Riassumere 5 giornate di Festival di Sanremo in un unico articolo è un impegno arduo, oltre che un grande sforzo di memoria; proprio così, dato che questo 70esimo Festival di Sanremo è un’edizione senza tagli, che non bada allo scorrere dei minuti e cerca in ogni modo di trovare un compromesso tra show e kermesse canora. Si avvicendano sul palco ospiti su ospiti, Amadeus presenta con impegno, Fiorello si muove con disinvoltura tra una gag e l’altra, Tiziano Ferro canta ogni volta che può, sfilano 10 donne, talvolta più belle che brave, fanno un passo avanti e recitano monologhi, mentre sullo sfondo passano 24 canzoni, che durante le serate appaiono quasi in sordina, la maggior parte presentate dopo la mezzanotte. Eppure questo evento sfodera il critico musicale, lo stilista, il giornalista che è in ognuno di noi e ci catapulta in una dimensione parallela: la vita a stento trascorre prima delle 21:00, poi tutti sintonizzati davanti mamma Rai1, con social a portata di mano, pronti a commentare, scrivere, condividere, puntare il dito su ogni sbavatura d’emozione e frivolezza non compresa. Ci rende quasi onnipotenti il nostro ticchettio sulle tastiere, mentre dentro la scatola piatta ultra HD, si fotografa un altro pezzo di storia musicale. Amadeus, passo più passo meno, è un uomo di radio, che sa tenere il tempo della parola: presenta impeccabilmente, senza sbavature, tiene rigidamente il controllo della situazione, anche nei momenti più pericolosi: dal tacco di Sabrina Salerno impigliato nella scalinata, al litigio tra Morgan e Bugo, salvato dallo show di Fiorello, sempre pronto ad intervenire. È lui lo showman in grado di riempire gli spazi: entra vestito da Don Matteo e chiede pace; nei panni di Maria De Filippi scende la scalinata durante la seconda serata; parla, presenta, alterna dosi di sana ironia, delle volte fa ridere solo e unicamente Amadeus, ma è il centro dello spettacolo, nonché esempio di una grande amicizia che si protrae nel tempo. La coppia è fissa, mentre a ruotare sono le dieci donne scelte da Amadeus per arricchire il festival: intercettate da tutti i campi, dal giornalismo alla moda, dall’Albania alla Spagna, dal passato e dal presente, colorano con una buona dose di internazionalità e femminilità Sanremo 2020. Ricorderemo con forza, nella storia del Festival, Rula Jebreal in piedi davanti a due libri, uno nero ed uno bianco, attenta a raccontare la sua vita, mischiando un monologo contro il femminicidio alle più belle canzoni d’autore del Novecento. Saranno spazzate via con i giorni, le parole della Leotta, all’inizio dense di verità, quasi provocatorie, poi il tutto è sfociato nella solita retorica, quasi quanto il tango sulle note di Roxanne di Georgina Rodriguez. Nell’interminabile proseguire di ospiti, come da tradizione, salgono sul palco Albano e Romina, che cantano e fanno cantare pubblico in sala, pubblico a casa; anche i Ricchi e Poveri, nonostante il clamoroso e fastidioso playback, riportano in auge, un preciso momento musicale italiano, che continua ad essere ricordato, anno dopo anno.
Sanremo 2020, in breve
Cosa rimarrà invece di questo festival di Sanremo 2020? Poca musica, affermo con tristezza. Il motivo per cui nasce questo festival, ovvero la kermesse canora, non ha ricevuto un’adeguata risonanza in cinque serate: si è sempre cantato troppo tardi, senza che i campioni in gara avessero il giusto risalto. Ma forse i 24 nomi sono solo la punta di un enorme iceberg, perché alla base c’è un mercato discografico diverso, con suoni diversi a cui si uniformano pochi dei brani presentati alla 70esima edizione. Lo si può vedere a partire dalle Nuove Proposte: otto giovani, con generi completamente opposti, dall’indie al rap fruibile, alla canzone pop impostata sanremese. Tecla Insolia e Leo Gassman si aggiudicano la finale, ma i brani sono già vecchi: il suono degli anni 20 del nuovo Millennio non è arrivato alle loro orecchie, e alla fine vince Gassman contenutisticamente più concreto, oltre che favorito dalla precedente esperienza di X-Factor. Si muovono sull’Ariston, per quanto riguarda la categoria big, nomi celebri, altri rispolverati dalla cantina, rapper che hanno appena imboccato la strada, artisti sconosciuti alla maggior parte della popolazione, onnipresenti amici di Maria che ormai ingrossano le fila del panorama musicale italiano. Il padrone dello show, dell’architettura artistica è Achille Lauro, ogni giorno presentatosi in vesti differenti, per rivendicare la libertà di fregarsene del giudizio del mondo esterno, esplicitamente sottolineato nel titolo della sua canzone: Me ne frego. Non è uno show fine a se stesso, quello di Lauro, ogni look porta con sé una spiegazione più profonda, che connette arte, spiritualità, moda e sopratutto rivede il concetto di femminilità. Levante è solita raccontare con una scrittura fatta di armonie testuali, giochi di significato e non fa mancare neanche in Tikibombom il proprio marchio di fabbrica. In un brano un po’ sottotono, rispetto all’ultimo album uscito lo scorso 4 ottobre, si affronta la tematica della diversità, ricordando che in fondo siamo “siamo il vento e non la bandiera, siamo chiese aperte a tarda sera” nella nostra natura di esseri umani, eppure il titolo fotografa il ritmo con cui si muove il mondo di oggi, a cui tutti devono uniformarsi per sopravvivenza: siamo una generazione che non sa più cosa voglia dire ballare il tango. Rancore ed Anastasio sembrano essere immersi in una gara di freestyle, il primo con l’idea visionaria di raccontare attraverso un simbolo, la mela, la cronologia umana, dall’Olimpo alla deriva; l’altro affrontando la tematica della rabbia disinnescata, di giovani che provano a farsi sentire in un’organizzazione sociale pronta ad accettarli solo da vecchi e per questo sabotatori della propria esistenza. Elodie, canta firmata Mahmood e Dardust, incarna il suono di cui ha bisogno l’Italia, la musica delle playlist Spotify, con un brano super iper orecchiabile, di difficile esecuzione, perché la fruibilità non è direttamente proporzionale alla facilità di una canzone. Tosca è la rivoluzione: una cantante che pochi ricordano, alcuni non hanno mai ascoltato, altri riconducono soltanto alla colonna sonora di Anastasia; una donna che porta in gara un brano umile, il cui testo non presenta una forza dominante, parole macchinose, o contestazioni filosofiche. La canzone è un passo del Vangelo della verità, intriso di armonie jazz, soffuse; le parole sono incastonate tra gli accordi, prendono vita grazie alla voce dell’unica voce in gara, in grado di dare spessore e carisma alla parola stessa. Tosca dona un senso al brano che sta cantando, crea tensione sulle parole che feriscono, lascia la presa sul finale in un sognate “se tu mi chiedi in questa vita cosa ho fatto, ti rispondo ho amato, ho amato tutto”, abbellito da un “eh” conclusivo che racchiude ogni segreto e disvela, e forse in quel suono finale, c’è più sapore di tanti e tanti altri brani del Festival. Vince il Premio della Critica ed il Premio Dalla: il vincitore Diodato; Migliore Testo: Rancore; Premio Bigazzi Miglior composizione musicale: Tosca; il premio Tim Music: Francesco Gabbani.
Il podio segna al terzo posto i Pinguini Tattici Nucleari, al Festival, nonostante il loro album sia intitolato Fuori dall’Hype; indie, carucci, pieni di brio, radiofonici, metaforicamente moderni: tra le citazioni direttamente riprese dal Re Leone, How I Met Your Mother, spicca quella del ritornello, che esplicita la rivincita degli sfigati. Secondo posto per Gabbani, nazional-popolare, con un brano fresco, dal testo semplice, funzionale.
Vince Sanremo 2020 Diodato con Fai Rumore, un testo vero e genuino: musicalmente inizia in punta di piedi poi sfocia in un insieme di toni alti, a cui segue un arrangiamento cucito alla perfezione, in pieno stile Sanremo. Nel mix variegato di cantanti, si delinea un quadro ben preciso: la musica oggi è usa e getta, l’ascoltiamo durante un’intera settimana, poi la buttiamo come se fossimo stanchi. La musica di oggi ci vuole bulimici.