Recensione di “Gelidi Abissi” di Massimo Gagliardini
Torniamo nel Titanic, il famoso transatlantico che ha ospitato la storia d’amore più struggente degli anni novanta, ma questa volta per incontrare i suoi reali ospiti. Con una precisione storica frutto di studio e ricerche, ci vengono presentati alcuni tra i più importanti passeggeri della prima classe con i quali i protagonisti del libro verranno a contatto.
Cielo e mare. Scogliere e ghiacciai. Paesaggi che si incrociano, che danzano insieme in un legame tra presente e passato. Un salto nel tempo che riesce a confondere, a illudere, a incantare. ”Gelidi Abissi” di Massimo Gagliardini ci porta con sé in un avventura che fonda le sue radici nella realtà storica del Titanic e che si fonde con la fantasia. Un giallo al rovescio dove conosciamo il carnefice ma non le sue vittime, dove sappiamo la fine che avrà il Titanic, ma non chi sarà presente.
Onde tinte di rosso nei gelidi abissi dell’oceano con Massimo Gagliardini
L’anello di unione tra realtà e fantasia sono i coniugi Smith. Imbarcatisi sul Titanic per il loro viaggio di nozze in America, i due bazzicheranno tra cene lussuose e piacevoli compagnie. Ogni personaggio da loro incontrato, storicamente accurato e descritto con un tocco di fantasia, avrà il compito non solo di trasportare il lettore sulla scia della tranquillità delle onde, delle conversazioni dotte e dell’odore di tabacco, ma anche, in qualche modo, di istruirlo a quelli che erano alcuni dei più importanti personaggi affondati nei gelidi abissi dell’oceano. La pacatezza con il quale è dipinta ogni scena dove gli Smith sono protagonisti, la calma delle onde e il silenzio del mare quasi contrasta con la seconda metà della storia. Lì dove finisce il mare inizia il cielo. Cielo che ha visto compiersi, diversi anni prima dell’inaugurazione del transatlantico, un terribile incidente. Sarà una scogliera a dare inizio alla storia di Renard Odow e il ghiacciaio a darle una fine. Fin dove può spingere la follia di un uomo distrutto dal dolore?
Follia o realtà? Quanto di ciò che osserviamo è vero?
Alla follia bisogna riconoscere un appunto importante. Più volte all’interno della storia ci ritroveremo di fronte ad elementi di carattere quasi magico: visioni, fantasmi, voci dell’oltretomba. Ognuno di questi elementi sarà però legato ad una condizione psicologica molto particolare di ogni personaggio. Bisognerà aspettare che i diversi personaggi cadano nella disperazione più assoluta prima di incontrare uno di questi fenomeni. La domanda sorge spontanea. Ciò che ci viene mostrato è reale o è frutto della mente distrutta dell’uomo? Per tutto il romanzo ci verrà ripetuto come il Titanic sia una nave inaffondabile, nonostante tutti i lettori conoscano il suo destino. Ogni personaggio, un po’ come la nave, si mostra inaffondabile, temerario, forte di fronte al suo passato e alle sue colpe, piccole o grandi che siano, ma quando la nave urta l’iceberg finisce spezzata a metà. Snaturata della sua forza. Nel corso della storia ogni personaggio urterà il suo iceberg personale, che sia frutto di una lettera, di un libro o una cartolina, che lo porterà a spezzarsi, a mostrare la parte più debole di sé. Ma per citare un altro autore, “Ognuno all’inizio è una nave inaffondabile. Poi ci succedono alcune cose: persone che ci lasciano, che non ci amano, che non capiscono o che noi non capiamo, e ci perdiamo, sbagliamo, ci facciamo male, gli uni con gli altri. E lo scafo comincia a creparsi. E quando si rompe non c’è niente da fare, la fine è inevitabile. Però c’è un sacco di tempo tra quando le crepe cominciano a formarsi e quando andiamo a pezzi. Ed è solo in quel momento che possiamo vederci, perché vediamo fuori di noi dalle nostre fessure e dentro gli altri attraverso le loro.” (John Green, Città di carta). Alla fine del libro ogni personaggio è diviso a metà, con il suo passato in bella mostra, un po’ come sul mare ancora galleggia lo scheletro del gigantesco mostro di ferro affondato nelle profondità dell’abisso. Alle prime luci dell’alba il ferro brilla, è luminoso, affascinante. E allo stesso modo lo sono i personaggi sopravvissuti, in ciò che rimane della loro integrità e nella bellezza della loro follia.
Troppe cose da dire, troppo poco tempo
L’unico appunto amaro che si potrebbe rivolgere al libro è il modo in cui ci vengono presentate le diverse scene, spesso troppo frettolose, quasi come la pellicola di un film che cerca di ridurre la quantità di battute per non superare i limiti di tempo imposti. Alcuni luoghi all’interno del Titanic vengono appena sfiorati, non si ha il tempo di immaginare il paesaggio che tutto è già sfumato nella scena successiva. Tutto nel gigante di ferro corre così velocemente che diventa quasi difficile farsi coinvolgere emotivamente. Alcune volte si sente il bisogno di sedersi con i personaggi a osservare il mare, non solo di correre verso il finale.