Pino Imperatore, due chiacchiere con lo scrittore napoletano
In occasione della fiera Ricomincio dai Libri, che quest’anno si terrà a Napoli dal 29 settembre al 1°ottobre, l’autore e giornalista Pino Imperatore ha concesso a Eroica Fenice un’intervista. Lo scrittore napoletano tiene particolarmente al rapporto con i giovani, ragione per la quale ha dedicato l’anno scorso ogni fine settimana a una scuola diversa, tra superiori, medie, elementari ed università, e ha frequentato associazioni culturali giovanili.
Pino Imperatore ha sentito la necessità di sottolineare l’importanza dell’arrivo dell’evento (senza scopo di lucro e che vivrà dei fondi richiesti tramite la piattaforma Meridonare) a Napoli, dopo un periodo “pioneristico” vissuto a San Giorgio a Cremano. Il comune campano ha ospitato fino al 2011 un importantissimo riconoscimento, il premio Massimo Troisi, che Pino Imperatore ha conseguito nel 2001, ricoprendo poi il ruolo di responsabile della Scrittura comica. Quest’anno – finalmente – riprenderà, nelle mani del Direttore artistico Paolo Caiazzo (proprio originario di San Giorgio, tra l’altro) che ha affidato nuovamente a lui l’onere (e l’onore) della categoria. La notizia non è ancora ufficiale, ma lo sarà a breve e prevederà una novità: vi sarà come sempre la sezione per racconti inediti (dando spazio quindi agli aspiranti scrittori), ma questa volta anche quella dedicata alla narrativa edita, per chi voglia valorizzare la letteratura comico-umoristica di cui il nostro paese ha una grande tradizione. Per descriverlo con le sue parole: “nella vita nulla accade per caso”.
Pino Imperatore: il coraggio di trattare con umorismo i drammatici temi della nostra attualità
Giornalista e poi autore umoristico-satirico. Come è avvenuta la svolta?
In effetti l’attività giornalistica non l’ho mai abbandonata perché continuo a svolgerla ancora oggi presso il Comune di Napoli, essendo Dirigente del Servizio Comunicazioni istituzionale e del Servizio Portale web e Social Media. Mi è servita, come attività, per affinare la mia scrittura, per puntare all’essenziale, raccontare fatti reali e quindi per entrare con maggiore forza ed energia nei fatti stessi, nei personaggi che sono diventati alla fine protagonisti delle mie storie. È stata per me un’esperienza fondamentale anche perché ho avuto degli ottimi maestri e, fra questi, i compianti Amato Lamberti e Giancarlo Siani.
Come ha pensato quindi di associare camorra e umorismo come in Benvenuti in casa Esposito?
L’esperienza che ho avuto, sia prima che dopo l’uccisione di Giancarlo Siani, ha portato a impegnarmi di più nel sociale, per far sì che i fenomeni camorristici e criminali venissero compresi di più dalla popolazione, dal pubblico e dai cittadini (soprattutto napoletani e campani) e, utilizzando lo strumento mio, proprio, l’ironia, perché venissero ridicolizzati i comportamenti camorristici. Questa è stata l’operazione che ho fatto fin dall’inizio. L’idea di associare la mia scrittura comica a un fenomeno così grave come la criminalità organizzata è stata una sfida, quasi un azzardo. Non sapevamo a cosa potesse portare tutto questo e fortunatamente il pubblico ha capito l’operazione, i libri sono andati benissimo e anche la commedia successivamente… Siamo stati in scena per tre anni, commedia che ho scritto con Alessandro Siani e Paolo Caiazzo e ancora oggi, a distanza di anni dall’uscita di Benvenuti in casa Esposito, io continuo a girare per le scuole, a incontrare i ragazzi, le associazioni, a parlare di queste tematiche. Vengo invitato un po’ ovunque, anche fuori la Campania, per diffondere le idee di legalità e soprattutto per incitare i cittadini stessi e dare loro coraggio affinché possano ribellarsi a uno stato di cose che a volte per indifferenza, per paura e anche omertà viene considerato come uno status quo che è impossibile da rimuovere, combattere e sconfiggere.
A proposito di camorra, in questi giorni si è celebrata la nascita e la scomparsa del giornalista Giancarlo Siani, che ha definito come suo maestro. Come si sentirebbe di ricordarlo?
Giancarlo io lo ricorderò sempre per una cosa in particolare: il sorriso. Ogni volta che l’ho incontrato lui sorrideva, ma sorrideva a me come sorrideva a tutti. Aveva un modo di affrontare la vita straordinario, aveva sempre un grande ottimismo, gioia di vivere e di stare insieme agli altri. Soprattutto, come tutte le persone umili e grandi allo stesso tempo, trasferiva le sue conoscenze agli altri. E questa è una dote che non tutti hanno: chi è in possesso di determinate conoscenze, a volte tende a tenersele per sé e a non regalarle, donarle agli altri. Credo che un’operazione come quella del dono sia molto più bella di quella della ricezione. Giancarlo era abilissimo, bravo, lo faceva con spontaneità. Mi ha dato tanto da questo punto di vista, oltre al coraggio, alla sua professionalità e al suo modo di scrivere che puntava al cuore dei problemi, senza tanti aggettivi, tanti avverbi e tanti fronzoli. Raccontava la realtà per quello che era.
Cosa l’ha spinta a continuare a trattare temi difficili, impegnativi e di tragica attualità come in Allah, san Gennaro e i tre kamikaze?
Questa è stata una sfida ulteriore. Quando ho concluso la mia attività editoriale con la Giunti, sono passato con Mondadori. Sia la Mondadori che la mia agenzia letteraria mi hanno chiesto di creare e mettere in campo una sfida più forte della precedente. Sono stato a pensarci davvero tre secondi. Quale argomento è più forte della criminalità se non il terrorismo di matrice jihadista? Quando l’ho proposto mi hanno dato del pazzo, ma lo sarebbero stati anche loro nel caso mi avessero pubblicato. Alla fine ci siamo trovati d’accordo, già a partire dal piano dell’opera e nel titolo, in cui è citato lo stesso Allah. Sicuramente cattura l’attenzione, soprattutto da parte di qualche fanatico religioso. Per ora la sfida l’abbiamo vinta, non solo sui numeri (il libro è già arrivato alla seconda – quasi terza – ristampa e ho fatto finora 42 presentazioni in tutta Italia nell’arco di quattro mesi): c’è un’attenzione forte da parte dei lettori. Soprattutto c’è la voglia di capire un fenomeno che finora ci è sfuggito di mano ed è stato associato unicamente alla paura. È vero, il terrorismo fa paura e può colpire in qualsiasi luogo e con qualsiasi mezzo, ma vanno comprese anche le motivazioni, per quanto non giustificabili. Ho cercato di entrare nella psicologia di tre ragazzi, che vengono da un’altra civiltà e da un altro mondo e arrivano a Napoli con l’intenzione di fare degli attentati. Perché sono arrivati qui? Che cosa vogliono? Qual è il loro scopo? E che cosa nasce dall’incontro/scontro tra la filosofia napoletana, la voglia di vivere del sud, e una concezione invece favorevole alla morte?
Pino Imperatore, s’è qualcosa che si sentirebbe di consigliare in questa situazione?
Io mi sentirei di spiegare loro perché non farlo. Perché una scelta che porta alla morte, alla distruzione, cancella anche la memoria di quello che si è. La vita va rispettata per ciò che è, va vissuta intensamente, va migliorata in tutti i suoi aspetti. La vita è bella – per carità, anche brutta – ma allo stesso tempo tutte queste cose vanno affrontate con ottimismo, con forza, con entusiasmo e con gioia, soprattutto con la voglia di stare con gli altri anche quando questi altri la pensano diversamente da noi e fanno parte di altre culture. La storia ci ha insegnato che è possibile una convivenza pacifica fra i popoli, anche se profondamente diversi e con credo differenti. La vita e il mondo sono belli proprio per questo, perché sono così vari, complessi e straordinariamente opposti.