Gli Ocropoiz sono un gruppo alternative rock di Telese Terme, nel Beneventano. Quattro ragazzi tra i 17 e i 19 anni, Gianfranco e Giuseppe Aceto, Luca Ruggieri e Bruno Civitillo. Foto Post-Mortem (il nome dalla pratica fotografica d’età Vittoriana) è il loro disco d’esordio, otto tracce con la Labirinto Produzioni: rock, rabbia, disillusione ed un futuro utopico. Intervistiamo qui Gianfranco Aceto, cantante e bassista.
Foto Post-Mortem, intervista agli Ocropoiz
Come nasce il gruppo degli Ocropoiz?
Gli Ocropoiz nascono presto, verso i nostri 16 anni, tra i banchi di scuola. Abbiamo iniziato a suonare un po’ per gioco, un po’ per metterci alla prova: all’inizio avevamo un genere più leggero rispetto a quello attuale che è invece un alternative rock molto spinto, gridato.
Come siete arrivati a pubblicare l’album?
C’è stato un percorso che ci ha portato dalla saletta di Telese Terme, che abbiamo visto solo noi quattro e qualche amico, a suonare al Meeting del Mare. Da lì un po’ è partito tutto: abbiamo conosciuto molte persone che ci hanno sostenuto, abbiamo avuto l’opportunità di suonare al MEI, il meeting delle etichette indipendenti, al Sicinius Fest (a Sicignano degli Alburni, Salerno), a Torino al Reset Festival…
Oggi che fate nella vita?
Siamo sempre studenti, uno dei due chitarristi, Giuseppe, è studente liceale; il chitarrista/tastierista, Luca, lavora in proprio; io e il batterista, Bruno, siamo al primo anno d’università: lui studia al Conservatorio, percussioni, e a Benevento, biotecnologie; io al Conservatorio studio musica elettronica, indirizzo fonico.
Foto Post-Mortem è un album di esordio, come si è arrivati alla nascita di questo progetto?
È un percorso: pensato dai 16 ai 17 anni, arrangiato ai 18 e suonato ai 19. Un concept album, esprime quello che significa per noi la vita. Associamo paradossalmente la morte alla vita: secondo noi senza un finale non può esistere qualcosa di “perfettamente bello”. Per questo ci sono tracce molto tristi, senza speranze, perché guardano ad una civiltà il cui problema principale è trovare lavoro, mentre dovrebbe essere cosa davvero fare in questa vita. Per noi è cercare di seguire la propria felicità, ci piace dire che alla fine vivere è semplicissimo, basta fare ciò che piace, ciò che rende tutti più contenti, senza ovviamente ledere la felicità degli altri. Siamo contrari ad un’idea di vita preimpostata: nasci, vai a scuola, al lavoro, ti sposi, muori. Crediamo che non ci sia una vera destinazione, semplicemente uno deve seguire tutto quello che lo rende felice.
Pur essendo un album basato su rabbia e disillusione guarda quindi al futuro?
Sì, anche se a primo impatto è un album in cui i testi non portano speranza finale. Questa risiede nel fatto che nella vita tutto può essere cambiato: la foto post mortem, un’immagine retorica, per noi prende il significato di vita, di speranza. A prima vista sembra un album con musiche rabbiose, decadenti, ma parla soprattutto di vita e della bellezza di vivere.
Come ci si sente ad essere coinvolti in un progetto del genere?
Più che essere coinvolti ne facciamo completamente parte, siamo il 99% di questo album, il resto sono le canzoni. Più che coinvolti ci sentiamo quasi l’album stesso, per noi è un po’ un punto di arrivo.
Punti di riferimento musicale, italiani e stranieri?
Molta musica italiana, specie alternative rock: CCCP, FASK, Verdena, Gazebo Penguins… Questo panorama underground italiano ci ha influenzato molto, l’abbiamo seguito tantissimo, soprattutto dal vivo: ci ha colpito l’impatto non solo sonoro ma anche di comunicazione che davano dal vivo. All’estero abbiamo riferimenti diversi, si va dal progressive rock italiano e straniero di Luca, fino ad arrivare ai Foo Fighters e Nirvana dell’altro chitarrista, Giuseppe.
Progetti per il futuro?
Suonare tanto, cercare di aprire quanti più concerti possibili di gruppi a noi vicini per genere, tornare al Meeting del Mare e lavorare su un nuovo disco. Di questo abbiamo dei pezzi, ma mai provati: per adesso ci soffermiamo su Foto Post Mortem e sui prossimi live.
Francesco Di Nucci