Ci sono libri che riescono a stringere il cuore, capaci di far venire la pelle d’oca per la loro immensa crudeltà: Storia di mia vita di Janek Gorczyca è proprio uno di questi. Il testo, edito da Sellerio, è un romanzo autobiografico, ma non di un grande intellettuale, né di un vip, tantomeno di un eroe: anzi, lo stesso Janek precisa: «Non sono un eroe, ma la vita per strada è piena di sorprese». Egli, infatti, fa parte di quelle persone che quotidianamente ignoriamo nelle nostre grandi città: i senzatetto. L’autore nasce in Polonia nel 1962, arriva a Roma negli anni novanta dove resterà, con non poche difficoltà, fino ad oggi. Il testo di Storia di mia vita narra proprio i quarant’anni di vita nella città eterna tra alcol, occupazioni abusive, violenza, amori e dolori. Può infatti considerarsi, come scritto dall’autore: «Un breve racconto di mia vita per strada».
La strada: il tema principale di Storia di mia vita
Storia di mia vita parte nei primi anni Ottanta: l’autore vive le tensioni politiche della Polonia nell’epoca post-Seconda guerra mondiale. Il Paese era stato precedentemente al centro dello scontro fra i tedeschi nazisti e l’Armata Rossa e poi, dopo la vittoria degli Alleati, divenuto un vero e proprio Stato subordinato al controllo dell’Unione Sovietica. Gorczyca racconta del suo attivismo politico in Solidarność (in italiano “solidarietà”), un sindacato cattolico e operaio che si opponeva al duro regime comunista sovietico. Successivamente, il destino porta l’autore ad affrontare un’altra guerra, quella simbolo del collasso sovietico: la guerra in Afghanistan (1979-1989) contro i Talebani. Dopo la guerra, nel 1992 egli sceglie Roma quale città in cui vivere: qui si svolgono la maggior parte degli episodi raccontati nel libro. I temi che vengono affrontati nei sei capitoli ci riportano alla realtà più cruda e vera. Si parla di alcolismo, di litri di vodka che lubrificano le difficoltà quotidiane, risse, freddo, ma anche di amore e amicizia.
La scrittura di Janek Gorczyca
Sfogliando Storia di mia vita, sin dalle prime pagine, ci si accorge di avere tra le mani un testo sui generis. L’italiano utilizzato è proprio quello di Gorczyca, uno slavo che ha imparato l’italiano. Per questo possiamo notare errori, ripetizioni e strutture sintattiche sbagliate. Nonostante questo modo di scrivere possa sembrare un’imperfezione, in realtà è proprio ciò che rende il libro unico nel suo genere. Attraverso la sua scrittura, fatta di periodi semplici, poche virgole e tanti punti, l’autore sembra parlarci proprio come se fossimo per strada con lui, guardandoci negli occhi davanti al fuoco affrettatamente acceso in un barile, bevendo vodka calda e scadente. Pertanto la scrittura è vera, non solo realistica ma anche reale. È cruda, esclude qualsiasi tipo di morale o retorica. Ogni parola è un pugno allo stomaco. Ogni pagina che sfogliamo è un masso di pietra.
L’autore sa di non essere un santo, e come tutti gli uomini ha commesso degli errori. Tutti gli episodi di violenza, che ci sembrano i più crudi, raccontano una componente fondamentale della vita per strada. Tuttavia, noi banali lettori, riusciamo ad empatizzare e comprendere le difficoltà che si incrociano nel vivere senza un tetto sopra la testa, percepiamo la sofferenza, la vergogna di sentirsi uno scarto e un peso per la società. La narrazione che si fa della povertà, proprio perché autobiografica, non è retorica ma consapevole, è una consapevole scelta di parole, dunque di esperienze. È disagio, precarietà, tristezza.
L’obiettivo di Storia di mia vita: ridare dignità
Lo scrittore è una persona fin troppo intelligente per chiedere la nostra compassione: quest’ultimo, infatti, non ricerca pietà. Nonostante ciò, è inevitabile sentirsi sporchi, persone orribili con i nostri enormi privilegi, le lenzuola pulite e i letti in memory foam. Gorczyca con questo libro ha voluto dare voce a chi voce non ha, o meglio a chi non possiede niente, se non un cartone sul quale dormire.
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