Scritto nel 1921 e in vendita dal 26 settembre per la casa editrice Fazi Editore, Vera è forse il romanzo più riuscito della scrittrice Elizabeth von Arnim, nel quale la scrittrice riversa parte del suo vissuto: come Lucy, giovane protagonista del romanzo, anche Elizabeth è stata una “seconda moglie” e ha portato tutto il peso di questa situazione.
Forse proprio l’aver provato sulla sua pelle la sensazione del continuo confronto con una donna sconosciuta, ha fatto sì che la scrittura di “Vera” sia in grado di trasmettere in maniera evidente il malessere psicologico della protagonista e, quindi, dell’autrice.
Vera: storia di una seconda moglie
Il romanzo, ambientato in Cornovaglia, si apre con l’immagine di una giovane donna persa nel dolore: Lucy Entwhistle, corpo da bambina e anima innocente, ha improvvisamente perso suo padre, centro propulsore di tutta la sua esistenza.
Incapace di reagire, Lucy, quasi catatonica, trascorre il tempo in giardino, senza nemmeno trovare la forza per piangere. Qui avviene l’incontro fortuito con il signor Everard Weymiss, uomo maturo ma ancora piacente, anche lui sconvolto da un recente lutto: sua moglie Vera, colei che da il nome al romanzo, è morta cadendo dalla balconata della loro abitazione. Come se non bastasse, al momento dell’incontro tra Lucy e Weymiss, è in corso un’indagine per appurare la natura accidentale dell’accaduto.
I due, accomunati dalla sofferenza e dalla perdita, impiegano pochissimo tempo a legarsi l’uno all’altra: Lucy ritrova in quest’uomo il porto sicuro che per lei era stato suo padre; Weymiss vede il Lucy un essere fragile, da proteggere dal mondo. Naturale evoluzione di questo rapporto saranno il fidanzamento e, infine, il matrimonio.
Ma, dopo la luna di miele, l’ingresso a The Willows, la casa dove pochi mesi prima si è consumata la tragedia di Vera, turba profondamente Lucy. Poco a poco, già durante il breve periodo di fidanzamento, e ancora di più col matrimonio, Everard mostra la sua natura di uomo manipolatore e subdolo, incline a scatti di ira repentini e a violenze psicologiche di vario tipo verso tutti i suoi sottoposti, moglie compresa.
Riuscirà Lucy a resistere ai rigidi rituali della casa e allo sposo cinico e maniaco del controllo? Solo una persona, la cui presenza è ancora palpabile tra le mura di casa, sembra poterla capire, pur non esistendo più: Vera.
Un’anima prigioniera che non può volare
Sebbene scritto nel 1921, Vera mette in risalto una condizione drammaticamente condivisa da molte donne, in ogni tempo e luogo, vittime di abusi e vessazioni psicologiche. Le mura domestiche, che dovrebbero rappresentare una protezione, un’isola felice a cui far ritorno dopo aver lasciato le tempeste del quotidiano, diventano per queste donne una prigione dalla quale è quasi impossibile evadere.
La condizione di Lucy è quanto mai indicativa: ingenua e innamorata, non vede o, meglio, non vuole vedere, la vera natura dell’uomo che le sta accanto. Cerca una giustificazione ad ogni sua stranezza, trova una spiegazione “razionale” ad ogni comportamento; si addossa la colpa per ogni litigio.
Lucy, chiusa nel suo disperato bisogno di avere qualcuno da amare, accetta e soprassiede. Tanto lei quanto la stessa Vera non sono altro che vittime del narcisismo smisurato dell’uomo che hanno accanto, un uomo che non è realmente in grado di amare: egli preferisce essere obbedito e osannato. Si aspetta che tutti si pieghino al suo volere e la sua parola non ammette repliche.
Everard Weymiss è un padre padrone che comanda tutto e tutti, è un maniaco del controllo e, nella sua visione delle cose, ha sempre ragione. Vera, che si è opposta a tali imposizioni fino a decidere di morire, viene presentata sin da subito, attraverso le parole del vedovo, come una donna frivola e malvagia, incapace di apprezzare fino in fondo ciò che lui le sta donando. Nella visione distorta di Weymiss, ogni azione di Vera è dettato dalla sola volontà di ferirlo.
Persino il suicidio, che per il lettore è chiaramente l’estremo tentativo di liberarsi dalla prigionia, diventa l’ultimo scherzo di cattivo gusto di una donna irragionevole. Nel corso della lettura, dunque, la percezione che si ha di Vera cambia radicalmente e, se da un lato appare chiaramente una vittima, dall’altro colpisce la forza che ella dimostra compiendo una scelta così estrema.
A questo punto, viene spontaneo il paragone con l’altra figura femminile, Lucy, che chiaramente non ha la stessa forza d’animo della sua “compagna di sventura”. Da un certo punto in poi, è evidente che sia spaventata dal marito eppure, come avviene ancora oggi tra le donne vittime di abusi, non è in grado di contrastarlo in alcun modo e, anzi, continua a giustificare il suo carnefice, dandogli così ancora più potere.
Vera è un romanzo che, nella sua brevità e nonostante i toni sempre pacati, mette bene in luce il senso di angoscia e il dolore che sono propri di una vita vissuta in catene. Ogni donna dovrebbe leggerlo per imparare a riconoscere davvero la differenza tra amore e possessività, in modo da trovare la forza di spezzare le proprie catene, qualora ce ne sia bisogno