Roberto Ormanni & il Quartet, l’intervista

Roberto Ormanni

Roberto OrmanniRoberto Ormanni & il Quartet è composto da Roberto Ormanni (voce  e chitarra acustica), Roberto Tricarico (chitarra), Marco Norcaro (batteria, percussioni, armonica), Antonio Barberio (contrabbasso), Enrico Valanzuolo (tromba e flicorno).

Roberto Ormanni & il Quartet: l’origine

Nel 2011, in una serata di quasi fine novembre, Roberto Ormanni e il suo amico chitarrista Roberto Tricarico ricevono un invito per suonare ad un concerto a Bacoli. Il palco, molto grande, ha convinto Ormanni a chiamare altri due amici: Andrea Manzillo e Marco Norcaro, e a mettere insieme, così su due piedi, per gioco, una band.

Quello che non siamo è il titolo del primo EP, contenente cinque canzoni che traggono inspirazione dalla società del nostro tempo e, in particolare, dalla realtà, a volte dura, della città partenopea: i problemi nel campo lavorativo, quelli del mondo della camorra, quelli di ogni giovane pieno di speranza che si imbatte in una difficile realtà e non sempre riesce a combattere ma che crede ancora che «la bellezza può essere un’ancora di salvezza».

Ma lasciamo la parola a Roberto Ormanni

Il vostro gruppo è nato un po’ per scherzo, come e quando avete capito che sarebbe diventato la vostra strada?

La nostra nascita è stato un processo naturale, così come il nostro percorso artistico. Ho composto canzoni fin da quando ero tra i banchi di scuola. Il primo ad ascoltarle fu Roberto Tricarico, musicista, chitarrista e amico di una vita. Decidemmo di suonarle dal vivo, davanti ad un pubblico, accompagnati da un altro amico batterista, Marco Norcaro. Iniziò allora un cammino fatto di concerti e ricerca musicale. È stato nell’ultimo anno e mezzo, infine, che abbiamo raggiunto l’assetto attuale, con l’incontro Enrico Valanzuolo, trombettista, e Antonio Barberio, contrabbassista. Non abbiamo mai deciso razionalmente come procedere. Prima di essere un gruppo di musicisti siamo un gruppo di amici e di compagni di vita, che condividono speranze e sogni. Ancora non possiamo dire se questa sarà la nostra strada. Ma quello che è certo è che siamo in viaggio.

Il vostro genere è nato in seguito all’ispirazione di qualche autore in particolare?

Nel mio bagaglio personale porto tanto cantautorato italiano, da De André e De Gregori fino ad arrivare a Capossela e Bersani. Ma nel gruppo ognuno porta la sua sfera di riferimento: folk, jazz, rock. Negli arrangiamenti ci lasciamo ispirare dalle nostre diversità individuali. Certamente ci muoviamo nel solco della tradizione, eppure crediamo che bisogna ricercare nuovi spunti sempre, senza nessun dogma condizionante.

Quali altri generi o sonorità siete interessati ad esplorare, magari anche mediante qualche collaborazione in particolare?

Sarebbe interessante sviscerare sempre di più sonorità di stampo jazz. Ma nell’ultimo periodo sto scoprendo anche le grandi potenzialità dell’elettronica, come creare un suono da zero e farlo suonare esattamente come lo si immagina dentro la propria testa. In ogni caso, ci sono tanti artisti che conosciamo, che stimiamo e con cui sarebbe bello fare qualcosa. Siamo convinti che la condivisione e la creazione di reti collaborative siano sempre un arricchimento per noi e per la musica.

Il 24 marzo avete presentato il vostro primo EP alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri. Siete rimasti soddisfatti della risposta avuta dal pubblico?

È stata una giornata magica. In quella sala della Feltrinelli gremita di gente si respirava un’atmosfera piena d’emozione. Per noi è stato un piccolo sogno trasformatosi in realtà. Siamo entrati in punta di piedi, ci sentivamo come degli alunni passati dall’altra parte dei banchi. Ma appena abbiamo iniziato a suonare, le energie positive ci hanno riempito. E i volti e gli sguardi del pubblico sono senza dubbio la cartolina che ci porteremo dietro per sempre.

Troveremo un giorno il nostro posto nel mondo”. Il vostro posto corrisponde a qualche progetto futuro che avete in mente?

Oggi sembra sempre più difficile stabilire quello che si vuole, quello che si è. Trovare il proprio posto nel mondo appare quasi un’utopia. Ma coscienti di questo, quello che resta da fare è resistere e costruire qualcosa partendo dal cuore. I nostri progetti futuri a breve termine si riverseranno tutti nei concerti dal vivo. Speriamo di suonare sempre di più e il più possibile. Crediamo che la nostra casa, ma la dimensione della musica in generale, si trovi su un palcoscenico e nel contatto diretto tra artista, opera e pubblico. Dal nostro punto di vista, solo in sede di concerto si crea l’empatia totale e la sinergia sincera che dà senso alla musica.

Eroica Fenice ringrazia Roberto Ormanni per l’intervista concessa alla testata.

Fotografia: Luigi Petrazzuolo


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A proposito di Claudia Esposito

Per ora ho una laurea in Filologia Moderna, un inizio di precariato nell'insegnamento e tante passioni: la lettura, la scrittura, le serie tv americane, il fitness, il mare, i gatti.

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