Il peso delle parole, di Pascal Mercier | Recensione

Il peso delle parole, di Pascal Mercier | Recensione

Il peso delle parole” edito Fazi Editore – dalla collana Le strade – pubblicato nel settembre del 2022 con la traduzione di Elena Broseghini è il nuovo romanzo di Pascal Mercier (Das Gewicht der Worte pubblicato ufficialmente nel 2020 in lingua originale).

Dopo il successo di “Treno di notte per Lisbona” (Nachtzug nach Lissabon) vincitore nel 2007 del Premio Grinzane Cavour per il miglior romanzo straniero, Mercier torna con un nuovo romanzo narrativo dove le parole sono le vere protagoniste.

Pascal Mercier, biografia

Peter Bieri è uno scrittore e un filosofo svizzero nato a Berna nel 1944. Ha studiato filosofia, anglistica e indologia a Londra. Ricercatore scientifico su studi di filosofia della psicologia, gnoseologia e filosofia morale. Avvalendosi dello pseudonimo di Pascal Mercier, negli anni Novanta ha dato il via alla sua carriera di romanziere. Pseudonimo dato dal connubio di due cognomi: quello del filosofo francese Blaise Pascal e quello dello scrittore francese Louis-Sébastien Mercier.

Il peso delle parole, di Pascal Mercier: trama

Simon Leyland, affascinato sin da piccolo dalle lingue e con il sogno di voler imparare tutte quelle parlate nei paesi affacciati sul Mediterraneo – compreso il maltese – dedica la sua intera esistenza alle parole e diventa traduttore. La sua vita bazzica tra Londra e Trieste, dove si trasferisce con la moglie Livia dopo che quest’ultima eredita la casa editrice del padre. Leyland, a seguito di una diagnosi errata, si vede costretto a dover ricominciare la propria vita da zero e si ritrova catapultato a Londra, complice anche la casa di Hampstead lasciata in eredità dallo zio Warren Shawn – professore di lingue e culture orientali – dopo la sua scomparsa. Proprio nel luogo dove ha visto coltivare la sua passione per le lingue del Mediterraneo. Quella casa che nel tempo gli farà acquisire chiarezza sulla sua vita futura.

Tutto ciò che per lui avesse mai contato erano le parole. Ogni cosa esisteva realmente solo quando veniva nominata e formulata in parola. Non l’aveva deliberatamente scelto, gli era capitato ed era stato così fin dall’inizio. Spesso aveva desiderato di essere-presso le cose senza parole, essere-presso le cose, essere-con gli altri, i sentimenti e i sogni, ma ogni volta puntualmente si erano frapposte le parole. Faceva esperienza delle cose solo quando le afferrava per il tramite della parola, diceva talvolta, e allora la gente lo guardava incredula. Solo con Livia non aveva avuto mai bisogno di parole.”

Nelle prime pagine del romanzo di Pascal Mercier, viene racchiusa così la figura di Simon Leyland e della sua completa dedizione alle parole. Ma le stesse parole e la loro bellezza, gli davano l’impressione che stesse dimenticando un altro tipo di bellezza: quello della natura. Che avesse vissuto sperando che la sua vita iniziasse da un momento all’altro, come se non fosse stato realmente presente e che stesse aspettando qualcosa. “Ma cosa?” si chiedeva e ancora Che cosa ho fatto del tempo della mia vita?” non sentendosi mai parte integrante di un posto, sentiva la vita sgretolarsi e solo quando era immerso in qualche traduzione – e appunto nelle parole – si sentiva al riparo. Parole che però non erano mai le sue, erano il frutto di un pensare altrui.

Nelle parole Leyland ricercava la sonorità che emanavano, il ritmo che ne derivava e il loro significato. Un sentire che condivideva con sua moglie Livia: “a volte sembrava loro di vivere in uno spazio sonoro-semantico del tutto peculiare, uno spazio privatissimo precluso agli altri.” Moglie con cui, a seguito della sua morte prematura, avvia una corrispondenza epistolare volta non a tenerla ancora in vita ma a trovare la sua voce interiore, quella dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti – a dispetto di quella che aveva usato per anni. L’idea di avvicinarsi a sé stesso attraverso la scrittura e di cercare la sua voce. Voce che poi ritroverà attraverso la storia di Louis Fontaine.

La narrazione di Pascal Mercier

Il peso delle parole” di Pascal Mercier è un romanzo circolare con una cornice narrativa: tutto inizia e finisce seguendo un filo conduttore che è l’arrivo a Londra alla stazione con il “Welcome home, Sir” dell’addetto al controllo passaporti. L’arrivo alla stazione ha una duplice chiave di lettura: all’inizio lo si vive come un sentimento di smarrimento del protagonista, che si trova catapultato di nuovo a Londra con un futuro tutto da riscrivere a seguito di un errore medico che gli ha fatto predisporre la vendita della casa editrice della moglie – a cui lui era subentrato come proprietario subito dopo la sua scomparsa; alla fine vi è la certezza di aver scoperto la sua vera voce e del fondersi di Trieste e Londra che fino ad allora avevano caratterizzato due binari differenti su cui proseguire la sua vita. Quel “Welcome home” aveva il sapore del risveglio.

Il ritmo usato da Pascal Mercier nel romanzo appare lento, dato dalle continue digressioni create dall’autore. Digressioni dove prendono voce anche le storie di altri personaggi, come quelle di Andrej Kuzmín, di Pat Kilroy o Kenneth Burke che insieme al personaggio principale sono immersi nelle parole, nella musica, nella cultura. L’accortezza che ha Pascal Mercier nel descrivere le ambientazioni riesce a trascinarti nel racconto e catapultarti nei posti più significativi che vive il personaggio di Simon Leyland; in un secondo ci si trova al Molo Audace sul Golfo di Trieste o nella metropolitana londinese più antica del mondo – The Tube –.

Della bellezza del romanzo ha una parte non poco significativa la traduzione di Elena Broghesini che nel lasciare alcune parole – o addirittura periodi – in lingua originale ha creato una sintonia con il personaggio stesso di Leyland; quasi a non far perdere il loro significato madre traducendoli in un’altra lingua la cui sonorità e il cui contenuto apparivano differenti.

Il peso delle parole” è un elogio alla letteratura, alle parole, molte le citazioni di vari autori di ogni nazionalità – Pavese, Proust, Flaubert, Pirandello, Camus, Dante, Dostoevskij e altri ancora -. È un elogio al bello, alle emozioni che suscitano i libri, ma anche la musica, quella classica che può far da accompagnatrice alle sonorità che emanavano le parole – come quella di Bach più volte citata all’interno del romanzo.

Una lettura che va assaporata lentamente, altrimenti si rischia di non catturare a fondo ogni piccolo particolare.

Fonte immagine: Fazi Editore

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