Romanzi giapponesi: i 5 più influenti della storia

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La letteratura giapponese conta più di mille anni di storia, ed è sempre stata al passo con i mutamenti storici del paese: dall’epoca d’oro della cultura di corte Heian al periodo medievale, dal dominio Tokugawa alla modernità iniziata con l’era Meiji, la letteratura giapponese si è espressa in vari generi letterari, come i monogatari e i nikki di epoca Heian, gli zuihitsu, gli otogizōshi del periodo Muromachi, gli ukiyozōshi principi della letteratura di Edo, fino ad arrivare al romanzo moderno giapponese, il cosiddetto shōsetsu, predominante dal periodo Meiji fino ancora ai giorni nostri. Poiché sarebbe riduttivo stilare una lista attingendo solo ad opere successive alla Restaurazione Meiji, in questo elenco saranno presenti anche opere di narrativa non propriamente aderenti a quello che è il novel, inteso nell’accezione occidentale del termine, che per valore letterario e importanza storica non possono essere escluse dalla lista dei romanzi giapponesi più influenti.

1. Taketori monogatari

Noto in Italia con il titolo “Storia di un tagliabambù”, è considerato il padre di tutti i romanzi giapponesi e il più antico monogatari di cui si sia a conoscenza. Protagonista dell’opera è Kaguya, una bambina che viene trovata all’interno di un bambù da un vecchio tagliabambù, il quale decide di adottarla e di crescerla insieme a sua moglie. Il lettore nota subito la natura non-terrestre della bambina, la quale cresce in pochissimo tempo, diventando una meravigliosa donna corteggiata addirittura dall’imperatore in persona. Il monogatari ha una struttura episodica: a ognuno dei cinque pretendenti iniziali Kaguya, restia a sposarsi, propone una prova impossibile da superare, e la trama si sviluppa intorno ai tentativi, più o meno scorretti, dei pretendenti per accaparrarsela. L’opera presenta già tratti che saranno distintivi dello tsukuri monogatari, ovvero il monogatari d’invenzione: dalle poesie inserite nel testo alle descrizioni dettagliate e all’attenzione per la psicologia dei personaggi, soprattutto di quella di Kaguya. A causa della sua natura aliena, la ragazza è avulsa dalle convenzioni dell’epoca, secondo le quali una donna avrebbe dovuto al più presto unirsi in matrimonio con un valido pretendente; Kaguya, infatti, rifiuta con convinzione tutti i suoi pretendenti, anche lo stesso imperatore, perché non crede che la sua felicità risieda nel matrimonio, a differenza dei suoi genitori adottivi, che vedono nella figlia un’opportunità di elevazione sociale. Alla fine della storia, Kaguya ritorna sulla Luna, suo luogo d’origine, e si separa soffrendo dai suoi affetti, destinati a dimenticarla. Probabilmente scritto da un raffinato uomo di corte intorno al 909, l’opera potrebbe anche essere, nelle descrizioni dei tentativi dei pretendenti, una satira nei confronti della famiglia dei Fujiwara, all’epoca molto influente a corte. Nel 2013 Takahata Isao ne ha realizzato una trasposizione cinematografica dal titolo “Kaguya-hime no monogatari” (“La storia della principessa splendente”), candidato all’Oscar come miglior film d’animazione nel 2015 e considerato uno dei capolavori del cinema giapponese contemporaneo.

2. Genji monogatari

Tradotto per la prima volta dal giapponese classico all’italiano nella sua interezza nel 2012 da Maria Teresa Orsi, con il titolo “La storia di Genji”, è il capolavoro per antonomasia della letteratura giapponese. Scritto dalla dama di corte Murasaki Shikibu e concluso probabilmente nel 1008, si compone di cinquantaquattro capitoli (che equivalgono a più di millequattrocento pagine nelle edizioni occidentali come quella italiana) e comprende settecentonovantacinque waka (il genere più rappresentativo della poesia giapponese classica) e circa quattrocentotrenta personaggi. Protagonista dell’opera è il principe Hikaru Genji, figlio dell’imperatore e di una concubina da lui molto amata ma di secondo piano, che Genji non conoscerà mai poiché ella morirà poco dopo la sua nascita. Le vicende del monogatari ruotano attorno alla figura di Genji, che incarna, nell’aspetto così come nei comportamenti, il modello perfetto dell’uomo di corte, sensibile all’arte, dai modi raffinati e capace di amare e di prendersi cura di tutte le sue donne, nelle quali cercherà sempre, freudianamente, la figura della madre, come in Fujitsubo, nuova concubina del padre e primo amore del principe. Ciò che rende quest’opera un capolavoro, oltre alla propria raffinatezza stilistica, è l’attenzione che l’autrice pone sulla psicologia dei personaggi, dei quali ascoltiamo non di rado pensieri e preoccupazioni; concetto cardine del monogatari è il mono no aware, un termine di difficile traduzione che indica la partecipazione emotiva alle cose della vita, consapevoli però della loro natura effimera. Il romanzo infatti è fortemente influenzato dalla dottrina buddhista, in particolare dall’amidismo, un tipo di buddhismo incentrato sulla figura del bodhisattva Amida, il quale risiede nel paradiso della Terra Pura, dove condurrà i suoi fedeli al momento della morte. Ambientato nella corte Heian del X secolo, il monogatari ci offre un affresco preciso delle consuetudini di vita dei nobili di quest’epoca; essi vivevano all’insegna dell’otium e si dedicavano principalmente all’arte e al corteggiamento, il quale avveniva tramite lo scambio di poesie, che dovevano rispettare dei canoni precisi dettati dalle grandi raccolte poetiche come il Kokinshū, la prima antologia imperiale, pena il rifiuto da parte della donna amata. L’opera è stata percepita in diversi modi nel corso del tempo; amatissima dai contemporanei, in epoca medievale fu giudicata immorale, anche a causa dell’episodio dove Genji ha un figlio da Fujitsubo che viene da tutti creduto figlio dell’imperatore, interrompendo così la sacra linea imperiale che parte dalla dea Amaterasu, in un contesto dove la narrativa in giapponese vernacolare aveva generalmente poca considerazione; nel XVIII secolo, quando si svilupparono i cosiddetti “studi nazionali” (kokugaku), Motoori Norinaga dedicò all’opera un vasto ed ormai classico studio. Quando il Giappone riprese i contatti con il resto del mondo, a metà XIX secolo, l’opera divenne conosciuta anche in Occidente e conta tra le sue estimatrici autrici come Virginia Woolf e Marguerite Yourcenar, la quale scrisse un racconto intitolato “L’ultimo amore del principe Genji”, dove viene narrata l’ultima avventura amorosa di Genji prima della morte, un capitolo che nell’opera originale è assente. In patria è stato d’ispirazione per alcuni tra i più grandi scrittori del Novecento, tra cui Mishima Yukio e soprattutto Tanizaki Jun’ichirō, che lo tradusse in lingua moderna. Nella traduzione dal giapponese classico a quello moderno si sono cimentate anche scrittrici come Enchi Fumiko e Setouchi Jakuchō, che inquadrarono l’opera dal punto di vista delle numerose donne presenti, come Murasaki o Rokujō. “Genji monogatari” ha infine ispirato vari manga, anime e trasposizioni cinematografiche, a dimostrazione di quanto quest’opera abbia un posto di rilievo tra i romanzi giapponesi.

3. Heike monogatari

Letteralmente “Storia della famiglia Taira”, lo Heike monogatari è il gunki monogatari per antonomasia; questo genere di monogatari è stato predominante nel periodo cosiddetto “medievale” della storia giapponese, corrispondente ai periodi Kamakura (1185-1331) e Muromachi (1331-1568), e presenta testi molto diversi da quelli di epoca Heian. I gunki monogatari, infatti, sono opere il cui tema centrale è quello della guerra (gunki significa “cronache di guerra) e sono generalmente meno raffinate dei romanzi giapponesi precedenti, come il già citato Genji monogatari. Probabilmente frutto del lavoro di diversi autori, lo Heike monogatari racconta gli avvenimenti della guerra Genpei (1180-85), che vide contrapposti i clan dei Taira e quello dei Minamoto, i quali ebbero la meglio sui rivali dopo la battaglia di Dan no ura e instaurarono, nel 1191, il bakufu (governo della tenda), con Minamoto no Yoritomo che divenne il primo shōgun della storia giapponese, ponendo di fatto fine al potere imperiale. Il monogatari non ha un vero e proprio protagonista, ma si concentra su più personaggi di entrambi i clan, in particolare sul dispotico leader dei Taira Kiyomori, e consacra nella tradizione folkloristica giapponese personaggi come Minamoto no Yoshitsune, uno degli eroi più amati del Sol Levante. Nel testo viene spesso messa in evidenza la raffinatezza dei Taira, grazie al loro rapporto di lunga data con la corte imperiale, in contrapposizione con i Minamoto, più rozzi dei rivali, come nell’episodio con protagonista Atsumori, giovane Taira destinato a morire per mano di Kumagae, che esita prima di ucciderlo poiché colpito dalla sua estrema bellezza e raffinatezza. Ancor più che nei romanzi giapponesi precedenti, nell’opera è forte l’influenza del buddhismo e, in particolare, del concetto di impermanenza, rievocato sin dall’incipit del monogatari. Non esiste ancora una traduzione italiana completa dell’opera, ma ve ne sono in altre lingue occidentali, come l’inglese o il francese. Nel 2021 è stata prodotta una serie di undici episodi dal titolo omonimo (conosciuta in Occidente come “The Heike Story“), che adatta gli episodi più salienti del romanzo ed ha come protagonista Biwa, una bambina chiamata con il nome dello strumento che suona. L’opera, infatti, originariamente era trasmessa in maniera orale dai biwa hoshi, monaci menestrelli tradizionalmente ciechi, e venne messa per iscritto solo alla fine del XIV secolo.

4. Kokoro

Pubblicato nel 1914 e tradotto in italiano con vari titoli, tra cui “Anima” o “Il cuore delle cose”, è il romanzo più famoso di Natsume Sōseki e tra i più importanti romanzi giapponesi moderni. Ambientato alla fine dell’epoca Meiji (1868-1912), il romanzo ha come protagonista il Maestro, un individuo misterioso che vive in isolamento quasi totale a Tokyo. All’inizio dell’opera egli conosce un giovane ragazzo che cercherà gradualmente di avvicinarsi a lui, nonostante il suo carattere molto schivo ed introverso, e che andrà spesso a trovarlo a casa sua. La prima parte del romanzo si conclude con il giovane che, impossibilitato a tornare a Tokyo a causa della malattia del padre, riceve una lettera dal Maestro, in cui gli racconta gli avvenimenti della sua vita che lo hanno portato nella condizione in cui versa oggi. La seconda parte del romanzo è composta dalla lunga lettera del Maestro, scritta prima del suo suicidio. Centrale nell’opera è il tema dell’individualismo, questione di grande rilevanza nell’opera omnia di Sōseki, affrontata in vari romanzi e conferenze. Secondo l’autore, l’individualismo è la capacità di formulare ed esprimere le proprie idee, e di affermare la propria libertà nel rispetto di quella altrui; solo così, ci dice Sōseki, è possibile trovare la felicità. Il prezzo da pagare per questa libertà, però, è spesso la solitudine e l’isolamento dagli altri, in una società di massa che vuole evitare a tutti i costi l’affermazione di individui singoli. Sōseki rappresenta alla perfezione la crisi dell’uomo moderno nella figura del Maestro, che vede sfumare i valori dell’epoca Meiji, l’epoca in cui è cresciuto, ed è dilaniato da questa sensazione di fin de siecle, una sofferenza che non riesce a superare, preferendo seguire l’imperatore nella morte, così come fece il generale Nogi, suicidatosi insieme alla moglie il giorno del funerale del suo signore. Ciò che rende Kokoro uno dei più grandi romanzi giapponesi moderni, oltre alla sua ricchezza e profondità tematica, è la sua struttura. All’inizio del romanzo è l’allievo a raccontare la storia, ambientata nel 1912, ma il narratore cambia quando il ragazzo riceve la lettera; da qui in poi è il Maestro a raccontare i fatti, descrivendo al giovane, che passa dall’essere il narratore al narrataio, gli avvenimenti, e la narrazione non torna più nelle mani del giovane, ma si conclude con la lettera. Dal romanzo è stato tratto un film nel 1955, diretto da Kon Ichikawa e dal titolo omonimo, ed è stato adattato per il piccolo schermo nella serie animata Aoi Bungaku nel 2009, negli episodi sette e otto, a dimostrazione di quanto, ancora oggi, Kokoro sia uno dei romanzi giapponesi più amati in patria.

5. Noruwei no mori

Pubblicato nel 1987 e tradotto in italiano da Giorgio Amitrano nel 1993, inizialmente con il titolo “Tokyo Blues”, è uno dei romanzi giapponesi più venduti del XX secolo. Narra la storia di Tōru, giovane studente di drammaturgia alla Waseda, che compie un tortuoso percorso di crescita diviso tra l’amore per Naoko, fidanzata del suo migliore amico Kizuki, morto suicida, e Midori, sua compagna di corso. Il romanzo, atipico nella produzione di Murakami in quanto non presenta elementi fantastici, è un bildungsroman molto intimo e pervaso da una forte malinconia. È tipico, nelle opere di Murakami dello stesso periodo come “A sud del confine, ad ovest del sole”, questo sguardo nostalgico al passato; il romanzo è infatti narrato in prima persona da Tōru, il quale ricorda gli avvenimenti della sua giovinezza da adulto. Il tempo della giovinezza di Tōru è anche quello di Murakami, che ambienta il romanzo a fine anni Sessanta e nella stessa università da lui frequentata, la Waseda, ricercando nel passato valori che sembrano ormai persi nel Giappone in piena bolla economica; un passato al quale, però, non si guarda in maniera reazionaria, ma con nostalgia e consapevolezza, e che viene spesso rievocato dalle note di una canzone, in questo caso quella che da il titolo all’opera. Norwegian Wood è stato un successo clamoroso negli anni Novanta, ed ha reso popolare all’estero non solo il suo autore, ma tutta la letteratura giapponese, divenendo di fatto, insieme a Kitchen di Yoshimoto Banana, il romanzo giapponese più celebre della letteratura contemporanea. Nel 2010 il celebre regista vietnamita Tran Anh Hùng lo ha adattato per il grande schermo; il film è stato presentato alla sessantasettesima mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Fonte immagine di copertina: Wikimedia Commons

 

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