L’uomo che aveva visto tutto è un romanzo di Deborah Levy pubblicato nel 2019, ed edito in in Italia per NN Editore nel 2022 con la traduzione di Gioia Guerzoni. Il libro è stato selezionato per il Man Booker Prize nel 2020 e nella shortlist del Goldsmith Prize 2019.
Deborah Levy è un’autrice poliedrica, ha cominciato la sua carriera nel 1981 come autrice di opere teatrali, in seguito si è dedicata alla poesia, alla narrativa e alla saggistica.
La sua autobiografia, The Cost of Living, è stata classificata all’84esimo posto nella lista de “I 100 migliori libri del 21esimo secolo”.
L’uomo che aveva visto tutto, trama
1988, Abbey Road, Saul Adler ha 28 anni ed è un ricercatore in procinto di lasciare l’Inghilterra alla volta di Berlino Est, per approfondire i suoi studi. Prima di partire, decide di ricreare la celeberrima copertina di Abbey Road dei Beatles, insieme alla sua fidanzata Jennifer Moreau. Mentre attraversa le strisce pedonali, viene investito in circostanze poco chiare.
Dall’incidente, gli eventi narrati da Saul cominceranno a incrociarsi, sfocarsi e riprodursi, dando vita a un racconto surreale che si dividerà tra il suo soggiorno nella Germania dell’Est, durante il quale si avvicinerà a Walter, il suo interprete, e sua sorella, la lunatica Luna, e un passato anteriore, nel quale verrà investito ad Abbey Road nel 2016 all’età di 28 anni.
Saul cercherà di ricostruire la sua memoria, accostando pezzi di puzzle diversi, narrazioni dissonanti, impossibili da incastrare. Faticherà a fidarsi dei racconti, ma soprattutto di se stesso, della sua percezione e dalla veridicità delle sue emozioni.
È impossibile delineare una trama convenzionale, costruita attraverso una fabula o un intreccio, gli eventi narrati sono fotografie della realtà di chi racconta, che non sempre è veritiera.
Leo Robson nella sua recensione del libro per il New Statesman sottolinea che il progetto di Levy come scrittrice è di cancellare i bordi tra il romanzo di idee e il romanzo del sentimento, tra lo schematico e il fluente, l’inevitabile e l’accidentale, il cerebrale e l’immersivo (…), la metafora e il tangibile. Se suona vago è perché lo è.
La vaghezza tratteggia i ricordi, che sconfinano l’uno nell’altro, si ibridano di particolari anacronistici, irreali, incoerenti.
Deborah Levy fa leva sull’inaffidabilità del punto di vista di chi parla, le versioni dell’avvenimento sono spesso distorte dalla difficoltà di accettare come sono andate davvero le cose.
Il senso di colpa impregna le pagine ed è il filtro con il quale Saul manipola il suo mondo. L’espediente del ripetersi dell’incidente ricorda il processo di rimuginare su eventi traumatici al punto di riviverli così tante volte da scomporli e ricostruirli ex novo.
L’uomo che aveva visto tutto è un romanzo che orbita intorno a pochi elementi, ma non risulta ripetitivo o stancante. Il senso di straniamento che pervade il lettore rende difficile la ricostruzione di una storia coerente, allineata, credibile, ed è il punto forte del romanzo.
La narrazione rende voraci di sapere cosa sia successo veramente a Saul e quali eventi siano veri e quali no. Deborah Levy è capace di seminare il dubbio a partire dagli scambi che intercorrono tra i personaggi, fino alla loro esistenza tangibile nella vita di Saul.
L’uomo che aveva visto tutto è una meravigliosa metafora della linea di confine, tra reale e surreale, Germania Est e Germania Ovest, racconto e vita: un tortuoso viaggio nella psiche umana.
Immagine a cura di NN Editore