Le divoratrici di Lara Williams: la famelica rivendicazione del corpo
Le divoratrici, edito Blackie edizioni, è il primo romanzo di Lara Williams. L’autrice collabora con il Guardian, il Times Literary Supplement, Vice, Grazia e altre testate e ha precedentemente pubblicato Treats (2016), inedito in Italia, una raccolta di racconti finalista al Republic of Consciousness Prize, all’Edimburgh First Book Award, ai Saboteur Awards e diversi altri concorsi letterari.
Le divoratrici, trama del romanzo
Nel suo romanzo, Lara Williams racconta la storia di Roberta in un viaggio introspettivo che si snoda su due linee temporali distinte, il suo presente e il delicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta.
Le difficoltà e i traumi legati alla scoperta del suo corpo vengono lentamente messi a nudo in immagini nitide e feroci, che delineano una Roberta al giro di boa dei trent’anni, una donna che ha imparato a rimpicciolirsi e a scomparire, ormai priva di alcun tipo di aspirazione, intrappolata in un lavoro ripetitivo, senza possibilità di crescita.
Ad irrompere nel suo spleen esistenziale è Stevie, la sua giovane stagista, una donna sovversiva e libera, guidata solamente dai suoi impulsi e priva di qualsiasi tabù. L’ammirazione verso la sua emancipazione costituirà il nerbo per la loro amicizia, che le porterà a stringere un sodalizio. Verrà consolidato un Supper Club, un’alleanza al femminile germinata dalla frustrazione verso i canoni loro imposti da una società che le vuole sempre più magre, più silenziose, più invisibili.
Insieme a Stevie e a Roberta si riuniranno altre donne esauste, sconfitte, ma affamate, che rivendicheranno il loro diritto a riconciliarsi con la loro fragilità davanti a cene voluttuose e sensuali.
Il Fight Club femminista
Così lo definisce il Guardian, un circolo segreto dove l’umiliazione e la frustrazione non vengono sfogate attraverso il principio macista della prevaricazione, ma con una rivendicazione del proprio corpo e dei propri spazi. Una rivendicazione non priva di violenza, che si concretizza nel reclamare luoghi privati tramite la loro occupazione e atti di vandalismo, ma soprattutto una riappropriazione del corpo politico dunque dell’individualità, plasmandolo e avvelenandolo a proprio piacimento, perché si ha la possibilità di farlo.
«Cioè in un certo senso è un club culinario» risposi. «Ma il punto non è soltanto il cibo. È il modo in cui affermiamo noi stesse in uno spazio. In diversi spazi. Il punto è rivendicare di più.» (…)
«Mangiamo. Mangiamo quanto vogliamo. Diventiamo più grandi. Occupiamo spazio con i nostri corpi, in un certo senso.»
Il corpo rappresenta la dimensione del sé, una dimensione assimilabile a quella della stanza di cui parla Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé, laddove l’esigenza della donna di trovare il proprio spazio nella letteratura è l’espressione della propria affermazione sociale, distaccata da ogni funzione di matrice patriarcale imposta alla nascita.
In tal senso, le divoratrici di cui narra Lara Williams non hanno alcun tipo di aspettativa o sogno da concretizzare, perché troppo serrate in ruoli da assolvere, assegnati loro da chi le circonda, che siano partner, superiori, colleghi o familiari, così assuefatte dal proprio personaggio da non essere in grado di riconoscere se stesse e quale sia la propria strada.
L’arco narrativo di Roberta ci mostra la divoratrice e la divorata, che non esulano l’una dall’altra e convivono in un immaginario crudo e vivido in un alternarsi di visioni violente, che suscitano sgomento e angoscia, e fini descrizioni di pietanze deliziose, che creano immagini languide.
La scrittura di Lara Williams è galvanizzante, riesce a conciliare il sensuale all’orrido con una spigliata naturalezza, due aspetti che non prescindono l’uno dall’altro, ma si amalgamano in una storia che accompagna una generazione di donne confuse, perse e stanche, alla ricerca famelica del proprio posto e che non si fermeranno fin quando non lo avranno trovato.
Immagine in evidenza: Blackie Edizioni.