Agnese Contini, con il suo brano Desert Earth, intende offrire una riflessione che pone l’accento sui disastri ambientali che stanno portando alla desertificazione di alcune zone della Terra e l’inaridimento emotivo che caratterizza il genere umano.
Il brano della chitarrista salentina si caratterizza per una profondità tale da fondere, grazie all’immediatezza del linguaggio musicale, considerazioni sul degrado dell’ambiente e sullo stato di degrado umano contemporaneo. Partendo dalla tematica della desertificazione, alimentata dal circolo vizioso di consumi intensivi e produzioni altrettanto intensivi, l’autrice scorge in tale fenomeno ambientale un correlativo oggettivo dell’animo umano, inaridito nei suoi valori, appunto, umani. Un messaggio critico e apocalittico, quello espresso in Deser Heart, ma al contempo catartico, nella speranza che l’uomo possa ancora redimere se stesso e riscattare il mondo in cui vive, rinverdendo i suoi valori e la Terra che abita. Tale messaggio, oltre che dalle sonorità folk-rock espresse dalla chitarra di Agnese Contini, è sapientemente posto in essere anche dal video che accompagna e integra il brano; tale video, per la regia di Chiara Vantaggiato, fornisce concrete immagini ai suoni, legati insieme indissolubilmente da una riflessione che abbraccia l’uomo come individuo e al contempo come collettività.
Desert Earth di Agnese Contini: degrado ambientale e inaridimento emotivo
Ciao, Agnese. Prima di parlare del tuo nuovo e suggestivo singolo Desert Earth, parlaci un po’ di te: chi è artisticamente Agnese Contini?
Non sono nata in una famiglia di musicisti, ma ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre stimolata all’ascolto della musica (dalla classica al rock anni ’60-’70-’80) e che ha sempre supportato lo studio della musica stessa. Ho iniziato a studiare chitarra classica all’età di 12 anni, portando avanti lo studio sino a tutti gli anni del liceo. Una volta iscritta all’università, però, ho dovuto mettere temporanemente la musica da parte e questo mi è pesato molto, ma è stato l’evento che mi ha fatto capire che non potevo fare a meno della musica. Perciò qualche anno dopo la mia laurea, ho ripreso a suonare e poi ho iniziato a comporre. All’inizio scrivevo musica e testi, poi mi sono resa conto che nei solo per chitarra o nelle composizioni strumentali mi sentivo più a mio agio. E così ho portando avanti la mia ricerca sul suono e da un anno e mezzo a questa parte ho iniziato a studiare anche il banjo.
Desert Earth, un’assonanza che pare avvilupparsi su se stessa come la sabbia di un deserto; una partitura che possiede la voce della terra madre, della sabbia e di un turbine di emozioni: cosa puoi dirci del tuo singolo partendo da questi concetti?
Quando ho iniziato a comporre Desert Earth non sapevo bene dove mi avrebbero portato quelle note. In generale è sempre la musica ad arrivare per prima. Dalla composizione poi traggo le mie conclusioni, basandomi un po’ sulle emozioni o sulle riflessioni che faccio nel periodo che sto vivendo mentre compongo un brano. Cercavo sicuramente delle sonorità calde che mi suggerissero lo scenario di un deserto. In questo modo è nato un primo parallelismo con il tema della desertificazione climatico-ambientale, tema al quale sono molto legata e interessata, ma ho capito anche che questa condizione è strettamente collegata all’agire umano. Alla base di tutto c’è molto egoismo e un atteggiamento passivo da parte delle persone. Se ci riflettiamo bene, è come se la questione climatico-ambientale non ci riguardasse o si rifacesse ad un futuro chissà quanto lontano, quando invece gli effetti li vediamo già ora nel tempo che viviamo.
In Desert Earth sembrano librarsi e liberarsi accordi con una “tonalità calda”, costituiti da toni principalmente bassi della scala musicale. In che modo la musica restituisce il senso di ‘desertificazione del cuore’?
Partendo dalle considerazioni che ho fatto nella risposta precedente e dal fatto che la nostra società si dimostra un po’ come uno “spettatore passivo” nei confronti dei disastri ambientali, penso che alla base ci sia poca conoscenza e consapevolezza di questi fattori, oltre che uno spiccato egoismo. Egoismo che si manifesta nelle scelte che facciamo (inquinare, sopraffare gli altri). Di conseguenza è come se l’ambiente riflettesse questo nostro agire; nel caso più specifico, il deserto diventa l’ambientazione che rende al meglio la perdita dei nostri valori.
Al minuto 1:50 circa avviene un cambio di ritmo che determina una diversa percezione della narrazione musicale. Qual è a livello emotivo tale variazione?
Il brano porta con sé un messaggio molto cruento e descrive un paesaggio quasi apocalittico, ma le variazioni tonali e ritmiche vogliono comunque dare un sentore di speranza allo scenario.
Desert Earth esprime il suo senso profondo, il rapporto tra vita umana e ambiente, grazie anche al video che lo accompagna. In che modo hai lavorato con la regista Chiara Vantaggiato per la realizzazione delle sensazioni espresse dal video?
Abbiamo iniziato a lavorare a questo video, cercando delle location che potessero restituirci un senso di “aridità”: il Salento è pieno di spiagge sabbiose, in effetti. Ma ci siamo voluti rifare ai deserti dello Utah, anche per le sonorità folk-rock che in alcuni punti il brano richiama. Così, dopo una serie di sopralluoghi, abbiamo pensato che la Cava di Bauxite di Otranto, come anche le scogliere dorate di Tricase Porto, sarebbero state perfette per lo scopo e ci avrebbero fornito gli stessi colori caldi dei deserti americani. Il tutto poi si è sposato bene con la capacità della regista Chiara Vantaggiato che ha curato anche i costumi e ha avuto l’intuizione d’introdurre le figure danzanti che si sarebbero alternate alle scene di noi musiciste, un po’ come a voler rappresentare i rapporti umani.
Uno dei momenti, a mio avviso cruciali, del video che accompagna e completa Desert Earth è quello in cui appari, con le mani cosparse di terra e sabbia, vestita di bianco: cosa puoi dirci a proposito di questo passaggio?
Come dicevo prima, abbiamo cercato di restituire con le immagini l’idea di aridità, ma soprattutto rendere visivamente l’idea di inaridimento umano e perdita dei valori. Nella scena dove ho gli avambracci e le mani cosparse di argilla, la regista ha sapientemente immaginato di creare un “effetto crepa” su alcune parti del corpo, come a voler simulare l’idea di una figura umana che si “sgretola”, perché ha perso tutti i suoi principi e i suoi affetti e si ritrova a vagare da sola nel deserto.
Dal punto di vista tecnico, il tuo modo di suonare la chitarra lascia presagire una concezione dello strumento come un’orchestra da cui trarre tutte le possibili sonorità; un tratto che appare anche nelle composizioni strumentali del tuo precedente album Dinamiche del volo (NOS Records Label, 2023): cosa puoi dirci del tuo modo di concepire la chitarra?
Grazie infinite per questa osservazione. Ho un rapporto molto spontaneo con la musica, nel senso che cerco di tirar fuori un’idea che ho nella testa senza conoscerne il motivo e facendomi trasportare un po’ dallo stato d’animo del momento. In generale cerco sempre di fissare un motivo iniziale per poi espandere il lavoro e perfezionarlo in momenti diversi. Nel mio primo album ho voluto sperimentare con le diverse tipologie d’accordatura e questo mi ha dato la possibilità di spaziare molto sull’intonazione. Questo, inoltre, mi ha consentito di dare in un certo senso anche una chiave di lettura ai miei lavori. Per esempio in Dinamiche di volo ho pensato di sviluppare le tracce con un’intonazione in crescendo, partendo dalla prima traccia accordata in do, la seconda in re e via discorrendo, proprio a voler simulare un volo per l’appunto. L’accostamento della mia chitarra ad altri strumenti, un quartetto d’archi, piuttosto che un basso e una batteria, completa un po’ la mia idea iniziale ed è un qualcosa che posso immaginare gradualmente oppure da subito.
Prima di salutarci, Agnese, puoi dirci di progetti futuri?
In questo momento della mia vita, oltre al fatto che sto componendo nuova musica, sto anche perfezionando le mie competenze e studiando tantissimo. Questa è una cosa che continuerò a fare sempre. Come dicevo, sto studiando anche il banjo che è uno strumento che come la chitarra ho sempre amato e che sta cambiando molto il mio modo di percepire il ritmo e di suonare. Quindi credo che in futuro lo vedrete accompagnare le mie canzoni.
Grazie di cuore ad Agnese Contini per aver dialogato circa il suo singolo Desert Earth, da ascoltare attraverso questo collegamento ipertestuale.
Fonte immagine: Agnese Contini, Desert Earth