Venerdì 8 marzo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, l’associazione Pro Loco Aversa ha tenuto, presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, la presentazione del libro “Luride, agitate, criminali. Un secolo di internamento femminile (1850-1950)” della direttrice dell’Archivio di Stato di Napoli Candida Carrino. L’opera ripercorre un secolo di storie tragiche e toccanti attraverso l’utilizzo di lettere e cartelle cliniche che l’autrice ha raccolto negli archivi degli ex-ospedali psichiatrici italiani, tra cui l’ex Ospedale Pschiatrico Santa Maria Maddalena di Aversa.
Biografia di Candida Carrino
Candida Carrino è attualmente Dottore di Ricerca in Studi di Genere. Ha coordinato i lavori di recupero e valorizzazione degli archivi degli ex ospedali psichiatrici della Campania, occupandosi di internamento femminile. Tra le sue opere più importanti figurano “Quando ho i soldi mi compro un pianoforte” (2010), libro-intervista allo psichiatra Sergio Piro; “Le monache ribelli” (2013) e “Andar per monasteri: alla scoperta di conventi, chiostri ed eremi a Napoli” (2014), pubblicati da Edizioni Intra Moenia. Infine, nel 2018, ha pubblicato il libro protagonista della presentazione, “Luride, agitate, criminali. Un secolo di internamento femminile (1850-1950)“, giunto alla terza ristampa nel 2021. Nel 2022 ha curato “Il segreto di Sigismund Thalberg“, che ripercorre la storia del pianista e compositore austriaco, riconosciuto come il padre fondatore della Scuola Pianistica Napoletana. Dal 2019, Candida Carrino è diventata direttrice dell’Archivio di Stato di Napoli, ridando prestigio e valorizzazione culturale e sociale all’istituto.
“Luride, agitate, criminali” di Candida Carrino
L’avvocato Rosanna Santagata, presidente dell’associazione “Pro Loco di Aversa”, introduce l’argomento principale del libro: la condizione delle internate nell’ex ospedale psichiatrico Santa Maria Maddalena tra il 1850 e il 1950. In seguito, Fabio Mangone, professore ordinario di Storia dell’Architettura presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, afferma che l’opera si collega al progetto “Carte da legare”, perché, consultando i documenti e le cartelle cliniche, l’autrice offre un quadro storico e sociale della condizione delle donne internate. Il periodo temporale non è scelto a caso: nel 1850, vengono create le prime cartelle cliniche, in cui si dà importanza all’individualità dei malati, mentre nel 1950 viene scoperto il primo farmaco antipsicotico. Candida Carrino riprende il concetto di eterotopia di Foucault, riferito a degli spazi connessi a tutti gli altri spazi all’interno della società, che al contempo escludono ciò che viene considerato estraneo alla “normalità”. Manicomi e ospedali rientrano in questa categoria, perché uniscono e allo stesso tempo separano gli individui “sani” da quelli “malati”. Nel libro si parla quindi di un società non inclusiva, che considerava tutte quelle donne vivaci, ribelli o libere malate mentali.
La dottoressa Elena Morrone, dirigente medico e psichiatra presso l’Unità Operativa di Salute Mentale di Aversa, si sofferma sulla disumanità dei manicomi, visibile dai metodi di cura dei pazienti: l’insulinoterapia, che consiste nel somministrare insulina in una persona non diabetica, per bloccare l’agitazione psicosomatica; l’elettroshock, con cui si fa passare nel paziente corrente elettrica attraverso il cervello; la lobotomia, che consiste nel praticare due fori sull’osso frontale per diffondere alcol etilico, in modo tale da impedire le connessioni tra i lobi frontali, facendo regredire il paziente a uno stato vegetativo. Celebre in questo senso è il caso di Rosemary Kennedy, sorella di John Fitzgerald Kennedy, che fu sottoposta all’intervento a causa dei continui sbalzi d’umore e l’accentuata sessualità. Candida Carrino pone l’accento sulle riforme riguardanti gli ospedali psichiatrici. La legge Giolitti n. 36 del 14 febbraio 1904 afferma che devono essere rinchiuse quelle persone affette da alienazione psichica, in quanto pericolose per se stesse e per gli altri. Nel 1968 si assiste ad un miglioramento delle condizioni degli ospedali psichiatrici con la legge Mariotti n. 431, che approva l’aumento del personale medico, un numero fisso di posti-letto per evitare il sovraffollamento e, soprattutto, il ricovero volontario. La svolta definitiva, però, si raggiunge con la legge Basaglia n. 180 del 1978, che porterà alla chiusura definitiva dei manicomi, vedendo il malato mentale come un essere umano che ha bisogno di cure e attenzioni.
Carolina De Falco, professoressa di Storia dell’Architettura presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università Vanvitelli, si concentra sulla struttura architettonica dei manicomi. Dopo aver citato un’altra storia raccontata da Candida Carrino, quella di una ragazza di 15 anni di nome Clelia, portata in manicomio perché esuberante, la professoressa parla dell’unione tra architettura e psichiatria. Infatti, i manicomi erano costruiti da ingegneri affiancati però da medici alienisti, che discutevano molto sulla forma da dare agli edifici (ad esempio, si pensava che una forma concentrica significasse affidare completamente i pazienti al medico alienista); si è deciso anche di creare manicomi ad impianto misto, caratterizzati da un’alternanza di spazi chiusi e aperti, dedicati alla cosiddetta ergoterapia (terapia del lavoro), che prevedeva attività come il lavoro nei campi, il ricamo o il cucito. In questo senso, la De Falco cita un ospedale psichiatrico che si trova in Puglia, la Casa della Divina Provvidenza, che riprende la struttura architettonica del Cottolengo di Torino.
Fonte immagine in evidenza: Pro Loco di Aversa