Si deve a Fazi editore la possibilità di vedere tradotto in Italia il romanzo L’età dell’oro dell’intellettuale americano Gore Vidal (1925-2012). Dopo Giuliano, con L’età dell’oro (trad. it. Luca Scarlini, Roma, Fazi, 2017) Fazi editore dà il via alla pubblicazione del romanzo storico di Vidal con l’ultimo dei sette romanzi della saga Narratives of Empire (in ordine: Burr, Lincoln, Il candidato, Impero, Hollywood, Washington D.C., L’età dell’oro). Narratives of empire racconta, attraverso contraddizioni e fenomeni sociali, la nascita e l’ascesa dell’America a prima potenza mondiale.
L’età dell’oro di Gore Vidal, ovvero la storia come propaganda
L’età dell’oro di Gore Vidal si apre con una nota profondamente ironica e polemica, tipica della personalità dell’intellettuale americano. Per comprendere ciò è necessario storicizzare questa sorta di incipit del romanzo: 4 novembre 1939. Poco meno di due anni prima dell’entrata in guerra dell’America in seguito all’attacco di Pearl Harbor da parte dei giapponesi (7 dicembre 1941). Nelle pagine di Vidal si percepisce il clima di tensione che divide un paese isolazionista ma con faville di interventismo. A farsi portavoce di tali idee sono esponenti della politica americana del tempo, ma la ironia, si diceva, la vena polemica, si esprime in una nota amara nel momento in cui, sulla base dell’opinione pubblica, della Democrazia, il potere politico afferma che “la gente fa sempre come gli si dice. Non hanno scelta” (p. 24).
Emerge in questa frase la chiave di lettura dell’intero romanzo che si fonda sull’idea di una libertà, per così dire, assente del popolo americano, influenzato e quindi manovrato dal potere politico. In L’età dell’oro Vidal mette in mostra la sua idea dell’anti-democraticità del governo americano andando così a definire anche una pessimistica concezione della Storia. La Storia, difatti, si costituisce delle cause e degli effetti delle azioni degli uomini tutti; diversamente, per Vidal, la Storia risulta essere un concetto inafferrabile per il popolo in quanto manovrato dai poteri alti.
Si può quindi giungere ad affermare che la storia, nel caso specifico dell’America (secondo il progetto di Narratives of empire), non è vera, ma è riflesso di una realtà sapientemente simulata e manipolata. Tutto questo si evince in particolar modo alle pagine dedicate da Vidal ai momenti relativi all’attacco a Pearl Harbor da parte dei giapponesi. L’America, secondo le disposizioni del presidente Franklin Delano Roosevelt (alla vigilia del suo quarto mandato), sarebbe entrata in guerra solo in seguito ad un attacco. Vidal esprime come attraverso l’ultimatum proposto dal segretario americano Cordell Hull, la così detta Hull note (26 novembre 1941, p. 30) l’America avesse praticamente fornito al Giappone la prospettiva di attaccarla. In altre parole, secondo Vidal, la Casa Bianca si aspettava un attacco da parte dei giapponesi, salvo poi presentarlo al pubblico come inaspettato, il quale necessariamente doveva avere come reazione degli statunitensi la guerra.
Dalla resa incondizionata del Giappone in seguito alle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945), ebbe poi inizio la propaganda anticomunista della Guerra fredda. Tutto questo, per Vidal, pone le basi della potenza dell’impero americano: un impero basato sul controllo e la manipolazione degli eventi, i quali costituiscono costituiscono nei libri di storia l’immagine opaca di quanto accade in realtà . «Ho sempre pensato che la storia non comincia davvero finché non è finita» (p. 279). Un pensiero che lascia trasparire l’idea di Vidal per cui i dati storici vengono spesso occultati dal modo di esprimerli.
Dal punto di vista della poetica di Gore Vidal, è opportuno sottolineare come egli si inscriva come autore del romanzo storico in un senso diverso rispetto a quello italiano. Dire romanzo storico, in Italia, vuol dire I promessi sposi o, in parte, Il nome della rosa (benché in quest’ultimo confluiscano elementi tipici del poliziesco). In essi la storicità è costituita da personaggi inventati che interagiscono con i fatti reali per determinare le proprie storie. Nell’Età dell’oro di Gore Vidal si assiste a un fenomeno diverso; per definirlo ci si avvale delle parole dell’autore nella sua Postfazione: «Quello che le persone vere dicono e fanno è essenzialmente quello che le fonti dicono che hanno detto e fatto, mentre i personaggi inventati hanno la libertà di speculare sopra i moventi, un territorio pericoloso per gli storici» (p. 517).
Nell’Età dell’oro i caratteri inventati fungono da metro di giudizio della realtà occultata da quelli veri. Le loro storie assumono contorni reali in quanto unici testimoni della storia non scritta e a prendere forma è cosi la grande storia, colma di contraddizioni secondo la visione di Gore Vidal, dell’impero. Infine, a rendere vivo questo ultimo romanzo di Narrative of empire è la presenza dell’aura dello stesso Vidal, il quale figura come personaggio (nella veste meta-letteraria di scrittore polemista, p. 329) e contemporaneamente come autore i cui occhi finiscono per combaciare in una visone pessimistica del concetto di storia americana.
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