In occasione del Palazzo Reale Summer Fest, Giovanni Truppi si esibisce il 23 luglio nell’atmosfera incantata dei Giardini Romantici. L’artista napoletano ci regala due ore piene di musica, senza alcuna interruzione.
Truppi si forma sin da piccolissimo come pianista. È affezionato a tal punto al pianoforte da avere l’idea folle di segarlo per renderlo facilmente trasportabile e per stabilire con i suoi suoni un rapporto più fisico, poterli afferrare e abbracciare. Ogni volta, su un palco diverso, deve infatti smontare e rimontare i pezzi da lui stesso costruiti, che poi è, forse, anche un modo strategico per ritrovarsi intero e confessarsi. Non vuole scendere a compromessi per non ridurre la sua arte e, in maniera semplicistica, adattare i suoi componimenti ad una tastiera. Melodie e parole sono frutto di una mente creativa fortemente autoriale e sincera, i tasti del piano non possono che avere il tocco magico del suo lavoro di artigianato. Durante la sua carriera, fabbrica se stesso, svela la complessa architettura della sua storia, inventa lo strumento per raccontarla.
Giovanni Truppi compie la sua ascesi sul palco senza scomparire
Il mondo è come se lo mette in testa e, non appena comincia a suonare i primi due accordi, già ci concede di entrare a piccoli passi nella sua scatola-cranio. Si accendono le luci e nei nostri occhi riflette subito il barlume di una visione nuova, in parte misteriosa, ma – per qualche intima connessione stabilita con il pubblico – familiare. Il corpo è quello nudo di un cantante che si spoglia e non ha alcun bisogno di presentarsi, di sprecare fiato a parlare. Ripercorre il suo viaggio di formazione interiore nella maniera più autentica e a lui affine: la narrazione musicale.
Ogni canzone è un frammento di un testo: il grande Canzoniere della sua anima. L’intero concerto prende forma come un percorso evolutivo: dalle ansie e crisi della giovinezza, alle scelte consapevoli dell’età più matura. L’adulto ha ormai il coraggio di vivere i sentimenti e ha scoperto di avere dentro di sé un’enorme risorsa: l’unica oltre l’amore che conduce alla salvazione.
L’amore è il filo conduttore della sua opera-esibizione, in tutte le sue forme più disparate. Amici nello spazio è la rivelazione di un rapporto amicale così intenso e sospeso in una dimensione di sogni, speranze e attese nel presente da riuscire a staccarsi da qualsiasi vincolo con il contingente. Mia riavvolge il nastro di una storia d’amore e preserva il prezioso retaggio di quello che solo questa esperienza emotiva è in grado di sottrarre e donare. Le difficoltà personali diventano superabili attraverso l’incontro di due solitudini. Le «cose scure» e le «cose chiare» si confondono sul palcoscenico, tutto è penetrabile in profondità e reversibile, a partire dalle sonorità con cui i musicisti giocano e sperimentano, fino ai testi che divengono mantra, preghiere, richieste d’aiuto. Insieme a Truppi ci si sente – almeno per una sera – dei cavalieri con l’elmetto pronti a combattere contro le proprie paure. Amare è riconoscersi e definire la propria identità, cosa non semplice da fare per uno che, nel nome di Giovanni, racchiude mille personalità: sono in tanti lì dentro e, come un abile trasformista, ce li mostra tutti.
Il suo volto è estremamente espressivo, come quello delle maschere tipiche della sua Napoli. La comunicazione con il resto della band sembra avvenire per spasmi e convulsioni, generati dal rapporto viscerale con la strumentazione e la produzione fonica. Giovanni Truppi è uno spettacolo vivente, si sente tutta la sua corporeità: la sua leggera gestualità e ogni mimino movimento comunicano quanto il canto. Le energie che propaga creano un ampliamento volumetrico dello spazio in cui ci si trova: è un perimetro protetto e ondeggiante.
Gli argomenti spigolosi non mancano anche in quelle canzoni che sono come una culla, un grembo materno. Scomparire è un modo per ascendere al trascendente o una condizione-fantasma, figlia di un disagio interiore? L’autore non risponde, pone solo la questione e ci offre delle vie alternative: salire su un’astronave o un abbraccio strettissimo per provare la sensazione di decomporsi e fluire.
Se nel suo cervello ci sta tutto l’universo, non c’è soluzione alcuna per sfuggire: il «giovane uomo» deve accettare di esserne parte e rendere interessante il suo passaggio sulla Terra, per lasciare un sottile ma indelebile segno di cambiamento. Allora chi ha avuto la fortuna di poter partecipare a questo allegro sgomento che il suo concerto ha rappresentato, può affermare con certezza: “Stai andando bene Giovanni!”