Murubutu. Intervista e Recensione.
A due anni di distanza dall’uscita de Gli ammutinati del Bouncin’ ovvero mirabolanti avventure di uomini e mari, il rapper emiliano Murubutu, ritorna con il suo ultimo album. Uscito il 14 Ottobre per Mandibola/Irma Records, presentato in anteprima tramite uno streaming audio su RedBull.it e il video ufficiale di Grecale su Rolling Stones, rappresenta il quarto album da solista per Murubutu, nonché il suo secondo concept-album. A differenza del precedente lavoro incentrato sul mare, questa volta è il vento a farla da padrone. Un vento custode di storie, capace di raccoglierle, spazzarle, disperderle e di portarle via verso orizzonti ignoti. Metafora di amori infranti, di obbiettivi irraggiungibili, di vicende e sensazioni inafferrabili, ma che non si disgregano mai del tutto. Murubutu ci dà l’ennesima prova efficace di un connubio tra letteratura e rap sempre più convincente.
Murubutu e L’uomo che viaggiava nel vento, track by track
Si inizia con una breve intro di 2 minuti e mezzo, “Anemos” parola greca indicante la parte vitale e spirituale degli esseri viventi, letteralmente “soffio”. Segue poi il vero e proprio primo brano dell’album “La bella creola”. È una storia ambientata nel centro del Sudamerica dove Pampero, un giovane venditore di lana, si innamora di una bella creola, figlia di coloni europei, che lo introdurrà nel mondo della letteratura. Una storia d’amore nata sotto il segno della cultura che non svanirà nemmeno quando lei sarà partita. La terza traccia, “Grecale”, realizzata su arrangiamento di River flows in you di Yiruma, è probabilmente la hit dell’album. Ispirata a una storia vera, la canzone parla di una giovane bambina la cui passione per la danza è compromessa da una malattia degenerativa che le causerà la cecità totale. Riuscirà a superare questo ostacolo trovando nel vento un punto di riferimento, un mezzo attraverso il quale espandere gli altri sensi e compensare al suo handicap.
Già dopo questi tre brani, possiamo dire di trovarci davanti a un Murubutu diverso, non solo testualmente ma anche musicalmente. Le strumentali si allontano di molto dagli standard rap old school che contraddistinguevano i suoi lavori precedenti, annoverano molte più sonorità e risultano decisamente più orecchiabili e meno di nicchia. Più fluidi e scorrevoli anche i testi che, nonostante non abbandonino una certa vena descrittiva ed evocativa, diventano maggiormente lirici, perdendo quell’asprezza e quella durezza dei suoi primi brani. In seguito, troviamo cinque importanti featuring: “Scirocco” con Rancore, “Bora” con Dj T-Robb, “Dafne sa contare” con Dia, “Levante” con Dargen D’Amico e Ghemon e “Il Re dei Venti” con i compagni di sempre della Kattiveria, il Tenente e U.G.O. Intervallati da altre tracce come “Mara e il Maestrale” e “Linee di Libeccio”, questi brani costituiscono una piccola rosa dei venti che descrive le diverse direzioni delle storie dell’artista. C’è Paolo che vorrebbe scappare, sospinto da un calco Scirocco, dall’asetticità della periferia di provincia con l’obbiettivo di non tornare mai. Oppure c’è Mara, abbandonata dal suo amante nelle desolate lande nordiche, sotto i colpi del gelido Maestrale. Un amore dal sapore amaro come quello di Maria partita per l’America per inseguire una passione fittizia con la speranza che le calorose “linee di Libeccio” possano un giorno scaldare il suo cuore cupo e illuso.
Il vento rimane un elemento costante e fisso, aspirazione di libertà come in “Dafne sa contare” ma anche di furia nichilista come in “Bora”. Il punto di rottura dell’intero lavoro è rappresentato dal brano con la Kattiveria “Il Re dei venti”, per una questione musicale più che tematica. Le novità introdotte nell’album terminano infatti in questa decima traccia. Negli ultimi quattro brani il rapper emiliano riprenderà il suo vecchio stile con una magistrale mostra di tecnicismi metrici come in “Isobarre” (gioco di parole tra le barre, ovvero le strofe della musica rap, e le isobare, elementi della meteorologia); una predilezione per la storia antica, come in “L’armata perduta di Re Cambise” e la fantascienza “L’uomo che viaggiava nel vento”. L’album si conclude con una traccia strumentale di quasi tre minuti, “ L’ultimo soffio”.
L’uomo che viaggiava nel vento, considerazioni sul nuovo lavoro di Murubutu
In definitiva, possiamo considerare quello di Murubutu un lavoro completo, che rinnova ma non cancella completamente il suo vecchio stile e le sue radici, in un progetto musicale che sembra ancora essere in fase di evoluzione. I frutti degli ammutinati del Bouncin’ sono stati raccolti, Murubutu sta uscendo dalla nicchia, ma attraverso un percorso graduale. Il connubio letteratura-rap non è di certo di facile acquisizione per un grande pubblico ma la sensazione, dopo questo lavoro, è che ci stia riuscendo senza però snaturare quelle che sono sempre state le sue prerogative. Non vediamo dunque l’ora di sentire il suo prossimo album e di vedere in cosa si evolverà il nostro Murubutu.
Murubutu, l’intervista
Come nasce Murubutu?
Come artista nasco nei primi anni ’90, nel periodo delle Posse. Era il periodo della Golden Age dell’ Hip Hop italiano. In quegli anni praticavo anche altre discipline tra cui il writing, la break-dance e lo skate.
In questi anni, in cui hai sfornato diversi lavori, è cambiato il tuo approccio al rap?
Sì, prima avevo un approccio decisamente più militante e poi con il passare del tempo è diventato un approccio più culturale e più didattico, fino a dargli una curvatura fortemente narrativa.
Ha influito il fatto di essere un professore?
Sicuramente. Il fatto di dover studiare tanto e di dover cercare sempre il modo migliore per esprimere dei contenuti ha influito anche sul mio rap.
Il tuo genere lo hai definito Letteraturap (unione tra letteratura e rap). Ti piacerebbe che questo genere arrivasse al grande pubblico oppure preferiresti che rimanesse un genere di nicchia? Magari perché l’acquisto di un bacino d’utenza maggiore potrebbe innescare un processo corruttivo di questo genere.
A me piacerebbe sicuramente aumentare il bacino d’utenza però senza cedere su alcuni punti fissi che sono il tipo di produzione, che non è mai sintetica, e poi soprattutto il tipo di testi che sono sempre testi di ricerca e di approfondimento. Quindi non passano attraverso la semplificazione. L’ideale è sempre raggiungere il maggior bacino d’utenza mantenendo il prodotto pressoché intatto.
Ritorniamo al tuo approccio al rap. Hai detto che in questi anni è cambiato ma pensi possa cambiare ulteriormente in futuro?
Certo, già adesso nell’ultimo album e nel prossimo album, sto lavorando su un tipo di produzione molto più melodica. Più contaminata anche dal folk e da strumenti che solitamente non si ritrovano nel rap. Quindi dal punto di vista della produzione, ci sarà sicuramente un’evoluzione mentre dal punto di vista della scrittura sto cercando di valutare anche altri tipi di approcci. Sempre, però, nel bacino dello story-telling.
Concluderei con l’ultima domanda. In vista del tuo concerto a Napoli, cosa devono aspettarsi i fan? Cambierà qualcosa rispetto alla tua ultima apparizione al Blu Club di Fuorigrotta?
Quando verrò il 20 Maggio allo Scugnizzo Liberato porterò il nuovo album. Ci saranno canzoni e proposte nuove, tutte cose più seguite perché l’ultimo album ha avuto una circolazione maggiore. Ci sarà quindi possibilità di cantare tutti insieme. Ci saremmo io, il mio socio U.G.O e Dj T-Robb ai piatti.
Ringraziamo tantissimo Alessio Mariani, in arte Murubutu, per la disponibilità e l’umiltà senza le quali quest’intervista non sarebbe potuta avvenire.