Il sorriso di Caterina è un romanzo storico del filologo, storico e docente di letteratura italiana Carlo Vecce. Il romanzo, di recente pubblicazione (2023), risulta essere innovativo, fresco e brillante. Il sorriso di Caterina è un romanzo che ha come protagonista Caterina, la madre di Leonardo da Vinci e tratta, in modo estremamente particolare, la vita e l’aura mitica che circonda l’esistenza di questa donna. In realtà, è stato proprio Carlo Vecce ad aver avanzato l’ipotesi che questa donna sia la madre di Leonardo, donna su cui è regnato il mistero fino a tempi recentissimi e solo in poche occasioni s’è cercato di far luce sull’identità della donna che ha messo al mondo Leonardo.
Carlo Vecce alla fine de Il sorriso di Caterina, precisamente nell’ultimo capitolo, prende finalmente parola e ricostruisce in maniera filologica ed accurata -senza abbandonare momenti di alta qualità narrativa, con un certo pathos e una certa enfasi-, il lavoro che ha svolto nel corso degli anni e ricostruisce passo dopo passo (sulla base di studi, fonti e documenti) come egli stesso è arrivato a tale intuizione e conclusione. L’autore afferma che il nome “Caterina” fu rinvenuto in alcuni documenti fiscali del 1839, in cui Antonio da Vinci dichiarava quante persone fossero presenti in famiglia, proprio per redigere il documento catastale. Inoltre, altro documento appartenente ad Antonio da Vinci fu rinvenuto nel 1931 presso gli archivi fiorentini ed egli su un protocollo notarile annotò le nascite dei suoi figli e anche di questo suo primo nipote, Leonardo, rivelando che questa creatura era nata alla luce del giorno, allo scoperto, in un luogo in cui tutta la gente sapeva più o meno le vicende o i retroscena, perché, effettivamente, egli non nascose la nascita, anzi, la rese indelebile. Un altro indizio emerse, invece, nel 1872 grazie ad un’antica biografia cinquecentesca circa Leonardo, che insinuava in modo preponderante che quest’ultimo fosse nato da una relazione extraconiugale, o meglio, che fosse figlio del peccato. Ancora poi, lo stesso Leonardo in alcuni suoi appunti, diari e taccuini menzionava una certa Caterina, a cui destinava parte del suo denaro per permetterle di curarsi e provvedere a sé stessa (e questo stesso riferimento reale è anche riportato esattamente nello stesso romanzo).
La storia ha spesso ignorato segnali e indizi; ma la letteratura ha, invece, colto prima di tutti, e meglio, queste proposte. Dunque, non ci stupisce che sia stato un romanziere il primo ad aver parlato della madre di Leonardo da Vinci, ovvero, Dmitrij Sergeevic Merezkovskij, per il quale la madre di Leonardo era una certa Caterina, una giovane donna di sedici anni che lavorava presso una taverna, luogo in cui avrebbe conosciuto Piero, padre di Leonardo, e lo stesso nascituro con il tempo sarebbe, poi, stato affidato ai nonni paterni, continuando a mantenere rapporti estremamente forti con la madre (che lo visitò a Milano, come ricorda Leonardo in una sua nota). Inoltre, negli ultimi decenni c’è stato un personaggio ossessionato dalla madre di Leonardo, ovvero, lo storico Renzo Cianchi, che negli anni ‘70 ha pubblicato vari saggi e dissertazioni circa questa donna e nel 2008 ha avuto un’intuizione fortuita e straordinaria: in un documento catastale un certo Vanni di Niccolò di ser Vanni, forse un usuraio, assegnò a Piero da Vinci l’usufrutto di una casa a Firenze, a cui non subito Piero ebbe accesso (a causa del fatto che il bene fu confiscato). Cianchi cercò di ricostruire a ritroso il rapporto tra questi due uomini e in un documento l’imbroglione richiedeva che una certa Caterina, una schiava, dovesse essere affidata alla moglie, Monna Agnola, ed è naturale chiedersi se i due giovani non abbiano iniziato tra quelle quattro mura la propria relazione. Tuttavia, il documento su cui bisogna gettar luce è un testo notarile appartenente alla famiglia Castellani, in cui si menziona che la balia di famiglia, Caterina, è stata liberata e il documento fu proprio redatto da Piero da Vinci il 2 novembre del 1452; infatti, in questo caso, la scrittura di Piero non è ferma e stabile come al solito, ma tremolante e palpitante, confusa, annebbiata.
A partire da questi documenti, Carlo Vecce crea la propria proposta e organizza Il sorriso di Caterina, un romanzo storico, più o meno corposo e molto intenso, vivido, chiaro, emotivo e trepidante. La struttura del romanzo è estremamente chiara e limpida: si compone di 13 capitoli, cadauno affidato alla narrazione e alle memorie di un personaggio che si è relazionato con la protagonista e che in qualche modo ha tratto beneficio dalla sua natura allegra, sagace, acuta, astuta e brillante. Infatti, sono notevoli le tecniche formali e gli strumenti adoperati dall’autore per dar vita all’esistenza di Caterina. Ogni personaggio qui presente, in maniera polifonica, offre il proprio punto di vista e momenti della propria vita per poi parlare della giovane, di come questa donna è entrata nelle loro vite, alcune volte silenziosamente e in punta di piedi, altre volte, invece, in maniera chiassosa e dirompente. Caterina ha conosciuto moltissime persone, diverse tra loro, a cui ha donato un po’ di sé stessa, a cui ha insegnato ad amare, a essere liberi, a cui ha insegnato ad apprezzare il dono della vita e dell’innocenza, a cui ha insegnato anche i misteri del bene e del male.
Il sorriso di Caterina può pienamente essere definito un romanzo storico per infiniti motivi. Innanzitutto, il romanzo ha luogo in territori reali, menzionati e conosciuti ampiamente: le zone in cui la nostra protagonista affronta le proprie peripezie sono svariate e descritte in maniera austera e fedele, e lo sfondo appare, così, mobile e dinamico: si parte dalla Circassia, fino ad arrivare a Costantinopoli, passando per i punti nevralgici dell’epoca che riguardavano la pirateria, la marineria, il commercio e gli scambi, fino a giungere a Venezia, e poi anche Firenze, Pisa e i piccoli borghi e campi provinciali. Inoltre, i periodi storici affrontati dal romanzo (la fine del 1300 ed il 1400) vedono la descrizione di vicende e vicissitudini reali, descritte con minuzia di dettagli, con estremo rigore e attenzione: la Storia viene rispettata, non viene deformata, nascosta, manipolata, c’è rispetto per tutti i personaggi, grandi e piccoli, che hanno contribuito a costruire la società della fine del Medioevo e dell’inizio dell’Umanesimo. Quindi, il romanzo tratta di eventi, situazioni, usi, costumi, abitudini e luoghi reali, in maniera rispettosa e certosina.
In secondo luogo, nonostante buona parte degli eventi narrati siano realmente accaduti, vi è molto spesso l’incursione della fiction. È opportuno ricordare che la presenza della finzione non incide sugli eventi realmente accaduti: la fiction non toglie veridicità, verosimiglianza o credibilità a quanto descritto; infatti, l’inserzione di elementi narrativi ed inventati serve a costruire una trama un po’ più forte, che possa essere opportunamente sia descrittiva sia narrativa. L’elemento della finzione inserisce unicamente dati, elementi, discorsi e circostanze che sarebbero potute accadere, con un’altissima probabilità, ma che non si sono verificati, o almeno, non se ne ha la certezza. Seguendo questa logica, infatti, l’incipit del romanzo (e i primi capitoli, in generale) sono avvolti da una logica misteriosa, ammaliante e affascinante proprio perché Carlo Vecce si affida ad alcuni topoi per descrivere il vago e l’indefinito, luoghi ormai lontani e di cui si sa ben poco. È per questo che la prima parte del romanzo sembra immersa in un alone di antichità, mistero, spontaneità, purezza, sacralità, austerità, ma anche nel misticismo e nell’esotismo. I primi capitoli del romanzo, che descrivono l’infanzia e l’adolescenza di Caterina, corrispondono ai capitoli in cui vi è una ricostruzione un po’ più fantasiosa della vita di questa donna, proprio perché non si hanno testimonianze, fonti e documenti: l’unico modo per creare l’identità della giovane protagonista era rivolgersi e affidarsi alla sua stessa cultura di partenza, denotata da una religione estremamente presente e caratterizzata dalla forza della simbologia, dei miti, delle leggende, delle superstizioni, in cui l’essere umano crea un rapporto con la natura che va oltre la sintonia, che arriva fino a creare un’osmosi completa, una sinergia perfetta. Quindi, Caterina è connotata intrinsecamente della materia del suo luogo d’origine: la sua bellezza, le sue passioni, le sue capacità, la sua devozione e la sua attitudine libera e senza freni, regole o precetti derivano implicitamente dalle sue radici prive di peccato e non contaminate dall’incomunicabilità, che domina la moderna Babilonia, ovvero, il mondo “civilizzato”. Quindi, in un certo senso, in questa prima parte del romanzo non solo predomina la fiction, ma anche uno stile molto più poetico, esoterico, virtuoso e aulico proprio perché la materia che si deve trattare è elevata, complessa ed estremamente intrecciata. In sostanza, lo stile ed il registro, in questo caso, sono correlati al grado di ricostruzione storica avvenuta attraverso le fonti.
In più, un’altra caratteristica propria del romanzo storico, che si ritrova in Il sorriso di Caterina, è il tratto dell’onniscienza: la storia della madre di Leonardo è una storia che viene vista da diverse prospettive, da diverse angolazioni, assumendo quasi la forma d’un romanzo corale; tuttavia, in fin dei conti, è l’autore stesso che guida in una certa direzione, univoca, le testimonianze e le pseudo autobiografie dei vari personaggi. Quindi, tratto correlato a questa dimensione è che lo stile e la lingua cambia continuamente di capitolo in capitolo; infatti, il linguaggio può essere definito specialistico, specifico e settoriale (circa: usi, costumi, consuetudini, metodi di navigazione, utensili, attrezzi, armi). Ancora poi, alla fine del romanzo, compare la voce dell’autore stesso, come già notato, che chiarisce ulteriormente e definisce in maniera ancora più esemplificativa la traiettoria tracciata circa la vita e le esperienze di Caterina.
Altra caratteristica che sembra avere un ruolo preponderante è l’intertestualità. Il sorriso di Caterina crea un forte legame letterario con tutta la narrativa precedente. In più e più punti costituisce un altro nodo della letteratura, che la ravviva e la colora ulteriormente. Una delle prime correlazioni che potrebbe essere desunta leggendo le prime pagine del romanzo è, indubbiamente, con Gabriel García Márquez, in particolare con il suo romanzo Dell’amore e di altri demoni poiché in questo romanzo Márquez coglie come spunto una situazione reale. L’autore, in occasione di una stesura di un articolo, ha l’illuminazione di scrivere questo romanzo dopo esser venuto a conoscenza dell’esistenza del cadavere di una giovane donna, dai lunghissimi capelli rossi, in un convento, che gli fece ricordare la leggenda di una ragazzina, che spesso gli raccontavano da bambino. Sia Dell’amore e di altri demoni sia il Il sorriso di Caterina, nella sua prima parte, sono caratterizzati da un forte legame ai riti ancestrali, alle tradizioni autoctone, alle leggende, alle superstizioni, ai miti e a una religione primordiale e primitiva; inoltre, lo stile è estremamente poetico, musicale, armonioso e sopraffacente, grazie al ricorso alla mitologia e alla magia.
Altro romanzo con cui Il sorriso di Caterina potrebbe creare una catena di intersezione è L’Alchimista di Paulo Coelho poiché entrambi i protagonisti non demordono dinanzi alle ostilità e alle difficoltà che la vita può porre davanti a loro. I due protagonisti, attraverso il loro viaggio e le loro peripezie, sono chiamati -anche se per motivi completamente diversi- a intraprendere un cammino che li condurrà verso la via del riscatto e dell’emancipazione, verso l’agognata e bramata felicità, o meglio, senso di libertà. Entrambi sono spiriti liberi e anche se non sono i classici eroi ribelli, incarnano l’essenza dell’umanità in quanto tale.
Ancora poi, andando a ritroso nel tempo, altra connessione piuttosto evidente in Il sorriso di Caterina è quella con Alessandro Manzoni e I Promessi Sposi; infatti, ad un certo punto della storia di Caterina, e precisamente nella storia riguardante Donato, vi è riferimento ad un vecchio frate che in vita aveva condotto una vita dissipata, in cui si era dedicato ai piaceri terreni e mondani della vita, e quest’uomo, che ormai è diventato un frate, si chiama proprio Fra Cristoforo ed il suo nome prima dei voti era proprio “Lodovico”, esattamente come il caritatevole e amorevole personaggio di Manzoni.
Andando ancor più indietro, infine, è possibile rintracciare un certo legame anche con un genere letterario propriamente medievale, quello dell’alba, tipo di lirica occitanica, in cui nel cuore della notte vi sono due amanti completamente innamorati l’uno dell’altra che sono costretti a consumare la propria relazione amorosa nell’oscurità della notte, nascondendosi da occhi indiscreti e dalle malelingue che li circondano, serbando il proprio amore unicamente per pochi attimi di puro e intenso desiderio. Questo genere poetico, proiettato sul piano narrativo, in un certo senso, potrebbe rispecchiarsi nella storia del veemente e impetuoso amore tra Piero e Caterina. I due amanti sono costretti ad amarsi e a consumare i propri desideri alle spalle degli altri, nel segreto, tra le bugie e gli inganni. Questa relazione viene descritta da Carlo Vecce in maniera profonda, sorprendente, inattesa, originale e significativa. Piero è un uomo che sin da bambino si è dimostrato completamente diverso dal padre, ma anche poco incline al gioco, al divertimento, alle passioni; invece, il suo vecchio si abbandonò all’amore, anche a costo di rischiare e farsi male; inoltre, aveva un rapporto conflittuale con lo stesso padre, uomo di istinti, passioni, sangue ed impulsi, che aveva lasciato la carriera dell’avvocatura e della magistratura, e ha un rapporto conflittuale anche con i fratelli minori, con cui non piaceva giocare, ridere o scherzare, considerando quei giochi infantili come una perdita di tempo. Tuttavia, anche il cuore duro e rigido di Piero viene scalfito dall’amore, dalla bellezza e dalla disinvoltura di Caterina, di cui si innamora la prima volta che la vede. Infatti, se prima di conoscere questa giovane e bellissima donna era un uomo freddo, rude e rustico, intransigente nei confronti del sesso prematrimoniale, grazie all’affetto del suo primo amore comprende l’importanza dei sentimenti e delle emozioni.
Il sorriso di Caterina è un romanzo che si fa veicolo di messaggi universali, di messaggi che non dovrebbero mai smettere di essere diffusi, neanche per un solo minuto, neanche per un solo istante. La storia di Caterina è la storia di tutti e di nessuno; è la storia dei grandi e degli umili; è la storia di eroine ed eroi che hanno raggiunto il proprio scopo ed i propri obiettivi a costo del dolore, del rischio, del sacrificio, della sofferenza, del tumulto; è la storia degli sconfitti, di chi ha lottato e ha perso un pezzo di sé stesso lungo il tortuoso e travagliato tragitto così chiamato “vita”. La storia di Caterina, che può essere o non essere la madre di Leonardo, è una storia di abusi, sevizie, violenze, soprusi, perdite vitali, ma è anche una storia di forza, coraggio, tenacia e audacia. Caterina è portavoce della sorellanza: trova sorelle in donne sconosciute, in cui riconosce un po’ di sé stessa, un po’ del suo cuore grande e buono, della sua forza e delle sue fragilità, in cui trova amore, conforto e consolazione, ma a cui contemporaneamente offre ospitalità, bontà, riparo e gentilezza. Caterina è portavoce dei valori familiari: ha perso i genitori in tenera età, ma in un certo senso li ha ritrovati in altre persone proprio quando temeva il peggio, proprio quando si sentiva abbandonata a sé stessa dal mondo intero, quando la sfiducia era elevata e la speranza era pari a zero e Caterina ha trovato in Donato e Ginevra una genitorialità anomala, fuori dall’ordinario. Caterina è l’amore: fa sbocciare l’amore, la speranza, la carità e la compassione anche nelle anime peccatrici, in quelle in cui il peccato è duro e atroce da espiare; il suo amore ha il dono di riparare le anime, oltre che la vita. Caterina è l’amore che non si è mai arreso, che non ha mai ceduto, che non ha mai smesso di pulsare forte. Caterina è l’amore grande di tutte le persone che l’hanno circondata, Caterina è l’amore che domina in Leonardo. Caterina è l’essenza della natura, la forza dell’acqua, del vento, della terra e dell’aria, elementi che scorrono nel suo sangue; ma è anche sacralità pura, è mythos. Caterina è schiava: è imprigionata in un mondo che non è il suo, in una Babilonia di cui non ha alcuna conoscenza, ma di cui, sfortunatamente, comprende la malvagità, la prepotenza, l’avarizia, la penuria, e che vorrebbe continuare a non conoscere. Caterina, che quasi mai ha visto ai suoi polsi e alle sue caviglie delle catene, è comunque una schiava, è una schiava di padroni, uomini e donne, solo perché qualcuno ha avuto la falsa pretesa su un corpo e un’identità che non gli appartenevano. Caterina è schiava, schiava del destino, che forse non è mai riuscita a liberarsi veramente poiché le ferite che le sono state inferte non sono mai state debitamente curate; è una schiava del destino che vaga ancora oggi negli elementi naturali e fa risuonare chiaro e forte il suo grido d’aiuto, di disperato aiuto. Ma in fin dei conti, ciò che Caterina davvero rappresenta più di tutto è la libertà:
“Caterina è libera, è sempre stata libera da quando lui la conosce, più libera di ognuna delle persone che sono in questa stanza, libera dai pregiudizi, dalle leggi, dalle cattiverie, dalle meschinità, dalle infinite catene che rendono ognuno di noi schiavo della parte peggiore di sé stesso. Caterina ha donato a lui, Donato, la vita e la libertà, nel momento in cui stava per perdere sia l’una che l’altra. E probabilmente ha donato a molti di noi in questa stanza la gioia di vivere e amore, liberamente, senza calcolo né interesse. Caterina è già libera, che bisogno c’è di condizioni? La gabbia è aperta, lasciatela volare via”.
Caterina è uno spirito libero, che vive secondo natura: l’energia di Caterina e quella della natura vivono in comunione e in armonia e non c’è niente che possa far sì che si denaturalizzi.
Fonte immagine: Giunti Editore