Più donne che uomini, un romanzo di Ivy Compton-Burnett. Recensione
In uscita il 21 marzo, Più donne che uomini è un romanzo dell’autrice novecentesca Ivy Compton-Burnett riproposto dalla casa editrice Fazi Editore, con la traduzione di Stefano Tummolini.
Più donne che uomini è un romanzo che si inserisce tra le opere più apprezzate dell’inglese Ivy Compton-Burnett e che ci ricorda perché fu stimata dai suoi contemporanei e poi da chi, a distanza di anni, non la conobbe se non attraverso la sua scrittura. Il romanzo già nel Novecento raccolse attorno a sé l’attenzione scalpitante di tutte le donne che si apprestavano a leggerlo con curiosità e probabilmente malizia se pensiamo al tempo in cui si svolge l’intera vicenda: l’Inghilterra vittoriana del primo Novecento. Non è possibile per il lettore non percepire l’atmosfera vittoriana impregnata dall’odore del tè.
L’intreccio e i personaggi
La prima donna di questo romanzo è Josephine Napier, direttrice dell’istituto femminile da lei fondato. Josephine è una donna rigida, mascolina nei tratti, indipendente negli affari, compita, gentile e premurosa, sempre. Eppure, il suo spesso eccessivo fare benevolo soffoca chi riceve le sue grazie tanto da sentirsi in debito con lei, incastrato in un rapporto di dipendenza che mette Josephine al di sopra di tutti: «Lei è il destino, e noi le sue marionette».
L’arrivo di due donne, Elizabeth e la figlia, Ruth, scombussola la vita di Josephine mettendola alla prova. Elizabeth è una vecchia fiamma di Simon, il marito della signorina Napier, un uomo vissuto nell’ombra a lungo; la sola presenza della nuova arrivata provoca una tragedia, l’inizio di una serie di colpi di scena. Come a non bastare, Josephine deve presto prepararsi ad una novità che riguarda il figlio adottivo, Gabriel, un giovane ventenne che, travolto dal trasporto del primo amore, decide di ribellarsi all’autorità materna. Le debolezze della direttrice verranno fuori in questi momenti, e la brama di trattenere suo figlio sotto il proprio tetto, di nuovo alle sue dipendenze, la renderanno meschina, capace di gesti crudeli. Alla fine otterrà ciò che vuole.
Da sfondo alle vicende personali di Josephine Napier, che tanto personali non sono in un ambiente dove tutti sanno tutto, vi è il coro pettegolo. La signorina Rosetti, la signorina Munday, la signorina Chattaway, la signorina Luke e la signorina Keats sono le insegnanti dell’istituto: pettegolezzi, frecciatine, indiscrezioni fermentano tra le mura della stanza docenti quando puntuale, all’ora del tè, il coro si fa sempre più acuto.
In loro la direttrice crede di trovare delle amiche; in fondo da lei hanno ricevuto un lavoro e, come tutti, le devono qualcosa.
Gli uomini di questo romanzo sono in minoranza nonché in netto svantaggio. Tra questi c’è il fratello della direttrice Jonathan, un uomo insignificante e misero, e il suo amante Felix, un quarantenne nullatenente che, assunto come insegnante di disegno, con ammirevole abilità riesce ad integrarsi al coro pettegolo. È forse proprio nel coro che si rispecchia la schiera di avide lettrici in cerca di maldicenze.
Il mondo è tutto qui, in questo collegio femminile che non sembra essere in fin dei conti, un luogo tanto sicuro.
Più donne che uomini: l’impossibilità della comunicazione reale
Dopo la lettura di questo romanzo potremmo chiederci perché non conoscevamo ancora Ivy Compton-Burnett e nel frattempo, scoprire in lei una scrittrice abilissima, un intellettuale che non tradisce il suo ruolo poiché fa del suo romanzo (che non rinuncia affatto alle sfumature leggere della commedia) lo specchio dell’età che vive sfidandone la morale.
Come già detto, Più donne che uomini è un romanzo ambientato in una cittadina inglese dell’inizio del Novecento. È questo un dato importante, poiché sappiamo come l’Età Vittoriana porti con sé, insieme ai grandi cambiamenti economico-sociali, anche forti contraddizioni e ipocrisie nella sfera morale.
È proprio il contesto storico a connotare l’andamento dei fatti e il comportamento dei personaggi in questo racconto: dietro rigide convenzioni si nascondo sottese tensioni e abili bugie ed è assicurato che il romanzo di Ivy Compton-Burnett, fatto di intrighi e misteri, non delude, in questo, i lettori.
La narrazione prosegue veloce, non c’è spazio per le descrizioni: i dialoghi dominano la scena, segaci ed esaurienti sono le battute compite e rigorosamente in linea con le convenzioni del tempo. Tutti dicono la cosa giusta mentre il conversare non è altro che un battibeccare, una sfida a chi riesce a mantenere su la maschera più a lungo senza tradire le proprie debolezze. Insomma, uno stramazzo continuo in cui è chiaro, la comunicazione reale e profonda è impedita dalla paura di divenire perdente. Un ambiente fatto di finzioni e buone maniere che celano personalità irrisorie e maligne.
Ma la verità, si sa, non resta sul fondo per sempre e l’autrice non sottrae i suoi personaggi al volere del destino: ognuno di loro deve arrendersi al disvelamento della propria vera essenza, impotente. E più che stupire gli altri, ognuno stupisce se stesso nel ritrovarsi capace di aver retto il gioco così a lungo.
Fonte immagine di copertina: Fazi Editore.