Debutto al primo posto della Official Albums Chart, disco di platino nel Regno Unito e negli Stati Uniti, disco d’oro in Belgio, Paesi Bassi, Italia e Svezia: Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols compie 46 anni, dichiarandosi ancora oggi padre musicale delle rivoluzioni culturali e di una gioventù alienata dal sistema che non ha ancora smesso di gridare.
Anarchy In the UK e Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols
Era il 26 novembre del 1976 quando i Sex Pistols, da poco sotto contratto con la Emi, lanciarono sul mercato Anarchy in the UK, presentando al mondo intero il manifesto musicale del punk e sfondando di prepotenza le porte di un panorama culturale che ancora incitava all’ordine e all’inquadramento sociale. Malcolm McLaren ci aveva visto lungo, probabilmente anche un po’ troppo. Sapeva benissimo a cosa andava incontro ponendo sul palcoscenico culturale britannico un cantante che usciva totalmente dai ranghi canori concepiti, si faceva chiamare Johnny Rotten e gridava al mondo intero di essere l’Anticristo anarchico. La canzone arrivò a vendere 55.000 copie in Inghilterra e arrivò al 38° posto delle classifiche britanniche, fino al momento in cui i Sex Pistols…non fecero i Sex Pistols.
Era il dicembre del 1976, e il Today Show aveva programmato un’intervista televisiva ai Queen sul canale nazionale di Thames Television. Purtroppo – o per fortuna – i Queen dovettero tirarsi indietro all’ultimo momento a causa di un terribile mal di denti che colpì Freddy Mercury poco prima dell’incontro con uno degli uomini che in quegli anni più andava a incarnare la “chiamata all’ordine” britannica : Bill Grundy. Il buco televisivo non era consentito, e l’etichetta discografica decise di proporre come rincalzo una giovane band che aveva da poco presentato al mondo la sua Anarchy In The UK: i Sex Pistols. Never Mind the Bollocks era ancora ben lontano dall’essere realtà, ma la band non aveva intenzione di rimandare ulteriormente il suo primo – e già d’impatto – saluto alla Gran Bretagna.
I Sex Pistols si presentarono quindi assieme ai Bromley Contingent, gruppo di seguaci della band che allora contava membri come Siouxsie Sioux (futura leader di Siouxsie And The Banshees), Billy Idol e Steve Severin. Ad un certo punto, mentre Grundy parlava serenamente di compositori classici, il solito Johnny Rotten si lascia scappare uno «shit» sottovoce. A quel punto, Grundy, pronto a provocare il provocatore per eccellenza, gli chiede di ripetere la parola senza pensare che Rotten, in realtà, l’avrebbe ben volentieri ripetuta ad alta voce e in diretta nazionale guardando dritto in camera. Seguirà poi un vano e poco duraturo tentativo di dialogo tra Siouxsie e il presentatore – intento a fare gli occhi dolci alla futura leader dei Siouxsie And The Banshees dopo che quest’ultima gli aveva detto di aver sempre sognato di incontrarlo – durante il quale Steve Jones chiamò Grundy «dirty bastard» (sporco bastardo), «fucking rotter» (fottuto mascalzone) e «dirty old man» (sporco vecchio). Il canale fu quindi tempestato da decine di telefonate di protesta nell’arco di pochi minuti: i Sex Pistols si erano ufficialmente presentati alla Gran Bretagna nelle loro vesti più irriverenti e provocatorie.
Esito finale: Grundy fu sollevato dalla conduzione del Today Show, e la Emi si ritrovò costretta a sciogliere il contratto con la band a causa del putiferio nel quale si trovò immersa. I Pistols risponderanno prontamente con Emi, una canzone che sarà registrata lo stesso mese e che troverà spazio nell’album l’anno successivo: «And you thought that we were faking, that we were all just money making. You do not believe we’re for real, or you would lose your cheap appeal?» fu il messaggio che Johnny Rotten, Paul Cook, Glen Matlock e Steve Jones lanciarono all’etichetta discografica. Nel 2017, Johnny Rotten dichiererà a Rolling Stone: «La EMI voleva ingaggiarci per mostrare che etichetta grandiosa e varia fosse, ma in realtà non lo era.»
Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols uscirà soltanto un anno dopo, il 28 ottobre 1977, in parte a causa degli enormi problemi di distribuzione: i Sex Pistols – dopo il licenziamento della Emi – persero anche il contratto con l’etichetta A&M, finendo per accasarsi con la Virgin, unica casa discografica disposta a compiere l’imperdonabile follia di lanciare i Sex Pistols sul mercato.
We’re Sex Pistols, we ain’t fake
«We’re not into music, we’re into chaos»– Sex Pistols
Nel frattempo, a causa di svariati contrasti con la band e l’intero management, il bassista Glenn Matlock decise di abbandonare il gruppo poco prima dell’inizio delle registrazioni di Never Mind the Bollocks. A prendere il suo posto fu Sid Vicious (all’anagrafe John Ritchie), grande amico di Johnny Rotten e spirito perfettamente in linea con l’animo punk della band, con un’importante particolarità…non aveva la più pallida idea di come si suonasse il basso. Sid lo suonò quindi nei brani Bodies e God Save the Queen, ma McLaren sapeva di non poter affidare l’intera registrazione dell’album a qualcuno che, di fatto, non sapeva proprio benissimo cosa stesse facendo. Venne quindi chiesto di nuovo a Matlock di suonare il basso per la band, anche se soltanto durante le registrazioni. Matlock chiese senza successo di essere pagato anticipatamente, e alla fine le registrazioni delle linee di basso del resto dell’album furono affidate al chitarrista Steve Jones.
Testi incredibilmente scorretti e politicamente provocatori, voce graffiante, suono veloce e distorto e voglia di gridare al mondo la ribellione di quei giovani alienati e ignorati dal sistema: i Sex Pistols erano pronti a sputare in faccia al mondo intero e a prendere a pugni l’Inghilterra.
Contemporaneamente all’uscita dell’album, sia la BBC che la Capital Radio di Londra proibirono la trasmissione in radio di tutti i singoli della band (Pretty Vacant esclusa), gli operai addetti all’imballaggio dei dischi nello stabilimento centrale della Emi si rifiutarono anche solo di toccare il disco dei Pistols e le autorità inglesi provarono – senza successo – a citare la band per l’uso provocatorio della parola «bollocks»(coglioni) nel titolo dell’LP, arrivando addirittura a minacciare i proprietari dei negozi di dischi della Virgin impedendogli di esporre l’album in vetrina ai sensi di una legge sull’oltraggio al pudore del 1899. Causa persa in partenza, perché oltre al numero vertiginosamente alto di copie vendute (circa 150.000 nell’arco di una sola settimana), la magistratura di Nottingham accolse le istanze della difesa circa un atto di discriminazione compiuto dalla polizia di Londra, che aveva incriminato solo ed esclusivamente i Sex Pistols per l’uso della parola bollocks e non il The Guardian e l’Evening Standard che l’avevano riportata pubblicamente citando il titolo del disco. Il giudice concluse il tutto dicendo: «Nonostante i miei colleghi e io deploriamo con tutto il cuore il volgare sfruttamento dei peggiori istinti della natura umana per meri profitti commerciali da parte tua e della tua azienda, dobbiamo con riluttanza trovarti non colpevole di ognuna delle quattro accuse.»
Il risultato del grido di ribellione dei Sex Pistols fu chiaro e semplice: pubblica indignazione, chiamata all’ordine, spauracchio generale e innumerevoli tentativi di sabotare il processo che ormai stava prendendo piede ovunque in Inghilterra. Il punk diventò il simbolo della crisi culturale e istituzionale inglese, e i Pistols compierono la folle scelta di far partire l’Anarchy Tour con i Clash nel bel mezzo del Giubileo Reale, facendo sì che un gran numero di comuni impedissero categoricamente alla band che stava mettendo sottosopra l’Inghilterra di accostarsi ai palchi del loro territorio, ma ormai era troppo tardi: la Gran Bretagna era già dei Sex Pistols.
Fonte dell’immagine per l’articolo su Never Mind the Bollocks: Wikipedia