Le disavventure di Amos Barton, primo romanzo del ciclo “Scene di vita clericale” di George Eliot, pseudonimo dell’autrice Mary Anne Evans (1819-1880), tra le più brillanti dell’epoca vittoriana e autrice anche di Daniel Deronda, altra recente uscita per la medesima casa editrice, è in tutte le librerie dal mese di novembre 2019 per Fazi Editore.
Lo sguardo ricco di arguzia e sagacia di George Eliot sulla comunità rurale di Amos Barton
Scene di vita clericale, si è detto. Ebbene, al centro delle vicende narrate c’è Amos Barton, un curato di campagna che vive e lavora presso la piccola comunità di Shepperton, un uomo presentato dal narratore onnisciente, che abilmente conduce il lettore attraverso le fila del racconto, come non particolarmente brillante, né particolarmente stupido, non particolarmente buono né particolarmente malvagio, senza alcun carattere particolare che ne permetta la memorabilità né che lo distingua da qualsiasi altro umile curato di campagna: perché, d’altronde, se la grande storia appartiene ai grandi, la piccola appartiene ai piccoli, che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione, non vivono di grandi esperienze entusiasmanti ma trascorrono la propria vita alla ricerca della tranquillità e della moderazione.
George Eliot, in questo piccolo gioiellino del realismo inglese che è questo breve romanzo, delinea con maestria la vita di campagna della middle class provinciale di epoca vittoriana, all’insegna delle maschere e dell’ipocrisia, attraverso lo sguardo di un uomo, Amos Barton, umile, goffo ed impacciato, del tutto privo di carisma e di forza, un uomo le cui intenzioni sono sempre più alte dei suoi risultati, che non riesce, nonostante la sua indole, ad attrarsi le simpatie di una ristretta comunità che lo loda in pubblico e ne ride in privato, osservando con maldicenza la vita modesta ma dignitosa, caratterizzata da crescenti ristrettezze economiche, che il curato conduce assieme all’adorata moglie Milly, una donna assennata e paziente che ha dedicato tutta la sua vita alla cura della sua numerosa famiglia, già provata nel fisico da sei gravidanze e nonostante ciò nel mezzo della settima.
Della bigotta comunità di Shepperton, delineata con uno stile ricco d’arguzia ed umorismo, cura e dovizia di particolari, sembra di sentire il chiacchiericcio, che risuona tra le pagine del romanzo di George Eliot passando con leggerezza da una maldicenza all’altra, leggerezza che nasconde la superficialità di una comunità di uomini e donne che non hanno altra distrazione che osservare la vita degli altri per commentarla con cattiva ironia in privato, attorno al fuoco, fino a distruggerne l’armonia familiare: il lettore non potrà che provare empatia nei confronti del pover’uomo così bistrattato, inconsapevole vittima della comunità che egli, disperatamente e senza grandi risultati, ma votandosi con tutto sé stesso alla causa, si sforza di condurre sulla retta via attraverso sermoni decisamente poco convincenti e opere caritatevoli immancabilmente disastrose. E tuttavia, laddove le sue buone intenzioni hanno fallito, saranno le sue traversie a suscitare, finalmente, la benevolenza della sua comunità, che si volgerà infine con sguardo denso di ipocrita bontà all’uomo così vessato dalla sorte.
Un romanzo acuto e brillante sull’ipocrisia che regola i rapporti umani e sulla realtà delle piccole comunità, raccontato con uno stile che rende indimenticabile la vicenda personale, tragica ed insieme assurdamente comica, di un uomo che non ha nulla di memorabile o straordinario.