Non c’ero mai stato è il quinto romanzo pubblicato da Vladimiro Bottone, scrittore napoletano che qui indaga i temi del doppio e del rimpianto.
Non c’ero mai stato, sinossi
Ernesto Aloja è un editor di romanzi. Dopo trent’anni di onorata professione presso una casa editrice di Torino torna a Napoli, sua città natale, per godersi la pensione tra qualche amore senile e i problemi di salute. La sua quotidianità viene presto interrotta dall’arrivo di un dattiloscritto, la cui autrice è una tale Lena di Nardo. Trent’anni e costretta a una vita di stenti e sacrifici come la sua generazione, la ragazza riversa in quello che dovrebbe essere il proprio romanzo d’esordio tutte le esperienze della propria vita. Ernesto vede nella giovane un talento particolare nel descrivere l’amore e, seppur riluttante, decide di farle da editor e maestro. È l’inizio di un incontro/scontro tra due generazioni, ma anche l’occasione per Ernesto di rimuovere i veli dalla sua vita passata che per tanto tempo ha nascosto.
Non c’ero mai stato, storia di mancanze non colmate
Vladimiro Bottone pubblica per la collana Bloom della casa editrice Neri Pozza un romanzo che si distacca nettamente dalla produzione precedente, costituita da romanzi storici (L’ospite della vita, Rebis, Mozart in viaggio per Napoli, Vicaria).
Con il tramite di un quaderno di episodi (anzi, bloc-notes), Non c’ero mai stato è un romanzo che si apre a un ampio ventaglio di tematiche. Ernesto, prossimo ai sessant’anni, è un uomo con anni di esperienza nel campo dell’editoria che si appresta a vivere il prossimo capitolo della vita, quello della tranquillità di diritto, interrotto dall’entrata in scena di Lena di Nardo. Quest’ultima propone a Ernesto il manoscritto di un romanzo in cui si raccontano tutte le caotiche esperienze sue e di una generazione senza ambizioni e privata del proprio futuro. Ciò porterà Ernesto a mettere mano per l’ultima volta alle proprie conoscenze di editor per preparare l’esordio di una giovane scrittrice tramite un rapporto maestro-allievo, che diverrà anche occasione di scambio e scontro reciproco tra i due personaggi.
Lena infatti non manca di trascinare Ernesto nel mondo oscuro della sua generazione, fatto di serate alcoliche e sesso occasionale (argomenti che descrive minuziosamente anche in quello che dovrebbe essere il suo romanzo d’esordio). A sua volta l’uomo vedrà in quest’esperienza l’opportunità di scavare a fondo in un passato che vorrebbe soltanto abnegare, fatto di episodi dolorosi e a tratti crudi. Il tutto sullo sfondo di una Napoli cupa, dominata dal degrado delle strade e popolata di figure bizzarre e inquietanti.
Vladimiro Bottone scrive una storia che sembra avere alla base il rimpianto per una vita vissuta da osservatori e non da agenti delle proprie azioni (la scelta del titolo non è capriccio della casualità). Nel corso di 400 pagine sembra di intravedere in Ernesto le aspirazioni soffocate con la forza per mettersi al servizio degli altri. Non è un azzardo associare la figura dell’editor, oramai anziano e stanco, che ha rinunciato alla normalità della propria vita per compiere un atto di totale devozione verso il proprio lavoro, a quella del pasticciere del racconto di Raymond Carver Una cosa piccola ma buona. Da un lato la correzione di bozze, dall’altro la preparazione di torte e pasticcini per compleanni e matrimoni, esperienze legate alla repressione dei propri affetti naturali e al non poter essere protagonisti di quegli eventi per i quali si dà comunque il proprio apporto. La differenza fondamentale tra le due opere sta nel fatto che per Ernesto la letteratura è destinata a divenire presto vita e a non restare più confinata negli spazi di una stanza.
Vladimiro Bottone racconta il doppio come arte che si fa vita
Non c’ero mai stato riprende la tematica, tanto cara alla letteratura di ogni tempo, del doppio che si riflette in un altro il quale, a sua volta, trasforma l’arte in carne pulsante e viva. A ciò contribuisce anche lo stile, importantissimo in un romanzo di questo tipo: tendente all’elegante tramite l’uso di vocaboli ricercati, ma senza mai voler essere troppo zelante o ambizioso, usato anche nelle scene più degradanti e nelle descrizioni sessuali più spinte.
Ciro Gianluigi Barbato
Fonte immagine copertina: Ufficio Stampa