Canzoni dei The Cure: 4 da ascoltare

Canzoni dei The Cure: 4 da ascoltare

I The Cure sono una band post-punk britannica nata nel 1976, celebre grazie al suo fondatore  Robert Smith e alle loro canzoni, da sempre manifesto della musica e della cultura gotica. I The Cure sono tra i gruppi new wave più longevi della storia della musica, fonte di ispirazione di generi come il darkwave e di rock band come i Franz Ferdinand, The Strokes e gli Interpol. A partire dagli anni ’80 e dal loro secondo album Seventeen Seconds, il mood del gruppo prende una strada differente, con melodie più cupe e toni caratterizzati da accordi minori, riverberi e melodie, creando un sound che verrà associato al rock gotico.

Scopriamo insieme 4 dei loro brani più iconici:

1) Lullaby

Lullaby è il primo estratto dell’album Disintegration, pubblicato il 10 aprile 1989. Il Brano è celebre per il suo sound oscuro e suggestivo, nonché per il suo enigmatico ed intrigante testo. Come molte delle canzoni dei The Cure, anche Lullaby è una traccia a libera interpretazione, che trasmette negli ascoltatori un senso di disorientamento e di mistero. Secondo molti appassionati il brano esplora una serie di tematiche di vario tipo, a partire dall’ansia e la depressione, per arrivare ai problemi legati alle relazioni tossiche ed alle dipendenze, di cui lo stesso Robert Smith è stato vittima. Dal punto di vista del sound il brano è incredibilmente equilibrato; i riff di chitarra e suoni del sintetizzatore sono perfettamente bilanciati con l’inquietante ma travolgente voce di Robert Smith. Il risultato è una canzone che rispecchia perfettamente il genere post-punk e goth nella loro migliore espressione.

2) Boys Don’t Cry

Rilasciata come singolo nel 1979 e successivamente inclusa nell’omonimo album, Boys Don’t Cry è indubbiamente una delle canzoni più iconiche dei The Cure. Il titolo del brano è puramente ironico e provocatorio, la band afferma che i ragazzi non piangono, attaccando una società fatta padrona dalle norme di genere e dove gli uomini che esprimono i propri sentimenti apertamente sono considerati deboli. Tutto questo si trasforma in un continuo senso di frustrazione e di incomprensione, portando gli stessi uomini a chiudersi in sé stessi ed apparire forti e decisi per essere conformi alle norme sociali. Il tutto è condito con un riff di chitarra coinvolgente e malinconico allo stesso tempo, proprio a rimarcare lo stesso intento del brano.

3) Close to Me

La canzone è estratta dall’album The Head of the Door, ed è uno dei brani più popolari dei The Cure. il tema alla base della traccia è la complessità delle relazioni amorose; nel testo viene espresso il senso di paura legato al desiderio di voler essere vicini a qualcuno non più presente nella nostra vita. Secondo molti appassionati il brano è legato ad un’esperienza personale vissuta da Robert Smith, il quale, nel periodo di stesura del testo, si sentiva particolarmente distante da una persona che amava. Si tratta di una canzone ancora attuale, la traccia infatti è capace di farci comprendere quanto l’amore ci renda vulnerabili e quanto sia importante mettere in conto una delusione nelle relazioni amorose.

4) One Hundred Years

Il Brano è estratto dall’album Pornography del 1982 ed è una delle canzoni più cupe ed oscure dell’intera discografia dei The Cure. La struttura della traccia è particolarmente complessa; i toni tetri e distorti della chitarra e l’enigmatico testo riflettono lo stato d’animo di Smith in quel periodo. Lo stesso artista affermò che durante la realizzazione dell’album si sentiva spesso disorientato e addirittura disgustato da tutto ciò che lo circondasse. Lo stesso titolo (tradotto: cento anni) rimanda ad una simbolica data limite, secondo molti a simboleggiare la breve durata della vita umana, alludendo quasi ad un approccio nichilistico. Il brano spazia tra una serie di differenti emozioni e lascia un suggestivo alone di mistero, tanto da essere di ispirazione per numerosi gruppo goth rock, post-punk e darkwave alla continua ricerca di queste sensazioni.

Fonte Immagine: Wikimedia commons

 

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