I viaggi di John Mandeville, conosciuto anche come Voyage d’outre mer, è un resoconto di viaggio realizzato nel XIV secolo e porta la firma di Jehan de Mandeville, poi anglicizzato come Sir John Mandeville. L’opera ha cominciato a circolare intorno al 1350 e si presume che i primi manoscritti fossero in lingua anglonormanna. Nella prefazione, l’autore si definisce come un cavaliere della città inglese di Saint Albans, ma si ritiene che il nome che riporta sia uno pseudonimo, probabilmente di un autore francese; tuttavia le discussioni, gli studi filologici e le ricerche storiografiche non hanno accertato l’esistenza di tale John Mandeville. L’opera, a seguito delle grandi esplorazioni geografiche del XV secolo conobbe un grande successo e fu tradotta in moltissime lingue europee, tra cui il ceco e l’olandese. Gli esploratori dell’età moderna, tra cui lo stesso Cristoforo Colombo, trassero grande ispirazione dal libro. Il racconto fu creduto autentico per circa i due secoli successivi alla sua pubblicazione, sebbene si trattasse di un viaggio immaginario ricco di elementi fantastici e mitologici.
I resoconti di viaggio che hanno ispirato la stesura de I viaggi di John Mandeville
Sicuramente l’autore dell’opera di fantasia si è ispirato leggendo altri resoconti di viaggi medievali; le possibili fonti sono state investigate dagli studiosi George F. Warner e Albert Bovenschen. La maggior parte del resoconto de I Viaggi di John Mandeville sembra che sia stata ispirata dalla relazione di Odorico da Pordenone sul suo viaggio in Estremo Oriente, specialmente per quanto riguarda il viaggio di Mandeville da Trebisonda all’arcipelago della Melanesia. Tuttavia, alcuni passaggi di Odorico sono stati edulcorati da elementi fantastici: ad esempio, i cormorani addomesticati che vengono descritti da Odorico durante il suo viaggio in Cina vengono tramutati da John Mandeville in lontre addestrate a tuffarsi in acqua. Un’altra fonte autorevole da cui Mandeville potrebbe aver tratto spunto è La flor des estories de la terre d’Orient, un trattato storiografico del 1307 sull’invasione mongola e sull’espansione musulmana edito dal monaco armeno Hetum di Corico, in quanto nell’opera di Mandeville vi è una descrizione molto simile a quella di Hetum riguardo alla fortezza di Corico. Le descrizione degli usi e costumi dei Tatari invece è molto probabilmente stata tratta dalla relazione del monaco francescano Giovanni da Pian del Carpine, sebbene secondo George Warner la fonte diretta è lo Speculum Historiae di Vincent de Beauvais.
Molte delle storie riguardanti elementi mitologici e fantastici presenti ne I Viaggi di John Mandeville sono state tratte molto probabilmente dalle opere di Plinio il Vecchio e di Solino e sono largamente diffuse anche nei bestiari medievali. Tra le creature fantastiche più importanti annoveriamo i ciclopi, gli ippopodi, i monopodi, gli antropofagi e le fenici. Nella sezione dedicata al Levante, vengono riprese molte vicende della mitologia abramitica, tra cui la nascita di Seth, terzo figlio di Adamo ed Eva e l’origine del fiume Sabation, oltre il quale vennero esiliate le dieci tribù perdute di Israele. Nonostante la presenza di tutti questi elementi sovrannaturali, I Viaggi di John Mandeville è contraddistinto da un’ottima conoscenza geografica; in più tratti infatti, l’autore dimostra di conoscere l’esatta forma del globo terrestre e riesce a dedurre la latitudine dalla posizione della Stella Polare. Seppure alcune delle sue asserzioni siano figlie dell’epoca medievale, tra tutte quella che Gerusalemme è al centro del mondo, Mandeville sostiene che la terra sia sferica e che essa presenti degli antipodi. Inoltre, narra la curiosa storia di un uomo che salpò dalla sua patria e navigò diretto verso est finché si ritrovò nuovamente nella sua terra natìa, a conferma della sfericità della terra.
I Viaggi di John Mandeville può essere interpretato come un Atlante fantastico del mondo conosciuto durante l’epoca medievale, ma anche come un’Odissea rivisitata, ricca di elementi esotici e fantastici. Oltretutto, si può porre come l’incipit visionario che ha dato inizio alle grandi esplorazioni e come la fonte d’ispirazione degli esploratori moderni. È anche grazie a questo piccolo libro che, un secolo e mezzo dopo la sua pubblicazione, è stato scoperto un nuovo continente.
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