Gli Using Bridge sono un quartetto rock grunge–stoner, nato nel 2002. A gennaio 2018 hanno pubblicato l’album Floatin’ Pieces. Abbiamo intervistato Manuel Ottaviani, cantante del gruppo.
1) Gli Using Bridge sono in carriera da sedici anni, quattro dischi contando anche l’ultimo: Floatin’ Pieces. Come sono cambiati il gruppo e la sua musica negli anni?
Nasciamo con delle forti influenze anni ’90, con tanto grunge. Quella che si è aggiunta negli anni è la vena stoner, lì si parla più di primi 2000. Nel gruppo si sono avvicendati diversi batteristi dietro ai fusti fino ad oggi e abbiamo fatto praticamente un disco con ognuno.
2) Che fanno gli Using Bridge nella vita?
Abbiamo un infermiere, Federico Arcangeli (chitarrista), Alessandro Bernabei (il batterista) lavora come tecnico audio, Simone Antonelli (l’altro chitarrista) fa il fotografo ed organizza viaggi, poi ci sono io disoccupato, figlio della crisi che attanaglia i trentenni d’Italia. Oltre a suonare live dal 2009 organizziamo concerti, eventi e feste nella zona di Rimini sotto il nome di Alternative.
3) Come mai la scelta di cantare in inglese?
Parlo per me, poiché i testi al 99% li scrivo io: Federico mi aiuta a dare una sistemata. Altre volte li scrive anche lui, ad esempio in questo disco sua è Run to You. Io sono cresciuto ascoltando gruppi che cantavano in inglese: non è stata una decisione in realtà ma una cosa naturale. Mi piace molto la musicalità che ha l’inglese all’interno di un genere come il rock per il tipo di cadenza che ha: le parole inglesi, le frasi all’interno di un pezzo secondo me risultano più musicali, più facili.
4) Passiamo a Floatin’ Pieces, l’ultimo album del gruppo. I temi principali sono interiorità, ricordi, sentimenti: come mai la scelta di insistere su questi temi?
Anche questa è stata una scelta più istintiva che ragionata. Quello che scrivo sono “pezzi di me”. A volte sono delle storie vere, a volte delle emozioni che traduco in storie, dei pensieri, dei ragionamenti su tutto quello che mi capita.
5) Quindi non c’è un messaggio da lanciare?
Ogni brano ha un messaggio personale, che non è votato al sociale o altro ma è semplicemente un mio modo di vedere la vita, vedere le cose, e di provare emozioni, che cerco di descrivere alle persone. Succede come per pezzi di altri artisti dove il messaggio è intimo, personale. Mi ci ritrovo, mi ci rispecchio, mi fanno capire qualcosa in più di me. Su due piedi posso pensare che un messaggio, se c’è, è più intrinseco che esplicito. Un messaggio di resistenza e resilienza, di riuscire a resistere portandosi dietro tutti i pezzi che ognuno ha nella propria vita e a volte vorrebbe anche abbandonare per liberarsi di alcuni pesi. Invece portarseli dietro fa in modo che questi pezzi non vengano dimenticati ma costruiscano in realtà la tua storia, la storia di chi se li porta dietro e diventino qualcosa di importante su cui costruire il resto.
6) I pezzi dell’album hanno una loro storia diversa, quale si può considerare il filo conduttore dei vari brani, dei vari frammenti?
È un disco composito, un mosaico, penso che il filo conduttore più grosso che ci sia siamo noi che lo suoniamo, il nostro stile, il nostro modo di fare. I brani sono a sé stanti, affrontano tematiche diverse, non seguono un discorso unico e completo. Sono frammenti, delle istantanee, delle fotografie. Ecco, si potrebbe dire che sono delle fotografie di un viaggio che dura da tanti anni: il filo conduttore siamo noi Using Bridge.
7) Nello stesso album ci sono ballate come Anymore e pezzi più aggressivi come Werewolves, qual è lo stile dell’album e quale quello degli Using Bridge in generale?
Tendenzialmente come stile siamo più Werewolves che Anymore, anche sul palco ecc. Un pochino più energici, però non siamo monocromatici e nel disco si vede. Ci sono momenti in cui siamo più energici e incazzati- passami il termine- e ci sono momenti in cui siamo più riflessivi, introspettivi e “tranquilli”.
8) Punti di riferimento musicali, per testi e arrangiamenti?
Personalmente vado a pescare dagli anni ’70 alcuni riff sia dallo stoner più recente. Penso i più conosciuti siano i Queens of the Stone Age. Anche gruppi più recenti come Danko Jones, e italiani tipo Verdena. Poi c’è una base che deriva dal grunge anni ’90: gruppi come Pearl Jam, Stone Temple Pilots, Alice in chains, Nirvana, Temple of the Dog. Ognuno poi viene da generi diversi e lo mischiamo all’interno della sala prove, quando siamo in fase di creazione.
Francesco Di Nucci