Recensione de Il nome della madre, il secondo romanzo di Roberto Camurri pubblicato da NN Editori il 28 maggio di quest’anno.
Roberto Camurri, breve biografia
È nato nel 1982 a Fabbrico, a detta sua; “un paese triste e magnifico di cui è innamorato forse perché è riuscito a scappare“. Attualmente vive a Parma ed è sposato con Francesca con cui ha una bambina. Lavora per una cooperativa sociale che ha a che fare con la disabilità mentale e che lo ha aiutato molto nel tentativo di eliminare ogni tipo di giudizio, nel suo pensiero e nel suo modo di trasporlo nei racconti che scrive; è così che ha elaborato il suo primo romanzo A Misura D’Uomo, con cui nel 2018 vince il Premio Pop e il Premio Procida. È stato tradotto in Olanda ed è in corso di traduzione in Spagna.
Il nome della madre è il suo secondo romanzo. “Il mio avvicinarmi alla scrittura ha un inizio particolare, ero in terza elementare e la maestra ci aveva detto di fare un tema a piacere e, dopo aver scritto quattro fogli protocollo, mi son detto che scrivere era la cosa più bella del mondo”. È un autore giovane, dall’animo sensibile, che osserva e ascolta le svariate realtà che lo circondano ma che con grande sensibilità riesce a portare alla luce storie di una straordinaria bellezza.
Il nome della madre, recensione
Questo romanzo è uscito il 28 maggio 2020 per NN Editore. E’ una storia familiare, intima ma profonda, che attraversa la vita di Pietro, figlio di Ettore, dalla corsa in ospedale quando si sono rotte le acque, il suo primo pianto, l’odore della pelle del neonato, ai primi gemiti infantili, fino all’abbandono della madre che senza spiegazioni se ne va. Ettore non lo accetta, aspetta un suo ritorno, la cerca nei ricordi, nei lineamenti del figlio che le assomiglia così tanto, ma nel frattempo Pietro cresce; “hai le labbra tutte screpolate, gli aveva detto la maestra a scuola durante l’intervallo. Sono cose che vede una mamma, gli aveva detto.”
In quel pesino; Fabbrico, le loro vite scorrono in quelle righe malinconiche e pensierose, alla ricerca di un sentimento perduto, del loro essere, tra la vita di campagna lenta e faticosa, nei campi verdi e i pascoli, sognando quella di città, verso un futuro diverso ma sempre vuoto, perché lei non c’è . Pietro sente un conflitto con quel paese, con il padre, con il mondo che non capisce e con la voglia di scoprirlo; “Sente gli odori freschi di quell’estate, dell’erba appena tagliata che riesce a entrare perché sta guidando piano, senza la voglia di tornare a casa, “l’odore di una stalla che gli penetra nelle narici e gli fa grattare il naso”.
Nel rapporto difficile con il padre e con se stesso arriva uno spiraglio; Miriam. La ama ma non sa come affrontare quei sentimenti, non li comprende, lei lo rassicura ma l’animo di Pietro è inquieto sempre alla ricerca di quella figura oscura, ignota a cui vorrebbe dire tante cose; la madre. “E lui, con arroganza, le disse, sposami. E lei, seria, gli si avvicinò di nuovo, gli accarezzò il viso con le dita, si alzò sulle punte dei piedi per baciarlo, un bacio che fu lungo, in cui lei gli infilò le dita nei passanti dei jeans per stringerlo a sé, per sentirlo eccitato, un bacio che lei interruppe per dire, non tagliarti mai i baffi.”
Stile del romanzo
Roberto Camurri è impetuoso, la sua scrittura riecheggia ma è allo stesso tempo semplice e permette di entrare in contatto con la vita dei personaggi. Cresci con Pietro, vedi i suoi primi passi, le giornate di scuola in quella piccola Fabbrico, l’adolescenza che avanza e che porta dubbi e rancore per una figura assente, il padre che non lo capisce e gli scontri tra di loro, il nonno che cerca di condividere con lui la passione per i cavalli, senti il suo dolore e la gioia di quando sta con Miriam, vedi la sua vita che scorre e si intreccia con la tua. Quando finisci di leggere hai la sensazione di di aver vissuto una vita non tua, ma ti lascia il ricordo indelebile di quei sentimenti che forse un po’ ti preparano, ti insegnano, sussurrano prepotentemente alla vita.
Fonte immagine copertina: ufficio stampa.