Ferruccio, 24 anni, rapper del collettivo Soffitta Produzioni. Il 24 marzo è uscito il suo disco d’esordio intitolato Zero: 14 tracce, che racchiudono 5 anni di vita, per un ascolto di 42 minuti circa, denso di parole, sensazioni, riflessioni. Appassionato di musica, ancor più della scrittura, innamorato dalle parole, Ferruccio porta avanti un progetto composto di tante voci dell’io differenti che si ritrovano tutte a dialogare tra di loro, con rime nuove, intrise di significato, poco retoriche, piene di vitalità. La scrittura è la sua Mecca, luogo privilegiato in cui non è sempre facile arrivare per cogliere la vera poesia; il suo è un percorso che definisce né semplice né semplificativo, che porta sempre a ripartire da zero.
Intervista a Ferruccio
Chi è Ferruccio? Com’è stato il percorso di creazione del tuo album Zero?
Sono un rapper, mi chiamo Ferruccio, faccio parte della Soffitta Produzioni, il centro di produzione in cui è nato ed ho registrato il mio disco Zero; un collettivo di dieci persone circa, tra rapper e beat maker, produttori e grafica: il mondo in cui mi muovo e creo la mia musica. Il disco ho iniziato a registrarlo 4-5 anni fa, lo definisco infatti un percorso tortuoso, se penso che i primi brani composti risalgono a quando avevo 18-19 anni e adesso ne ho 24. Un processo lungo, tra scrittura, registrazione, missaggio, anche per questo si chiama Zero. È un disco in cui credo, un disco dinamico; sono consapevole che sia una specie di zibaldone, dal risultato finale omogeneo, a cui rimarrò affezionato proprio per il lungo tempo speso per crearlo.
Cosa è cambiato, quindi, dalla scrittura delle prime canzoni alle ultime dell’album?
Ribadisco che Zero è un disco che alterna brani scritti quando avevo 18 anni ed altri composti recentemente. Il cambiamento l’ho avvertito nella spontaneità che avevo nel creare: la magia degli inizi, dove le canzoni nascevano con una naturalezza disarmante, ha lasciato il posto ad una maturità stilistica; infatti adesso quando mi approccio alla scrittura, la vivo come una questione tecnica, anche perché negli anni, ho affinato la gestione dei brani, la struttura, la forma canzone, dando sempre però spazio al lato emozionale, una costante nella ricerca artistica. Un esempio di cambiamento di struttura è il passaggio da Minuti inutili a Come Lebron. Minuti inutili è una delle prime canzoni scritte, con la classica struttura rap, strofa ritornello strofa ritornello; Come Lebron invece è più maturo a livello lirico, ha una struttura più fine, più organizzata, che spazia tra i ritornelli e concede più libertà.
Che cos’è per te la Soffitta Produzioni, il luogo dove è nato ed è stato prodotto il tuo disco? Come è strutturata la Soffitta e quanto ha influito sulla scelta artistica del tuo album?
Una famiglia allargata, un termine forse poco professionale, ma più vicino alla realtà: siamo degli amici che condividono una passione e da ormai 8 anni, quasi quotidianamente, cercano di ritrovarsi per creare musica. C’è Trisha che lavora alle grafiche, Ghetosoffittaman ed altri che producono, ci sono beat maker, insomma: è un lavoro collettivo. Essendo un rapper che non produce sue basi, trovo sempre necessario il confronto con il beat maker, creando una sorta di compromesso; il progetto che ne viene fuori, non è più solo mio, ma di una collettività di persone che credono in quello che fanno e che si muovono tutte nella stessa direzione.
14 tracce per un primo album sono tante, si vede che è il lavoro raccolto in più anni di vita, eppure solitamente come esordio la musica gira in formato EP o di singoli a catena. Quale scelta c’è dietro la pubblicazione di così tante tracce e com’è stato pubblicare un album in piena emergenza Covid19?
Ne ho scelte 14, perché credo fortemente in tutte queste tracce. Ammetto di avere un problema di scrittura eccessiva, vivo la smania di voler far uscire nuovi brani. È questo il fil rouge che ha portato alla pubblicazione di numerose tracce: anacronistica come scelta ma romantica. Per quanto riguarda l’emergenza covid, ho cercato di trarne l’aspetto positivo: avendo più tempo a disposizione, l’ascoltatore ha modo di dare una possibilità in più a me e al disco; sicuramente il disagio c’è stato e riguarda la pubblicazione dei singoli: prima che si chiudesse tutto, stavo registrando il video di Minuti Inutili, che doveva anticipare l’uscita dell’album; non potendo più terminarlo, ho scelto di far uscire, 4 giorni prima dell’esordio, il brano Pellegrino, chiedendo un art work a Trisha come video.
Ascoltando il tuo album, si percepisce che attribuisci un grande peso alle parole, soprattutto nella scelta dei vocaboli e nelle rime, che evitano ogni banalità. Come costruisci i tuoi testi? Ricerchi le parole, oppure sei uno dal vocabolario molto vasto anche nel parlato quotidiano?
La scrittura è la mia passione, i testi sono ciò a cui tengo di più. Non sono una persona molto sicura di me e spesso non vedo il buono in ciò che faccio, ma se dovessi elencare una mia qualità, è questa: saper scrivere. Da una parte la scelta dei vocaboli è un’attitudine intrinseca, dall’altra una ricerca, anche perché reputo che la scrittura sia di per sé una ricerca, da non perseguire però in maniera ossessiva, altrimenti poi si perde la poesia. Nella fase di creazione, ad esempio, mi piace riprendere frasi che ho appuntato nei momenti più disparati della quotidianità: quella che è solitamente chiamata ispirazione per me è un dono. Bisogna essere anche autocritici, soprattutto per potersi migliorare, infatti credo che un difetto del disco sia il suo essere molto verboso, una peculiarità che può piacere, ma può anche portare l’ascoltatore allo sfinimento.
Ringrazio Ferruccio per la disponibilità
[Foto di Ferruccio]