I Dade City Days nascono a Bologna nel 2013. Formato da Michele Testi (batteria, drum machine), Mara Gea Birkin (basso, voce) e Andrea Facchini (voce, chitarra, synth), il gruppo fa il suo esordio discografico nel febbraio 2016 con VHS (etichetta Swiss Dark Nights), album dall’anima elettronica new wave e shoegaze. Nel nuovo lavoro, Free Drink, uscito per Nesc’i Dischi lo scorso 15 novembre, la band mantiene la sua attitudine dream new wave virando su una scrittura maggiormente narrativa che si affaccia su relazioni e storie d’amore fugaci, della durata di un drink. Da diversi anni in giro per l’Italia, da Cerea (Verona) a Reggio Calabria, con anche due date all’estero, in Austria e Slovacchia, i Dade City Days ci hanno raccontato di Free Drink e del processo creativo dal quale è nato.
Intervista ai Dade City Days
Cosa potete dirci di Free Drink?
Avevamo voglia di sperimentare cose diverse, pur rimanendo ancorati a quello che avevamo fatto con il primo disco. Ci piaceva l’idea di riuscire a continuare a scrivere in italiano dando più spazio alla voce che in un genere come il nostro è spesso molto più dentro al suonato. Il primo pezzo abbozzato fu “Astro Pop”, era immediato e rimaneva molto in testa e capimmo che poteva essere la strada giusta per un nuovo lavoro. Volevamo che il disco e soprattutto i contenuti fossero più narrativi, che parlassero di cose reali, situazioni vissute, insomma un bel cambiamento per noi.
I titoli dei brani corrispondono a nomi di cocktail?
Non l’abbiamo deciso subito, abbiamo sempre chiamato le bozze dei brani in modi abbastanza semplici: jeans, dream, playlist, più che altro per capirci tra di noi quando le dovevamo provare. Poi è nata “Long Island” e ci piaceva il fatto che un titolo del genere trasmettesse subito un’immagine, un sapore, ed essendo un disco dai contenuti molto notturni e da club abbiamo pensato di identificare ogni pezzo con un cocktail che lo potesse caratterizzare. Alcuni sono drink molto popolari, altri come “Astro Pop” o “Hi-Fi” sono stati scelti più per il nome e il concetto che a sua volta richiamava.
Avete tantissimi live in programma, qual è stato il riscontro del pubblico finora?
È ancora presto da dire, ma abbiamo notato un po’ più di attenzione, forse perché dopo il primo disco c’è sempre un po’ più di curiosità di sentire i pezzi nuovi. È anche più difficile capire quali pezzi mettere in scaletta e come amalgamare i brani vecchi e nuovi tra di loro.
Cosa è cambiato nel processo di composizione tra il primo disco e questo?
“VHS” era più diretto, abbiamo suonato tanto durante le prove e da lì sono nate le idee per andare in studio. Abbiamo anche iniziato a suonare i brani dal vivo ancor prima che venissero incisi e quindi decidevamo cosa funzionava e cosa no anche grazie alla risposta del pubblico durante i live. “Free Drink” è stato praticamente l’opposto.
Le idee dei brani sono partite da Andy con chitarra e voce, Mara dopo le prime linee vocali ha scritto i testi e da lì poi abbiamo scritto le partiture dei synth e delle drum machine per poi affinare i suoni in studio. Abbiamo potuto così calibrare ogni suono per come l’avevamo in testa ricercandolo poi nell’atto pratico di suonarlo. Detta così sembra semplice ma è stato un processo molto più complesso.
Confermate dunque quel luogo comune che Caparezza efficacemente sintetizza nel brano ‘Secondo me’: “Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista“? Davvero il primo album definisce un artista e un gruppo in maniera tale che sia difficilissimo dare un’altra immagine rispetto a quella che è stata percepita nel primo lavoro?
Il secondo lavoro è indubbiamente più complesso. Alcune band preferiscono calcare il sentiero del primo disco rimanendo ancorati a una specie di comfort zone. Magari si è capito che un certo tipo di suono piace e funziona e non si ha voglia di cambiare troppo. Alcuni invece vogliono provare sentieri nuovi, è sicuramente qualcosa di più difficile ma magari serve anche per un discorso di crescita e di sperimentazione. Noi abbiamo preferito provare la strada più difficile ed è stato molto stimolante.
Fonte immagine: ufficio stampa Nesc’i Dischi