Endkadenz vol.1, sesto capitolo dei Verdena

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verdena«Endkadenz – effetto scenico teatrale – per la sua realizzazione Kagel prescrive: “Colpisci con tutta la forza possibile sulla membrana di carta del VI timpano, e nel frattempo, nella lacerazione prodotta, infilatici dentro tutto il tronco. Quindi resta immobile!”».

Endkadenz, sesto album in studio dell’affermata band bergamasca che rompe un silenzio durato 4 anni, prende nome dal folle atto teatrale citato da Guido Facchin in Le percussioni. I Verdena, nati ad Albino nel ’95 dai fratelli Luca (batteria) e Alberto (voce, chitarra e tastiere) Ferrari, ai quali si è successivamente aggiunta al basso Roberta Sammarelli, ne hanno percorsa di strada, affermandosi tra le migliori band dello stivale. Stiamo parlando non di un disco finito, bensì del primo volume di un’opera che sarà completa solo nella seconda metà del 2015, con l’uscita di Endkadenz Vol. 2.

«A differenza dei dischi precedenti, abbiamo fatto tutto assieme, jam e qualche costruzione di pezzo. Più che altro creiamo improvvisando, non stiamo a pensare alle note. Se Wow era più studiato, Endkadenz è venuto fuori più naturalmente». [Alberto F. per il Mucchio]

Il trio si è trovato a lavorare su circa 300 brani, una mole incredibile di materiale. L’imprevista rottura degli strumenti di registrazione ha agito da catalizzatore, allungando i tempi di composizione e spingendo il gruppo a lavorare su brani acustici scritti al pianoforte, questa volta acustico, rispetto al piano elettrico usato in Wow. Di questi brani 26 sono stati scelti per la pubblicazione, ma l’uscita dei due volumi separati è stata obbligata dall’etichetta Universal, la quale da qualche anno non pubblica doppi dischi. Ma con le sue 13 tracce il disco appare completo, ben organizzato e definito. Non quindi un discorso abbandonato a metà: al brano di apertura Ho una fissa, il primo ad essere composto ed il più incisivo e industrial (a cui tiene testa Derek, con sonorità noise) seguono brani come Puzzle e Nevischio, in cui la fanno da padrone strumenti acustici, o  come Diluvio, nella quale si riconoscono i colori di Blue veins dei The Raconteurs, giungendo ad Inno del perdersi, penultimo brano, le cui tracce sono quelle della jam session originale con l’aggiunta di testo e finale (un trionfo chitarristico di eccezionale bellezza, ispirato a capolavori d’atri tempi come Sysyphus dei Pink Floyd e Bohemian Rapsody dei Queen). Per concludere con Funeralus, dall’inizio classicheggiante ma che muta rapidamente introducendo sonorità elettroniche scure ed attuali che ricordano i Radiohead di In Raimbows. Un lavoro nuovo per i Nirvana italiani, che alterna colori caldi e freddi, mettendo un po’ da parte la loro indole più heavy ed industrial, alla quale è comunque lasciato il debito spazio. Davvero ottimo il missaggio che riesce a far convivere un orchestra sintetico di archi e fiati con le chitarre, sia molto distorte dal sound vintage che limpide ed acustiche. Diversa dal solito è la voce: minore  è il numero di controvoci rispetto ai precedenti lavori, ma il vuoto è colmato dal fuzz Petra, prodotto da Effettidiclara, il quale oltre a sporcare aggiunge un’ottava, ottenendo un risultato fumoso. A causa della distorsione risulta difficile la comprensione di alcune parti cantate e pertanto lo stesso gruppo consiglia di eseguire il primo ascolto con il booklet alla mano. Accanto a batterie acustiche sono stati utilizzati beat elettronici e distorti:”L’abbiamo scritta in un momento dove era successa una cosa molto grave in paese, inizialmente si chiamava Cigaretta perché era dedicata a questa persona. E nel nostro paesino di 1150 persone quando succede una cosa simile tu, per rispetto, non puoi suonare la batteria. In quel periodo abbiamo fatto solo canzoni con la batteria elettronica, una di queste è Sci desertico.” [Alberto F.]

Interessante è la copertina: dominano colori caldi e i nomi delle tracce si trovano sul davanti: “La copertina l’abbiamo fatta io e Luca insieme al nostro grafico, Paolo de Francesco. Volevamo somigliasse a una locandina cinematografica e fosse in odore di bolero; non ricordo bene quale film avessimo in mente… forse Ultimo Tango A Parigi. La scelta è stata sofferta. Volevamo restituisse un effetto un teatrale. Penso che il risultato richiami anche la Pop Art; certi dipinti di Warhol hanno lo stesso tipo di contrasto.” [Alberto F. per Il Fatto Quotidiano]

Per dare un giudizio completo e definitivo è indispensabile aspettare l’uscita del secondo volume. Intanto i Verdena hanno iniziato una tourneé che li porterà in giro per lo stivale, tra le quali segnaliamo la data dell’8 marzo alla Casa della musica di Napoli.

– Endkadenz vol.1, sesto capitolo dei Verdena –

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