Letteratura e memoria: una riflessione.
Nella vita umana c’è una continua lotta per la memoria. Cos’è una persona senza i suoi ricordi? Perché la memoria è così importante? Chi siamo noi senza i ricordi e senza la nostra memoria?
Mi capita di viaggiare spesso, in realtà più con la mente che sopra un aereo, e mi sono resa conto che la mente dell’uomo è davvero complessa nonché strana. È come una cassettiera, un armadio o un comodino. Contiene dei cassetti, tanti. Ognuno di questi conserva un ricordo: un odore, una melodia, una voce, un colore, un sapore, un luogo, un oggetto o una persona. Ogni cassetto che apriamo fa affiorare mille ricordi, mille pensieri: è la nostalgia.
È impossibile bloccarla o controllarla quando arriva e non possiamo far altro che abbandonarci a essa e lasciarci cullare, dolcemente.
Non sempre i ricordi sono belli, spesso sono dolorosi e possono far male, anche dopo molto tempo. Un’azione sbagliata, uno sguardo mancato, una parola di troppo… Ma senza i nostri ricordi noi non saremmo ciò che siamo oggi, non avremmo un passato e sarebbe come non aver mai vissuto. I ricordi siamo noi, la nostra vita, i nostri errori, le nostre esperienze, i nostri sorrisi ma anche le nostre lacrime.
Spesso i nostri stessi ricordi si prendono gioco di noi, sembra quasi vogliano deriderci e la nostra mente, quasi come un automatismo, li modifica, facendoci ricordare solo ciò che noi realmente vogliamo e non la realtà dei fatti così come è avvenuta. Per questo non vorremmo far altro che dimenticare.
Da questa nostalgia e dalla voglia di dimenticare, uno dei più grandi filosofi tedeschi, Friedrich Nietzsche, elabora una sua teoria: l’oblio come presupposto della vita. In realtà egli propone un’armonia tra la memoria e l’oblio, in quanto senza la prima non c’è vita né obbedienza, ma senza il secondo non ci sarebbe la libertà per poter dare spazio al nuovo, dimenticando quindi il passato.
Il tema della memoria è da sempre presente nella filosofia, nella letteratura, nell’arte, nel cinema, perché la memoria è in qualche misura storia, e la storia è fondamentale sempre.
Letteratura e memoria tra filosofia e narrativa
Marcel Proust, scrisse À la recherche du temps perdu. In una parte del romanzo, nel cosiddetto ‘Episodio della Madeleine’, l’autore racconta di un ragazzino che inzuppa un biscotto in una tazza di thè e nel farlo raggiunge uno stato quasi di estasi, un’estrema felicità, dovuta ad un’esperienza che può sembrare insignificante, quale quella di mangiare un semplice biscotto, ma che gli fa affiorare ricordi, scaturiti semplicemente dall’odore di questo biscotto. Questa è la così detta memoria involontaria, è il tempo ritrovato di cui parla l’autore, quella che ricostruisce un ricordo dettato solamente dall’emozione. È un concetto bellissimo, perché tutti nella propria vita hanno queste ‘epifanie’ improvvise che fanno emergere il proprio passato.
Aristotele definì la memoria come il deposito in cui confluiscono le immagini provenienti dei sensi la quale diventa lo spazio interiore dell’individuo. Sant’Agostino però si distacca totalmente dalla concezione aristotelica della memoria, definendola come il grande spazio dell’interiorità soggettiva, dove oltre alle immagini troviamo la memoria dei numeri, dei principi primi del sapere, delle tensioni del profondo con cui tutti gli individui sentono di andare necessariamente alla ricerca della felicità, di non trovarla nei piaceri fugaci della vita quotidiana, e perciò di invocarla con tutto il nostro essere.
Secondo Heidegger, grande filosofo, nonché studioso delle teorie di Sant’Agostino, non ci si deve fossilizzare sulla determinatezza del significato delle parole di quest’ultimo, ma si deve prestare attenzione al processo interiore, a ciò che va raccogliendosi nel cuore della parola, la quale si lascia interpretare in base agli stimoli che la fanno sorgere. Anche Bergson analizza il tema della memoria, distinguendola in due tipi: la memoria meccanica e la memoria pura. La prima non implica alcun tipo di conoscenza, è semplice abitudine, mentre la seconda è la memoria vera e propria, quella del ricordo dovuto alle sensazioni, la stessa che ci ricollega in senso lato a Proust.
La memoria è anche la nostra forma intellettiva, quella che ci distingue dagli altri esseri, è la nostra esperienza che ci dovrebbe evitare di commettere gli stessi errori, poiché ricordando esperienze negative eviteremmo di rifarle. Questo è anche quello che ha voluto insegnare Levi: ricordare il passato per migliorare il futuro. Primo Levi con il romanzo Se questo è un uomo suggerisce appunto di non rivivere il passato e di non commettere gli stessi errori, ma comunque di ricordare e mantenere viva la memoria di ciò che è successo, per non inciampare negli stessi peccati perché ‘tutti coloro che dimenticano il passato sono condannati a riviverlo’.
Il tema di questo romanzo è quello dell’olocausto degli ebrei, orrore commesso da alcune persone a danno di altre, la sterminazione di massa di una ‘razza’ considerata inferiore. Con il Giorno della memoria si ricorda il momento in cui un gruppo di soldati Sloveni liberarono i superstiti ebrei dal campo di concentramento nazista di Auschwitz, ovvero il 27 Gennaio del 1945. Questo giorno è rispettato ancora oggi a livello mondiale, ed è bene ricordarlo per quanto detto da Levi. Studiare il passato significa quindi imparare a evitare di commettere gli stessi errori.
Sarà per questo che è importante custodire tutti i nostri ricordi, quelli collettivi e quelli individuali, affinché possiamo far prezioso uso di ogni minimo istante della nostra vita. Questo è il rapporto tra letteratura e memoria.
Immagine: Pixabay
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