Il nuovo singolo di Riccardo Ancillotti Tanto io non piango per te è disponibile su tutte le piattaforme digitali, già dal 23 novembre. Con un sound che intreccia melodia e testi forti, il nuovo singolo di Riccardo Ancillotti presenta un viaggio emotivo, un invito ad entrare nel mondo interiore del cantautore.
Potrebbe raccontarci della sua passione verso la musica?
La mia storia d’Amore con la musica inizia con i primi passi sul pianoforte classico a otto anni grazie a mia Madre e mio Padre, entrambi musicisti e cantanti, che fin da piccolo mi hanno sempre sostenuto e spronato nel mondo dell’arte. Come tutte le vere grandi storie d’Amore non è sempre stata rose e fiori, tutt’altro, ci sono stati grandi alti e bassi e lunghi momenti di vuoto e sconforto. Tutto questo fa parte del meraviglioso percorso e di quella che chiamiamo gavetta, a mio avviso elemento prezioso che ad oggi si è un po’ perso.
Cosa ha ispirato la creazione di questo brano?
Questo brano trae spunto un po’ da alcuni momenti del vissuto personale e un po’ dall’osservazione più ampia delle relazioni umane all’interno della dinamica di coppia. Mi piace curiosare in questi aspetti di me stesso e delle persone in generale, a mio modo sono un osservatore delle relazioni umane e degli effetti che queste producono sul nostro comportamento. Tanto io non piango per te è un viaggio introspettivo dentro la solitudine e lo smarrimento, alla ricerca delle proprie responsabilità quando una relazione finisce. È un percorso a ritroso, ponendosi domande costose e scoprendo che le risposte a volte, sono ancor più dolorose.
«Dov’ero? Non c’ero!»
Alla fine, però, c’è una sorta di liberazione di salvezza: una volta comprese le proprie responsabilità, una volta accolti e visti i propri errori ci possiamo perdonare e finalmente abbandonare ad un pianto, negato precedentemente per tutto il brano.
Riccardo Ancillotti, può parlarci della sua formazione artistica?
Come accennato in apertura, inizio piccolissimo con gli studi di pianoforte classico ma ben presto mi avvicino al pop e alla musica leggera internazionale grazie sicuramente al grande incontro con i Beatles, passione trasmessa da mio padre e mai più abbandonata. I Beatles sono a mio avviso un fondamento imprescindibile per tutti coloro che vogliono davvero capire cosa significhi suonare, comporre, cantare, creare armonie e melodie. I Beatles mi hanno insegnato a cantare. Nei primissimi anni del nuovo millennio conosco praticamente per caso Umberto Tozzi, l’amico e maestro modificherà per sempre il mio approccio con la musica e le mie aspettative al riguardo, nel 2005 come sappiamo canterà al Festival di Sanremo il mio brano dal titolo “Le Parole” che darà poi il nome all’album. Ovviamente, la mia formazione si è poi estesa nel tempo a tantissimi altri artisti sia internazionali che italiani.
In età più adulta ho iniziato ad approfondire e studiare il vasto e meraviglioso cantautorato italiano, sentivo la necessità di arricchire la competenza nella composizione dei testi nella mia lingua, il rischio di ascoltare troppa musica inglese può essere quello di non avere poi un equilibrio nella composizione italiana. La vera svolta in questo aspetto è arrivata quando conobbi Saverio Grandi («Un Senso» di Vasco Rossi per citare una tra le centinaia di hit) ed Emiliano Cecere con i quali si avviò un bellissimo periodo di collaborazione produttiva sui miei brani. Saverio mi disse una cosa sola, “se davvero vuoi fare il cantautore devi conoscere la discografia di Battisti completamente’’. E così feci, non che non lo conoscessi prima, sia ben chiaro ma un conto è ascoltare ed apprezzare i numerosi successi indelebili, un altro conto è approfondire e studiare tutta la discografia. Ecco, Battisti fu la mia risposta formativa italiana ai Beatles.
La sua scelta di discostarsi dall’orientamento generale del mercato musicale rappresenta, sicuramente, una scelta audace. Si potrebbe dire che la sua volontà di allontanarsi dalla massa in senso prettamente musicale, si rifletta anche nella redazione del testo?
Questa è una bellissima domanda. Grazie. Richiederebbe una risposta estremamente dettagliata ed approfondita ma non voglio diventare “pesante’’, ma in un certo senso sì. Siamo ormai nel 2025 e si parla sempre di più di standard pre-confezionati, omologazione dei mercati musicali e dei linguaggi comunicativi, velocità di consumo dei prodotti audio e video. Questa è la realtà dei fatti e ci sto, però, non ho vent’anni e non devo per forza render conto a qualcuno se non a me stesso, al mio sentire e al mio pubblico. E allora…
Posso dirlo?
Tutto giusto ma tutto uguale!
Che palle! Posso fare come pare a me?
Come piace a me con il mio modo?
Con le mie scelte di linguaggio?
Se piace sono onorato, se non piace lo rispetto e va bene lo stesso, ma almeno avrò fatto qualcosa di mio, di reale, di genuino e cantautorale, che tra un po’ non si saprà nemmeno più cosa voglia dire.
Lo avevo detto che era una bella domanda eh … mi fermo qui.
In una società che sembra portare avanti un’idea di amore superficiale, lei dà l’impressione di andare oltre questo aspetto, approfondendo la tematica di un amore ormai perso, forse per negligenza. Cosa saprebbe dirci a riguardo?
Be’, per quanto la società oggi cerchi (con un certo successo devo dire) di appiattire e svuotare tutto, voglio continuare a credere che non ci riuscirà con l’Amore. L’Amore arriva prima, è una connessione più viscerale, forse a volte si può credere che non ci tocchi, che sia una superficie, ma non è così. L’Amore va in profondità e prima o poi si fa sentire sempre e ti rimette il suo conto grazie a Dio riportandoti alla realtà, alla ragione per la quale siamo qui, che poi è forse una sola e sempre la stessa: riconoscersi ed amarsi.
Si è vero, In un certo senso nel mio testo rimprovero o meglio “richiamo all’attenzione” il protagonista, che si è smarrito nella leggerezza di non dare il dovuto peso all’Amore, o meglio alle conseguenze di alcuni comportamenti. Sia ben chiaro, non c’è niente di moralista, non lo sono affatto, tutt’altro, è più qualcosa che ha a che fare con la presenza, con la consapevolezza di ciò che si è e si fa. Si è liberi ed ognuno faccia ciò che vuole, ma almeno cerchiamo di rendercene conto, perché se operiamo scelte e soltanto dopo ci accorgiamo che non eravamo presenti a noi stessi in quelle scelte, be’ allora non cresciamo mai.
Riccardo Ancillotti ci può raccontare il significato del verso ‘’Tanto io non piango per te’’?
Alla fine in tanti modi diversi forse l’ho già detto sopra … il titolo è una provocazione infantile, una regressione: è finita e non mi sto assumendo alcuna responsabilità al riguardo, non voglio vedere la realtà delle cose e comunque a me non interessa, «Tanto io non piango per te». Di fatto, altro non è che l’inizio del viaggio verso la salvezza, verso la presa di coscienza delle proprie responsabilità, che ci porterà invece a vedere le cose per quelle che davvero sono, a liberarci dal peso di non riuscire a piangere fino alle fasi finali, dove il pianto arriva finalmente come una liberazione, come una pace risolutiva: «Vedi adesso piango per te».
Se volete vivere un viaggio emotivo, vi suggeriamo di ascoltare il nuovo singolo di Riccardo Ancillotti!
Fonte immagine: Riccardo Ancillotti