La nullafacenza, l’insofferenza, l’indolenza e la noncuranza di una generazione che viene travolta dalla cattiveria e dall’indifferenza della società. Fatta di soliti schemi, di soliti meccanismi, che consapevolmente ti fregano. Allora crei una barriera tra te e il mondo, dove non esiste fiducia perché non la puoi avere dagli altri, ma prima di tutto non puoi riceverla da te stesso. Questo è il circolo vizioso in cui, più che vivere, sopravvive Leonardo, nel romanzo L’ubbidienza di Massimo Cacciapuoti, edito dalla Cento Autori.
A fare da sottofondo alla storia è la Napoli della camorra, della meschinità, del “non me ne fotte di nessuno all’infuori di me stesso”. È nel gioco dei soprusi quello in cui entra Leonardo, ma probabilmente ne faceva parte da sempre.
Il passo falso, forse inevitabile, avviene quando si trasferisce in una bettola – vista campi rom, per sfuggire ad una vita normale e nascondersi nei bassifondi di un’esistenza che cerchiamo di ignorare, ma che vive sotto i nostri occhi. L’affittuario è il boss don Ferdinando Salemme, un grassone pedofilo che gli concede la casa per pochi euro in cambio della sua totale subordinazione: infatti Leonardo piano piano entra nel vortice della criminalità, dal quale solo la morte potrà liberarlo.
Ad attirarlo sono i soldi, la droga, le donne e la possibilità di non concedersi nessuna responsabilità, la fibrillazione che nasce dal poter lasciare il noioso lavoro di postino, sentirsi un dio. Una vita facile, facilissima, che ha comunque un prezzo, e ben presto Leonardo lo capisce, come risvegliandosi da un torpore, grazie anche all’affetto (in realtà quasi commiserazione per la stessa sorte) che prova per Cristiana, una delle tante vittime del boss. Ma sarà troppo tardi?
Massimo Cacciapuoti narra con semplicità la cattiveria umana, da un punto di vista ordinario
Massimo Cacciapuoti, nel suo riconoscibile modo di esprimere una realtà, crudo e privo di ornamenti, ci racconta da vicino parte di una società che preferiamo la maggior parte delle volte tenere nascosta, per guardare altrove. Cacciapuoti lo fa in quanto napoletano, con la sua stessa dialettica e con la consapevolezza che intorno a noi il male puro esiste davvero.
È però un male indolente, viziato, proprio com’è lo stesso protagonista, il quale non è effettivamente positivo, ma anzi negativo, seppur inconsciamente. Infatti, al lettore viene voglia di odiarlo come odia ciò che lo circonda, e qullo stesso odio lo prova anche per se stesso: in fondo, non è diverso da nessuno di quei criminali da cui fugge. La differenza sta nel tormento che Leonardo prova dentro di sé, della paura di poter essere uguale ai suoi stessi aguzzini.
L’autore descrive con scabrosità il sesso quanto la morte, perché la brutalità appartiene a tutti i personaggi del libro. Il tradimento è di tutti, forse perché l’unico modo di pensare e di vivere è quello della cattiveria umana. Una storia quindi in cui non c’è scampo, e la lettura de L’ubbidienza, per quanto di racconti con tale tematica ce ne siano parecchi, imprigiona e tiene sulle spine fino all’esito finale.
Ilaria Casertano