Viola Lo Moro ha raccolto il suo archivio poetico in Cuore Allegro, una raccolta di poesie edita Giulio Perrone Editore.
“Tieni il cuore allegro” è il monito di un morente a Viola Lo Moro, Cuore Allegro è il titolo della sua raccolta poetica, una raccolta che oscilla tra la tenera notte che “appuntita e uncinata [..] attraversa di spillo il costato” – e il deludente giorno; la sua è una poesia che si fa spasmo di una lotta tra conscio e inconscio: tra la tangibilità delle cose e l’immaterialità del sogno. Solo terminato il buio, una risoluzione (forzata): “Il giorno può cominciare con me/ come un ferro da calza spinto a forza nella lana” (da Il giorno). Il durante persiste ancora: dare e togliere consistenza alla poesia è il gioco dei poeti, è il trascorrere delle ore tra luce e buio: l’oscillare della coscienza nella “morsa dei potevo“. Il sogno è di riflesso mostruoso, “[…] sono serpenti neri./ Entrano dallo spiraglio della porta/risalgono strisciando l’orlo del lenzuolo/li fermo al confine del piede/mi rannicchio – feto nella resa –/non hanno zampe./Sono solo sogni” (da Presenze).
Nel flusso di visioni ingannatrici, attaccarsi alle visioni del reale significa tenere il cuore allegro: “Ecco la mia notizia dei giorni virali:/ ho recuperato la vista/per necessità[…] ora sono costretta/ a guardare l’ostinazione/ degli oggetti / indifferenti e screpolati/ come me” (da Ostinazione virale). Prima di confondersi ancora una volta con l’incubo, schiacciarsi al suolo della realtà, mentre si aspetta il morire (o il risveglio): “Acqua distillata/caffè aceto/al mercato/sale grosso/detersivo lavastoviglie […] ennesima lista/di ennesimo giorno di mia/non morte” (da Lista). Tenere il cuore allegro è ispirarsi a un elemento vitale, guardare fuori dalla finestra, “Nella stanza vuota dalla grande finestra/ osservo il mare in tempesta./ Dal mare maestose emergono/ presenze primitive.” (da Sogno). “Emerge il gabbiano contorto nello spasimo” e anche per Viola Lo Moro si concretizza, in uno stramazzo, il male di vivere montaliano.
Ecco che allora il raggrumarsi delle proprie sensazioni avviene tutto all’interno, come da uno spazio chiuso sembrano arrivare – ed essere state scritte – le poesie di Viola Lo Moro. “La flebo metronomo/non segna il battito/ (un cuore, una arteria, un sistema)/scandisce invece l’attaccamento dell’esterno/all’interno“(da Monito). La necessità del “fuori” (che è anche solo esteriorità rispetto al proprio corpo/mente) si condensa in spinte vitali che, una volta impresse alle cose, ritornano in possesso dell’io, che qui straripa in un io-torrente: “Le notti scappo/risalgo l’io torrente/ per i canali venosi/mi bagno negli umori amari/pesco fantasmi[…] Torrente è il nome mio” (da Torrente). Un pulsare delle vene-torrente che investe anche l’amore, come le poesie della terza parte della raccolta di Cuore allegro, in dialogo con un “altro” che è un tu, poi un te, poi un “amore mio” e si estende alle altre sezioni un interloquire che sembra inedito e antico allo stesso tempo: una sfilza di tu, una amante, una mamma, una Eva e un babbo.
L’anatomia dell’allegria è forse il corpo della poesia, l’anatomia del cuore è la sua pulsazione che purifica, fluttuo arterioso circolare, poi un io che investe gli oggetti che diventano cose che, costrette al giogo emotivo dei nostri sentimenti, si caricano di sensi e significati finendo per avere vita. In fondo “Tieni il cuore allegro” è il monito a cui Viola Lo Moro risponde, da poetessa, con una promessa poetica, troppo conscia del fatto che la responsabilità di un poeta è fallace, come la lucidità della sua poesia… L’illusione di una risoluzione si palesa in versi cinici: “I capelli a ciuffi intrappolati vermi nel silicone della /doccia./ La seconda manifestazione/inutile in un mese” (da Visione d’insieme). Il continuo minare alle congetture risolutive del lettore è il compito del poeta, e quello della poetessa di questa raccolta, la cui unica risposta è la vitalità esagerata e prorompente della sua poesia, la quale già di per sé vuole essere una risposta-reazione al dominio delle non-risposte.
Qualcosa di altrettanto potente fa, tuttavia, Viola Lo Moro e cioè creare una postura, alla maniera montaliana del “ramo secco”. Tenere il cuore allegro è una maniera di stare al mondo e al contempo una maniera di fare poesia. Se per i poeti è “naturale” mantenere quell’andatura inclinata da ramo secco, è invece difficile sostenere la postura che Viola Lo Moro circoscrive nell’espressione Cuore Allegro. Poiché essere allegro non è essere felice perché allegria e felicità appartengono a campi semantici diversi.
Fonte immagine di copertina: Giulio Perrone Editore.