La matrice è quella del jazz per quanto la forma pop che cerca e richiede la voce nelle melodie della canzone, porta in scena un giusto compromesso tra suono e modo. “L’estate spietata” è il nuovissimo disco di Matteo Bonechi, disco registrato in analogico e dopo una ripresa live in studio ben confezionata in post produzione poi, probabilmente. Dalle intenzioni alla Paolo Conte per finire a piccole trame pop alla Capossela o, pensando a certe forme sottili, non mi stupirebbe ritrovare anche un certo Niccolò Fabi. Sono di quei dischi che un poco peccano di personalità regalandoci soluzioni che in fondo abbiamo ascoltato in tante salse diverse… ed ognuno ha la sua ricetta di etichette da sfoggiare. E se da una parte c’è una carenza di personalità e di caratterizzazione, dall’altra c’è un gran bel mestiere che regala un disco sentito e assai ispirato.
Il cantautore non racconta solo storie… fotografa il suo tempo. È una responsabilità quasi “politica”, non trovi?
Lo è. Si tratta di un ruolo da cronista a tutti gli effetti, con l’ulteriore responsabilità di cambiare prospettiva rispetto alla visuale diretta della mera descrizione oggettiva. Descrivere quello che succede “dentro” al tempo al di là della cronaca esterna.
Il suono, come le sue liriche, invece? Perché questo disco parla molto di quello che era… o sbaglio?
Si è sempre cercato tanto di classificare i generi musicali e i periodi a cui essi appartengono o meno. Quello che conta credo però siano più i contenuti rispetto ai mezzi. La necessità di comunicare dovrebbe essere estranea allo strumento con cui viene proposta.
Secondo te invece il digitale? Che strumento è? Una gabbia o una possibilità?
Sicuramente una possibilità. Non mi dispiacerebbe utilizzare dell’elettronica in un futuro prossimo. Anche per cercare di nascondere le carte “analogiche” trite e ritrite.
A proposito… ieri al telegiornale sentivo del primo violoncello suonato da un robot. Un artista come te che ancora incide in analogico suonando ogni cosa, cosa ne pensa?
Dipende sempre da come ogni tecnologia viene utilizzata e a che scopo. I loop esistono da anni, così come altri insospettabili strumenti analogici “digitalizzati”. Il processo contrario è più difficile, ma credo non impossibile.
E non trovi che diventerà una scusa per darsi un tono quella di fare l’artigiano?
Il rischio c’è. Ma come scrivevo prima penso dipenda molto dai modi e dagli obiettivi. Una canzone scritta bene si regge su una propria struttura che è avulsa dal proprio riproduttore, che sia un robot o un essere umano.
Il disco devia poi anche nella poesia, nella fotografia romantica, nell’amore… ho come l’impressione che sia questa la vera dimensione del disco. O sbaglio? Insomma era qui che si voleva andare a parare…
L’estate spietata può essere anche un modo per definire il conflitto amoroso. Necessario ma doloroso, una luce dalle tinte ombrose. Qualcuno le definiva “canzoni di non amore”.
Se è vero che le storie a lieto fine si assomigliano tutte, quelle andate male hanno spesso dato molto di più all’arte in generale.
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