Il progetto Voci Spiegate nasce e si sviluppa nel 2014 presso il carcere di Monza. Qui Mirko Filice, in arte Kiave (M.C. cosentino tra i più influenti nella Scena Underground italiana degli ultimi decenni), attraverso lezioni e laboratori musicali, porta il rap e la cultura Hip Hop nelle celle con l’intento di offrire ai detenuti tutte le conoscenze e gli strumenti per trovare nella musica la redenzione.
Un sogno, quello di Mirko, che finalmente si realizza e che ha successo. Tanto è vero che il progetto verrà accolto per altri due anni presso il carcere di Monza e successivamente presso il carcere minorile Beccaria di Milano (2016) e allo SPRAR di Rho (2017). Quest’anno, i protagonisti sono stati i detenuti della casa casa circondariale di Varese per la sesta edizione del progetto culminata il 21 aprile in un live di conclusione. Sul palco, affiancati da Kiave, ci sono Pach, Tony, Domino e Labi: la complicità che c’è tra il rapper e i ragazzi detenuti, la cura e l’impegno che ne traspare insieme a fierezza, sincerità ed entusiasmo sono emozionanti. (Guarda qui il video del live ed ascolta il loro album su SOUNDCLOUD).
Voci Spiegate è entrato a far parte del circuito della Street Arts Academy, un’associazione che promuove una serie di attività educative condotte attraverso le discipline classiche e gli elementi della cultura Hip Hop, in perfetta coerenza con i principi che sono alla base dei laboratori tenuti da Kiave. La Street Arts Academy ha messo a disposizione un sito dedicato unicamente al lavoro dei partecipanti dove è possibile ascoltare tutti e sei gli album risultato del lavoro delle sei edizioni di Voci Spiegate – qui il link.
“L’intento è quello di offrire ai loro concetti, alle loro idee e alle loro emozioni un passaggio verso l’esterno: parole che vanno oltre le mura del carcere e che vogliono esprimere qualcosa.”
Noi abbiamo intervistato Kiave che ci ha svelato molto di più.
Voci spiegate, l’intervista a Kiave
Kiave, sappiamo che il progetto Voci Spiegate nasce da una tua idea. Ci chiediamo però come e perché.
Io ho collaborato con un’associazione che si chiamava “Razzismo brutta storia” che faceva riferimento al Gruppo Feltrinelli per dei laboratori di rap nelle scuole chiamati “Potere alle parole”. La persona che era assegnata a me si chiamava Agnese Radaelli. Un giorno ho espresso a lei questo mio desiderio, le ho detto : «Che figata il rap nelle scuole, è una cosa bella, però sinceramente il mio sogno è proprio portarlo nelle carceri perché secondo me il rap nelle carceri può fornire ai detenuti i mezzi per liberare tutta la negatività che assorbono là dentro con qualcosa di costruttivo e di creativo come il rap». Il carcere è il luogo in cui c’è davvero gente di strada e il rap è di strada, non come ce lo vogliono propinare ultimamente più nelle sfilate di moda che per strada. Agnese dopo una settimana mi chiamò e mi disse:« Se vuoi andiamo al carcere di Monza a fare laboratori ». Così portammo il rap nelle carceri. Lei è una persona estremamente in gamba, però ha cambiato mestiere e abbiamo smesso di collaborare. L’idea nasce quindi da questo: è un’idea mia perché sono fermamente convinto che l’Hip hop nelle carceri possa attecchire meglio e il tempo sta confermando questa mia idea e me lo sta dimostrando. Le cose stanno andando nel verso giusto.
È stato difficile portare il progetto nelle carceri e far sì che si realizzasse?
Tutto sta ad avere finanziamenti. Il progetto ha un costo, così come lo ha entrare in carcere. Siamo sempre alla ricerca di qualche “benefattore” che finanzi il progetto e di carceri disposti ad accoglierlo. Però non è così difficile come può sembrare. Da una parte io ho la fortuna di ricoprire tutti i ruoli perché posso fare il rapper, fare lezione, laboratorio, registrare e mixare i pezzi, preparare i ragazzi al live ed esibirmi con loro. Ci vuole uno che abbia più competenze oltre a quelle del rap per fare una cosa del genere e io, che sono anche tecnico del suono, unisco tutte le mie. In più bisogna avere la voglia di cambiare le cose, entrare in un carcere e farsi perquisire ogni volta … Devi avere passione per farlo.
Il rap si presta a temi forti e può essere anche autobiografico. Qual è stata la reazione dei detenuti di fronte all’opportunità di usare la musica come riscatto?
Ognuno ha reagito a suo modo. All’inizio tutti sono molto affascinati dalla cultura Hip hop ed è la cosa che mi piace di più. Lì non hanno internet e non hanno molte cose per passare il tempo e chi viene travolto dal progetto inizia a scrivere, di solito sono almeno 4 o 5 per ogni corso. Iniziano a scrivere davvero tantissima roba, infatti poi è un po’ difficile collocare sulle giuste strumentali e apparecchiare bene i pezzi … Tuttavia iniziano a scrivere ed è questa la cosa più importante. Già questo a me soddisfa.
Kiave, durante i laboratori la tua esperienza personale ha in parte influito su ciò che trasmettevi. Ma cosa è diventato il rap per i ragazzi delle carceri, che considerazione hanno avuto loro del rap e in generale dell’ Hip hop?
La maggior parte si innamora di questa cultura. Da una parte il rap è un’occasione per poter dire quello che si pensa, dall’altra per la maggior parte di loro è un’occasione per comunicare con le donne che hanno lasciato fuori. Alla fine i detenuti diventano tutti dei teneroni e sono io a doverli limitare sui pezzi d’amore -perché io non sono uno che va sul pezzo d’amore -. Sono tutti innamoratissimi, tirano tutti il loro lato romanticissimo: comunicano alle proprie donne che sono ancora innamorati e lo fanno in modo poetico. È una cosa molto bella che ti fa pensare tanto: in un’era in cui il rap parla solo di droga o soldi loro, invece, che sono davvero di strada e davvero hanno vissuto certe situazioni, colgono l’occasione per poter parlare di introspezione, redenzione, amore e romanticismo.
Il progetto permette ai detenuti di attraversare un processo di crescita. In cosa Voci Spiegate li aiuta a migliorare?
Io non ho la presunzione di far crescere delle persone o di migliorarle. Io offro solo dei mezzi. Vado lì ed offro degli strumenti che sono prima di tutto la parte tecnica, poi la storia dell’Hip hop, infine registrazione e mixaggio. Ogni artista, ogni scrittore, ogni rapper affronta la crescita che ritiene opportuna e di cui ha bisogno in quel momento quindi non ho la presunzione di dire che grazie a me crescono e migliorano.
Chi partecipa al progetto e come avviene la realizzazione di una traccia ?
All’inizio si tiene un incontro in cui si illustra a tutti i detenuti in cosa consiste il progetto. Dopodiché alcuni detenuti si iscrivono e decidono di partecipare in base anche ai permessi e a quello che è loro concesso di fare nel carcere. Non siamo noi a scegliere. I meccanismi del carcere sono tanti e complessi, c’è tanta burocrazia.
La registrazione della traccia è semplice: scegliamo insieme le basi, io porto dentro il mio studio mobile – scheda audio, computer, microfono- e registriamo come fossimo in uno studio vero e proprio. Attrezziamo un piccolo studio di volta in volta in qualche aula dove di solito facciamo anche gli incontri e i laboratori.
Non pensi che, in alcuni casi, la funzione di denuncia del rap nei confronti delle ingiustizie (che vengono poi punite nelle carceri stesse) possa scontrarsi con quell’ambiente?
Il rap è una forma artistica e l’arte deve avere il presupposto di essere libera. Io non censuro niente di ciò che loro vogliono dire. Sicuramente li spingo ad avere un linguaggio poetico e non un linguaggio semplicistico o riduzionista. La prima cosa che ho chiesto è che non mi venissero censurati i testi dei ragazzi e non è mai successo. Se dovesse succedere prendo tutto e me ne vado perché la censura nel rap è l’ultima cosa che deve succedere, non è nemmeno contemplata. Quindi se vogliono dimenticare qualche ingiustizia ben venga, l’importante è che lo facciano in un modo stilisticamente e metricamente corretto, con una cifra poetica importante e interessante. Possono dire quello che vogliono assolutamente .
Quindi ci tieni particolarmente anche alla parte tecnica, le rime…
Assolutamente sì, questo lo puoi anche scrivere: io sono un pignolo, un rompiscatole con la tecnica e la metrica, per me sono importantissime.
Il successo del progetto è evidente e rincuorante. Kiave, secondo te, abbiamo la speranza di vederlo sviluppare anche negli anni futuri e, perché no, anche al Sud?
Io non vedo l’ora di fare laboratorio nelle carceri del Sud. Le carceri del Sud sono un po’ più restie ad accettare il rap. So che il percorso è lento, ma il mio motto è “La rivoluzione è lenta e silenziosa”. Piano piano ci riusciremo senza fare troppo rumore, senza trasformalo in un fenomeno mediatico o in un baraccone che va in giro. Persisterò nell’idea di portare Voci Spiegate in più carceri possibili e spero che molte carceri del Sud richiedano il progetto.
Perché no, proprio Cosenza, la tua terra…
Sì, vorrei tantissimo portarlo a Cosenza. Incontro sempre un po’ di difficoltà. Piano piano ce la faremo.
Mi viene in mente un rapper con cui hai collaborato, Johnny Marsiglia, palermitano legato con particolare sensibilità alla sua terra. Non hai mai pensato di coinvolgerlo e portare il progetto anche in Sicilia?
In Sicilia sicuramente lo coinvolgo perché Johnny oltre ad essere, al momento, il mio rapper preferito è anche una persona che stimo tantissimo, mio grande amico. Comunque, prima di coinvolgere gli altri, dobbiamo entrare in carcere e coinvolgere i ragazzi. Man mano che avremo più attenzione e più mezzi allora coinvolgerò tanti miei colleghi. In tanti, Johnny per primo, mi hanno mostrato interesse e hanno offerto la loro disponibilità. Nel momento in cui il progetto crescerà, sicuramente Johnny sarà tra i primi che chiamerò anche perché ha un valore stilistico e artistico incommensurabile, della sua generazione è il rapper più forte. Poi io voglio bene anche a Big Joe. Lui e Johnny sono una coppia imbattibile.
So che hai sfidato, conosciuto nonché sei cresciuto tra le figure più importanti della Golden Age – Esa, Tormento, Dj Lugi, per citarne alcuni, tanto è vero che ti sei avvicinato al rap con i SxM. Sei nostalgico? Che futuro pensi abbia il rap italiano che muta in tempi brevissimi?
Io sono nostalgico perché la fine degli anni 90 fino al 2theBeat sono stati anni incredibili: non c’era internet quindi il rap si muoveva prevalentemente per strada. Credo nell’evoluzione del rap, non mi danno fastidio tanti fenomeni che sono usciti adesso, però spero che il rap non dimentichi da dove viene. Io quando faccio i laboratori parto sempre dalla storia dell’Hip hop, per me è molto importante che il rap non dimentichi i concetti da cui è partito, non dimentichi i valori che lo hanno reso tale che poi sono quelli legati alla cultura Hip hop. Quindi spero che i miei colleghi non dimentichino cosa stanno rappresentando e cosa stanno tramandando.
Kiave, da luglio sei con Voci Spiegate alla Repubblica dei Ragazzi, a Roma. Ultima tappa del progetto, almeno per ora…
Sì, il progetto presso la Repubblica dei ragazzi sta continuando. Quello però non è un carcere, sono cinque case famiglia ed è un posto che fa davvero del bene ai ragazzi, pieno di belle persone e noi stiamo cercando di portare il rap anche lì. I ragazzi sono più piccoli, è un po’ diverso l’approccio che hai quando sei libero e quando sei in una cella, ma sono convinto che l’Hip hop debba andare nei luoghi in cui i ragazzi sono davvero cresciuti per strada: Voci Spiegate nasce anche per questo, non solo per i carceri. Sono molto – concedimi il termine – affezionato a Voci spiegate nei carceri, ma andremo dove c’è bisogno.
Ringrazio, personalmente e a nome di Eroica Fenice, Kiave per la sua disponibilità, il suo tempo e la sua passione.
Kiave, cd
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