Il 2 ottobre, in occasione del Campania Libri Festival, Benedetta Craveri ha incontrato i lettori per presentare la sua ultima pubblicazione editoriale: La contessa. Virginia Verasis di Castiglione (Adelphi). L’appuntamento si è svolto presso la Sala Rari della prestigiosa Biblioteca Nazionale di Napoli.
La conversazione storico-letteraria è portata avanti da Michela Lo Feudo e Giorgio Zanchini che indagano sulla natura profonda del libro, con sapienti interrogative ed osservazioni. La docente di letteratura francese interviene per prima ponendo due questioni di fondamentale importanza: una di natura filologica e l’altra interpretativa. Con l’occhio attento da ricercatrice, guarda allo sforzo titanico che l’autrice ha dovuto compiere per ricostruire gli infiniti e complessi tasselli – dati biografici e documenti – utili a tracciare un profilo della Contessa, quanto più possibile fedele al vero. Sono inediti molti carteggi e lettere, – alcuni dei quali difficilmente reperibili (soprattutto negli archivi italiani) – oggetto di studio della scrittrice per la durata di quattro anni circa. Più generosa per la ricerca delle fonti è, invece, la Francia, dove non sono stati cancellati i segni del passaggio storiografico di questa donna così insolita, eppure così ben adattata. Risolti, almeno in parte, i problemi pratici sulle modalità di ricostruzione di quest’ardua figura femminile, Lo Feudo azzarda una domanda diretta ed efficace.
Chi è veramente la Castiglione?
Chi è veramente la Castiglione? Come è riuscita Benedetta Craveri a restituire valore e profondità a questa intricata vicenda biografica? Doveroso è, infatti, mettere in risalto lo spirito curioso e l’ingegno della Craveri, che è stata in grado di trattare la storia di Virginia Verasis in una chiave interpretativa autentica, tale da riuscire a dare spazio alla dimensione individuale, seppur non facilmente delineabile.
Al quesito provocatorio della professoressa, Benedetta Craveri risponde rivendicando i molteplici e misteriosi volti della Contessa: si tratta di una nobildonna che fa impazzire gli uomini, di una modella dalla bellezza irresistibile, soggetto protagonista di numerosi e originali ritratti fotografici, di una libertina e di una politica. Virginia è fascino, azione e perversione ed è anche il loro contrario. Le immagini di lei, che vengono proiettate sullo schermo, ne mostrano il riflesso chiaroscuro e stravagante. Il suo corpo è uno strumento al servizio dell’autorappresentazione creativa, la Castiglione è la prima a fotografarlo come un’opera d’arte, che non ha nulla da invidiare al lavoro performativo proposto molti anni dopo da Marina Abramović. Ella è, inoltre, antesignana inconsapevole del surrealismo: in una celebre fotografia inserisce il suo sguardo in una cornice, non solo per dare un contorno ai propri occhi, con un’esaltazione narcisistica del proprio io, come era solita fare, ma per riflettere sul potere stesso dell’immagine.
La Contessa di Castiglione, nel testo di Benedetta Craveri – denso di ricerca bibliografica e corposo affresco di un’epoca (l’Ottocento) – compare e scompare e, con il fascino magnetico proprio di tutte le grandi dive, riesce a far parlare di sé. Come ogni ‘star degna di questo appellativo, brucia le tappe dell’esistenza: ha meno di vent’anni quando si reca a Parigi per sedurre l’imperatore di Francia Napoleone III. Se, infatti, la Lo Feudo si preoccupa, più accademicamente, di suggerire le circostanze della genesi dell’opera, Giorgio Zanchini ci delizia, invece, con la lettura di alcuni passi che tradiscono la seduzione esercitata da una scrittura segreta, determinata e consapevole – caratteristiche proprie anche della protagonista – come quella della Craveri.
«Io non credo nell’amore, è una malattia che passa come è venuta, a poco a poco, o una febbre intermittente simile a quelle che mi affliggono di tanto in tanto», legge il giornalista Zanchini. E ancora: «Io sono figlia di Dio e sarò figlia del diavolo se Dio non mi vuole».
La rara complessità della Contessa emerge chiara anche attraverso gli atteggiamenti fortemente distruttivi che d’improvviso assume, la sua mentalità è decisamente anticapitalistica, pur avendo un’etica politica molto sentita. Non le interessa accumulare successi, denaro, almeno non senza stabilire una scadenza entro la quale disintegrare tutto e ricominciare daccapo con nuove avventure. Il suo spirito è quello demoniaco di chi vuol scorgere il volto oscuro del male, ma nota è anche l’espressione di giubilo che assume in occasione delle feste in maschera, degli appuntamenti mondani con il mondo trasformistico di quegli anni. Bella come una dea, ama truccarsi, scegliere i propri costumi, mescolare candore e malizia. Il suo carattere, ecclettico e versatile, la porta infatti a preferire il libertinismo di Parigi all’ancora troppo retrograda mentalità italiana.
Alla luce di tutte queste nozioni acquisite sulla Verasis, nasce negli ascoltatori il desiderio di partire dalla piccola storia per aprire la propria conoscenza alla grande Storia (quella della Francia e dell’Italia). Riemergono notizie inedite e sinora sotterrate, che fanno scalpore presso i lettori profani e ancor di più tra gli storici, i quali vedono restituirsi pezzi di puzzle mancanti. Un esempio lampante del duro lavoro di indagine che la Craveri ha condotto, e con cui termina il discorso attorno a questa enigmatica figura, è il ritrovamento di una lettera nella quale si attesta che la Castiglione fosse al corrente del tentato assassinio dell’imperatore da parte di Orsini. Come lo sapesse? Nessuno lo sa.
La Contessa di Castiglione è convinta che un giorno le verrà riconosciuto il suo ruolo determinante per la storia del Risorgimento italiano. Lei sa di essere grande e statuaria, tanto forte da non dover sottostare a nessuno, ma è altrettanto conscia della sua fragilità, al punto che, per provare ad accettarla, la spettacolarizza. Per esorcizzare il dolore, prepara la sua decadenza come la prima di uno spettacolo: il suo volto imbruttito, la sua capigliatura sempre meno folta, il suo fisico deformato divengono i dettagli privilegiati delle sue foto-ritratto.
Senza convenevoli, lacrime e funerali, la dama compie la sua uscita di scena, dopo aver attraversato l’intera vita come si cammina tra i corridoi di una galleria d’arte, dove però lei compare come l’unica opera in esposizione. Sembra che le sia stato concesso di ammirarsi in tutte le vesti e con indosso tutte le maschere, senza mai dover abbassare lo sguardo.