Dal 25 maggio è disponibile in tutti gli store e piattaforme streaming Opera Postuma (Giungla Dischi/Believe Digital), l’album che segna il debutto discografico del cantautore molisano Stefano Di Nucci.
Il disco, contenente 10 tracce, è stato anticipato dal singolo “La Donna Eburnea”, in rotazione radiofonica dal 22 maggio.
Le dicotomie di Stefano Di Nucci
Il cantautore molisano ama definire Opera Postuma un disco dicotomico, in quanto nell’album tutto è il contrario di tutto: l’inizio e la fine, il riso e il pianto, il bianco e il nero, la vita e la morte. Si tratta infatti di un album ricco di sfaccettature, di entità contrastanti che riescono a convivere tra loro, anche se con qualche difficoltà. Opera Postuma è un disco malinconico ma solare, aspro ma delicato.
Musicoterapista di professione, cantautore per passione dal settembre 2013 – quando esordisce al concorso “Paint Your Voice” organizzato dalla Provincia di Campobasso – Di Nucci mostra ottime doti di musicista e autore e ci consegna un’opera interessante e originale, caratterizzata da sonorità e testi particolarmente ricercati che lasciano intuire il grande lavoro che c’è dietro questo disco di debutto, per il quale si è avvalso della collaborazione di Alberto Romano, Daniele Marinelli, Giorgio Lombardi e Marco Libertucci. Le musiche, che costituiscono la parte migliore dell’album, sono ben studiate e arrangiate. I testi, esilaranti e inconsueti, non sono mai banali. Di Nucci canta di amori finiti, di sentimenti, di musica, esprimendo ciò che ha da dire apertamente o tra le righe, con ironia, ma anche con un pizzico di cattiveria, con dolcezza ma al contempo con amarezza.
Stefano Di Nucci parla della sua Opera Postuma: “il brutto che diventa bello”
Dopo aver preso parte all’iniziativa nazionale “Luigi Tenco, in qualche parte del mondo” nel 2016, l’anno successivo Stefano Di Nucci si aggiudica il primo posto della sezione “Nuove Proposte” al Premio nazionale Lunezia. A seguito della vittoria del Lunezia, il cantautore molisano avrà l’onore di aprire alcune tappe del tour estivo di Fabrizio Moro. Di questo e altro abbiamo parlato nell’intervista che segue.
Come mai la scelta di dare al tuo primo disco il titolo di “Opera postuma”? Cosa puoi raccontarci di questo album?
“Ci sono due motivazioni per questa scelta: la prima è che io lo trovo un titolo molto bello perché è molto brutto! È da quando sono piccolo che mi sento attratto dal concetto di “brutto”, sempre prendendo con le pinze il termine. Ad esempio adoro Bukowski, Carmelo Bene o la comicità di Massimo Ceccherini, perché credo siano capaci di mostrarti la miseria della persona facendolo bene. In questo modo il brutto diventa bello e lo trovo miracoloso. La seconda motivazione è che il titolo, seppure rimandi a un concetto di morte, è un elogio a una rinascita: se qualcuno è morto, quel qualcuno è il bimbo che è in me, quello che si porta con sé tanti errori fatti in passato che spero di non commettere più! Mi vedo cresciuto, rigenerato, quindi paradossalmente “Opera Postuma” è un messaggio positivo, felice. Generalmente il disco lo definirei dicotomico, nell’album tutto è il contrario di tutto: vita/ morte, fine/rinascita, il bianco/nero della copertina, e così via… “
Anche il brano scelto come singolo ha un titolo “curioso”: “La donna eburnea”, ce lo spieghi?
“È la storia di una ragazza che ha fatto parte della mia vita per un tempo piuttosto breve. Di lei ricordo la pelle diafana e un pesce rosso che mi ha regalato. Però se la pelle era candida, i suoi intenti un po’ di meno e io, campione nel “rimanerci male”, ci sono rimasto male davvero. Eravamo due persone diverse e l’esito era scontato: il nostro rapporto è durato meno di un pesce rosso! Va bene comunque, tutto è passato e spero lei sia felice quanto lo sono io!”
La musica ha un potere magico, e tu lo sai bene visto che, prima ancor di essere un cantautore, sei musicoterapista di professione…
“Sì, io sono musicoterapista! La musicoterapia mi ha fatto vivere dei momenti pazzeschi, al limite dell’assurdo. Il “potere magico” della musica, in ambito musicoterapico, è ancora più magico di quello che si possa credere. Anche se parlare di musica in musicoterapia è quasi riduttivo: in un setting di musicoterapia si parla più che altro di un “universo sonoro”, anche un urlo o i suoni delle funzioni corporee possono essere suono quindi forma e possibilità di comunicazione”.
A chi/cosa si ispira Stefano Di Nucci per comporre canzoni?
“Non ho un’idea molto chiara! Sinceramente quando scrivo una canzone non sono molto lucido perché sono felice e io la felicità la gestisco goffamente. Certamente in me convivono tutti gli artisti che ho ascoltato, credo che prescindere dai propri “padri musicali” sia impossibile. Sarebbe come pretendere di non somigliare ai propri genitori. Che la tua musica non sia unica è una condizione che devi accettare con calma, nel tempo. Detto sinceramente credo sia il primo gradino da superare se si vuole iniziare a proporre musica originale. Dentro le mie canzoni quindi c’è di tutto, dalla ninna nanna che mi cantavano da piccolo, al suono delle campane della messa della domenica, fino all’ultimo disco di Philip Glass che ho comprato ieri! Accettare di essere figli è fondamentale per diventare padri; inizialmente fa arrabbiare come quando ti dicevano da piccolo: “che bello che è… è tutto la mamma!”
Aprirai alcune tappe del nuovo tour di Fabrizio Moro, una bella opportunità…
“Sì, sono certo che sarà un’esperienza notevole, da raccontare ai nipoti, infatti mi sto organizzando per fare dei nipoti, altrimenti a chi lo racconto?! Io mi definisco un tipo piuttosto freddo, di quelli che all’università non chiedeva mai, per orgoglio: “che domanda il prof.?” Però credo che salire su un palco del genere sarà di un impatto emotivo devastante, dovrò dare fondo a tutte le mie capacità di concentrazione che, credetemi, sono poche! Sono ovviamente molto grato a Moro per la chance che mi concede!”
È previsto anche un tuo tour?
“Fortunatamente qualcosa si sta muovendo, quindi sarò impegnato in estate in vari appuntamenti, sia in Molise e sia fuori dalla mia regione! Che Dio me la mandi buona…”