominante. È incisivo perché dà voce a quella parte di popolazione che combatte ogni giorno. Restituisce dignità agli ultimi, regala un barlume di speranza.
Da leggere e far leggere come testimonianza forte di una resistenza silenziosa ma forte, imbattibile, coraggiosa.