Intervista a Giacomo Pratelli, in arte “Godot.”
Artista armato di sorriso e ukulele, che dal 2017 ha finalmente deciso di aprire le porte della sua camera per far arrivare la sua musica alle orecchie di tutti. Dopo il primo EP pubblicato nel 2017, chiamato Me ne vado a Londra, il cantautore ha preferito la strada dei singoli, pubblicando da un anno a questa parte quattro diversi brani: Controtempo, Come Ciliege, Milano Mon Amour e Oppure. In autunno uscirà il suo nuovo album Controtempo.
L’intervista a Godot.
Chi è Godot.? Come nasce la tua musica e qual è il tuo background?
Mi chiamo Giacomo, in arte “Godot.”
Sono una persona allegra, anche se molti dei miei brani riflettono la parte di me più malinconica. Sono cresciuto pane e cantautorato, infatti non ho ricordi che non siano associati alla musica italiana di De Gregori, Battisti, Dalla, anche perché i miei genitori sono appassionati di musica e suonano: papà batterista e mamma pianista, quindi ho sempre ascoltato tanto a casa. Da bambino volevo essere tutto tranne che simile ai miei, che invece mi hanno iscritto a molti corsi di musica e strumento… immancabilmente mollavo proprio perché non volevo entrare in questo giro ed essere come loro. Quello che invece mi ha sempre contraddistinto è la scrittura: ho sempre scritto, inizialmente di nascosto, non facevo ascoltare niente di mio. Dalla mia prima canzone a 13 anni, fino ai 20, ho sempre e solo cantato con mia cugina che mi accompagnava alla chitarra, buttando giù la musica insieme, dentro una cameretta. Nel frattempo a 15 anni mi sono iscritto a lezioni di canto ed ho incontrato un’insegnante strepitosa: la lezione è diventata un momento in cui fare arte, un momento in cui ero totalmente libero. Proprio a lei ho deciso di far ascoltare le mie canzoni e abbiamo lavorato insieme ai brani. Nel 2017, avevo 23-24 anni, la mia insegnante mi ha suggerito di fare qualcosa di più: mi ha presentato Simone Pirovano, attualmente il produttore con cui arrangio, dal nostro incontro è nato un EP auto-prodotto, intitolato “Me ne vado a Londra”. Così il 21 marzo 2017 per la prima volta sono uscito e ho fatto ascoltare agli altri la mia musica.
Spulciando su Spotify, digitando il nome Godot, si nota la presenza di molti progetti musicali che utilizzano questo pseudonimo. Tu quando hai scelto di essere Godot.?
Lavoro nel mondo del teatro e sono appassionato di Beckett, autore di Aspettando Godot. Oltre al testo che Beckett ha scritto, sono molto legato all’idea dell’attesa, la vivo come un’esperienza molto poetica, perché mentre aspetti, potrebbe accadere di tutto. L’attesa è un momento che vivo con ansia, nel suo senso più positivo, proprio perché al suo interno c’è il piacere di aspettare. Il mio nome d’arte è Godot., con il punto finale e devo dire che quel punto mi ha salvato: su Spotify infatti ho scoperto un caso di omonimia di una band Metal tedesca sciolta nel 2007 e la mia musica era finita sotto quel profilo lì.
Durante la quarantena il tuo profilo Instagram è stato palcoscenico di molti format creativi: quiz, dirette, modi alternativi di far arrivare la propria musica alle orecchie altrui. Come gestisci i tuoi social? Quanto sono importanti per te? Quanto conta la creatività nel costruire un’immagine?
Io non ho nessuna base e conoscenza specifica dei social; solo quando ho aperto il profilo artista di Godot. ho poi iniziato a comprenderne la potenzialità, in quanto molti avevano scoperto la mia musica attraverso Instagram. Da lì ho deciso di investire su questi network, lavorando con la mia creatività, una dote che mi contraddistingue fin da quando sono piccolo. Ad inizio marzo, con la quarantena, mi sono trasferito dai miei, che abitano vicino casa mia e mi sono trovato nella condizione di dovermi ricreare. I primi giorni ho scritto musica, poi mi son detto di sfruttare i social network: ho sperimentato il format del quiz che si trova nelle stories di Instagram, proponendo un “quizzettone della quarantena”, con tanto di sigla, un quiz a carattere generale, che ha da subito ricevuto un riscontro tale da diventare un programma fisso; lo stesso vale per il format delle dirette “la quarantena in diretta” in cui, ogni mercoledì sera, ho organizzato una diretta condivisa che avesse come argomento di discussione il mondo della musica. Per poter far ascoltare i miei brani invece ho preferito un’idea romantica, che mi portavo dentro da anni: lanciare in cielo dei palloncini ad elio a cui era attaccata una pen drive con all’interno le mie canzoni. Già con il primo EP “Me ne vado a Londra”, lasciavo i dischi nelle cassette della posta o legati ai rami degli alberi. Mai mi sarei aspettato che qualcuno trovasse la mia musica, invece è arrivata e mi ha stupito che fosse capitata nelle mani di un signore in pensione, che aveva lavorato alla Warner, e nelle mani di un ragazzo che studia recitazione nella stessa accademia dove studiavo io. Tutti i format che ho creato sono nati per caso, ma quando le cose funzionano, sono il primo a studiare e organizzarsi per la riuscita dei contenuti: ad oggi sul mio profilo è infatti possibile trovare nelle stories altre idee, rivolte alla fase 2.
L’ultimo tuo singolo si chiama Oppure ed è uscito in quarantena con un video fai da te. Come lo hai realizzato?
Il video di “Oppure” è fatto in casa. Avevo notato molti artisti che utilizzavano video home made principalmente basati sul montaggio di stories. Mi sono posto come sfida di realizzare qualcosa di diverso, pensando cosa volessi e a cosa potessi arrivare stando a casa. Ho utilizzato dei teli da imbianchino e delle luci: una diffusore e una soft box. Il lavoro è stato poi montato da un video maker che sicuramente gli ha dato un tocco in più. Il più grande aiuto è stato però della mia vicina di casa, con cui condivido tanto, fin da quando sono bambino.
Da Controtempo a Oppure. Quattro singoli e un nuovo Godot., meno acustico. Cosa bisogna aspettarsi dal tuo prossimo album?
Gli ultimi quattro singoli usciti fanno parte di una nuova musica, sempre prodotta e arrangiata con Simone (Pirovano) e Lorenzo (Caperchi), ma abbiamo approcciato ai brani con un’altra ottica: l’idea è stata quella di produrre una serie di singoli con maggiore professionalità e più cura. Ho avuto anche l’opportunità di confrontarmi con etichette importanti, senza però riuscire ad avere una concreta possibilità di uscita. La musica oggi è un sistema complesso e ciò che mi interessava di più era proprio un confronto, cosa che ho avuto. L’album uscirà in autunno, si chiamerà “Controtempo” ed è stato registrato nel 2019, anche se alcune canzoni sono state scritte ancor prima di “Me ne vado a Londra”. Anche se c’è stata un’evoluzione dal punto di vista musicale, sono molto legato al mio primo EP e a tutte le canzoni contenute. In questo nuovo album invece ho sperimentato, poiché anche se mi piace molto l’acustico, ho deciso di muovermi verso una nuova direzione, dato che avevo brani adatti a questo cambiamento: “Controtempo”, per esempio, o “Oppure”. I testi non sono sempre tutto frutto della mia storia, se è vero che “Oppure” racconta qualcosa di mio, “Controtempo” è nata partendo da un libro ed è la prima canzone che ho scritto al piano.
Ringrazio Godot.
[Foto di Godot.]