Un borghese piccolo piccolo di Vincenzo Cerami| Recensione

Un borghese piccolo piccolo

Un borghese piccolo piccolo edito da Garzanti con una prefazione a cura di Nicola Lagioia è il romanzo d’esordio di Vincenzo Cerami, uscito nel 1976 e diventato a un anno dalla pubblicazione un celebre film di Mario Monicelli con Alberto Sordi nel ruolo di protagonista.

Il romanzo di Vincenzo Cerami si sposa benissimo con lo stile e l’idea cinematografica di Mario Monicelli, infatti nell’omonima pellicola, Un borghese piccolo piccolo (1977), il protagonista incarna alla perfezione la caratteristica monicelliana di “perdente” che cerca di raggiungere a tutti i costi un traguardo che con il passare delle vicende diviene quasi impossibile.

Il libro narra la storia di Giovanni Vivaldi, impiegato ministeriale nell’ufficio pensioni di Roma, marito di Amalia e padre del neo ragioniere Mario Vivaldi. L’impiegato trascorre le giornate a mandare avanti pratiche in attesa della pensione e il cui unico desiderio, dopo una vita di sacrifici, è di vedere per il figlio Mario una realizzazione lavorativa. Egli scenderà a qualsiasi tipo di compromesso per poter ottenere favori da uomini più potenti di lui al fine di far assumere nel suo stesso ufficio il figlio neodiplomato, potendo così garantire al giovane una condizione sociale ulteriormente proficua. L’ultimo ostacolo verso questo sogno piccolo borghese è il concorso che Mario deve superare per ottenere il posto di lavoro che gli aprirà le porte ad un’esistenza semplificata. Così arriva il tempo per Giovanni di riscuotere il credito del lavoro di una vita, del suo contributo silenzioso al funzionamento della macchina sociale. Si rivolge al capoufficio per ottenere una raccomandazione che, puntuale, arriva. Ma la tragedia irrompe inaspettata, a rovinare tutto è la morte improvvisa di Mario, cui fa seguito la vendetta di Giovanni contro l’assassino del figlio.

Con una scrittura asciutta Vincenzo Cerami ci offre un quadro impietoso di una fetta della società italiana degli anni ’70, il libro fu recensito tra gli altri da Italo Calvino che scrisse: “Dalla prima pagina il romanzo di Vincenzo Cerami ti prende obbligandoti a fissare uno sguardo spietato su un campione di società italiana quanto mai rappresentativo”. Cerami non fa sconti né alla pochezza della quotidianità di Giovanni né al limitato orizzonte dei suoi sogni né all’egoismo dei suoi mezzi con cui cerca di raggiungere l’obiettivo, il piccolo borghese è capace di una ferocia che sembra non lasciare spazio ad altri sentimenti. L’autore riesce a provocare in chi legge una sorta di disgusto verso le abitudini di Giovanni e dei suoi colleghi, paragonati a dei piccoli scarafaggi che ogni mattina, con comodo, raggiungono il loro piano dell’ufficio ministeriale e si siedono dietro le scrivanie coperti da pile di pratiche da sbrigare.

Il punto di vista della storia è interno, solo di Giovanni conosciamo le impressioni e le percezioni. Chi legge vive delle sensazioni contrastanti, ma il sentimento di cui le parole di Cerami sono impregnate è quello della compassione, specialmente quando la vita di Vivaldi giunge ad una svolta definitiva e crudele, che lo porterà a trasformarsi da vittima a carnefice, l’unico modo che il lettore ha di avvicinarsi al suo animo e di provare “pietas” per il protagonista. L’autore ci conduce passo dopo passo, sullo sfondo di una Roma fredda e paralizzata in sé stessa, nella vita di Giovanni che sia a casa, a lavoro o in preda ai suoi pensieri, ci presenta una vita asfittica ma fortemente agognata, priva di una reale consapevolezza.  Cerami dà modo al lettore di entrare nel più profondo della vicenda, analizzando personaggi e luoghi con una sorta di ironia grottesca, osservando una società cambiata dal boom economico, che guarda ormai da lontano le macerie della guerra.

Fonte immagine: Ufficio Stampa

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