Il 5 Dicembre si é tenuto a Forio, il vernissage del nuovo lavoro di Veronica Acunto “Oltre”. L’emozionante raccolta é volta a rendere percepibile il fenomeno del pregiudizio. La critica sociale racchiusa nelle immagini é palpabile, tanto da indurre alla riflessione chi osserva e colpirlo in maniera pungente. Inoltre, il ricavato della vendita delle sue opere sarà devoluta a sostegno di Medici senza frontiere.
Noi abbiamo avuto la possibilità di addentrarci nella parte più intima e personale del progetto intervistando Veronica Acunto, colei che con cura e precisione ha pensato e realizzato questo entusiasmante progetto.
1. Cosa ti ha spinta a scegliere il tema dei pregiudizi per questa mostra fotografica?
È un tema che da sempre mi sta a cuore. Nell’epoca odierna, viviamo direttamente e indirettamente ancora moltissimi episodi di discriminazioni a causa di pregiudizi nati da stereotipi sociali. La mia ricerca artistica in continuo aggiornamento si basa sull’esplorazione dell’identità umana per arrivare a una consapevolezza di se stessi capace di destrutturare ciò che abbiamo appreso, talvolta anche inconsciamente e riuscire così ad abbracciare le infinite sfumature che fanno parte di ciascuno di noi al di là delle definizioni.
2. Hai un’immagine o un momento in particolare che ritieni sia il cuore di questa mostra? Puoi raccontarci la sua storia?
Tutte le fotografie esposte rappresentano in qualche modo momenti di transizione nel mio percorso artistico e di vita poiché non c’è separazione tra l’uno e l’altro ma ciò che per me è il cuore pulsante di questa mostra è in realtà la possibilità di incontrare chi osserva il mio lavoro e di creare un dialogo attraverso la mia fotografia.
3. Quali sono state le sfide che hai incontrato durante il processo creativo per realizzare queste fotografie?
La sfida maggiore è senz’altro quella di rallentare e concedermi il giusto tempo per dedicarmi alla ricerca. Lo scatto fotografico rappresenta solo la fase finale del processo creativo che racchiude al suo interno numerosi step tra cui quello della ricerca e contaminazione che avviene in svariati ambiti come la teologia, filosofia, mitologia e altri.
4. Come hai scelto i soggetti delle tue fotografie? C’è un criterio specifico o una connessione emotiva che ti ha guidato?
Non ho degli standard specifici che mi portano a scegliere una persona rispetto a un’altra per questo i soggetti ritratti sono esteticamente molto diversi tra loro. Sono molto legata ai dettagli e spesso un’espressione particolare o un modo di abitare il mondo catturano la mia attenzione al di là dell’estetica. Senz’altro la connessione emotiva è un elemento imprescindibile in questo processo che di razionale ha ben poco.
5. Ci sono artisti o fotografi che ti hanno influenzato nel tuo approccio alla fotografia e al tema dei pregiudizi?
Si, ci sono sicuramente fotografi che mi hanno ispirata e tra questi vorrei citare: Gordon Parks, primo fotografo afroamericano per la rivista Life che ha documentato il razzismo negli Stati Uniti con reportage sulla segregazione e sulla vita nelle comunità afroamericane o August Sander con il suo lavoro “Uomini del XX secolo” in cui documentava la società tedesca a ridosso delle due guerre mondiali attraverso ritratti di persone appartenenti ad ogni ceto sociale e gruppi considerati “non conformi” dal regime nazista come disabili, in modo democratico senza interpretazioni artistiche o drammatizzazioni. Ma anche fotografe come Francesca Woodman con il suo importante lavoro sull’alienazione del corpo femminile in un contesto sociale oppressivo. Diane Arbus che ha esplorato la condizione umana mettendo in discussione i concetti di “normalità” e “devianza” con i suoi ritratti a disabili, artisti circensi e outsider mostrando come le etichette sociali contribuiscano all’esclusione. Nan Goldin che ha documentato la vita di amici e membri della comunità LGBTQ+ negli anni ’70 e ’80. Shirin Neshat, artista iraniana che usa la fotografia per esplorare la discriminazione di genere e culturale e in particolare il ruolo delle donne nelle società islamiche.
6. Come vedi l’evoluzione della fotografia sociale e il suo ruolo nel combattere le discriminazioni nei prossimi anni?
Penso che la fotografia rappresenti ancora oggi uno strumento rivoluzionario potentissimo per la sua capacità di denunciare, rappresentare il reale, fare luce su realtà che altrimenti sarebbero sconosciute ai più e capovolgere la visione che si ha del mondo destrutturando così gli stereotipi che sono la causa principale delle discriminazioni. La sua evoluzione è il riflesso di ciò che accade a livello globale ma non sono d’accordo con chi sostiene che la fotografia sia morta a causa dell’intelligenza artificiale o per la facilità di accesso allo strumento, pensando alla quantità smisurata di immagini che produciamo e consumiamo quotidianamente con l’uso degli smartphone e dei social. Anzi, penso proprio che la democratizzazione dello strumento fotografico ma anche della conoscenza, possano essere un punto di partenza per raccontare il mondo allontanandoci dalla cultura dell’estetica e del “bello” che attanaglia l’epoca in cui viviamo. C’è bisogno di ritornare a una fotografia autoriale in cui si mette in discussione ciò che si conosce per porre nuove domande, una fotografia in grado di arrivare a più persone possibili e in cui il fotografo diventa un ricercatore capace di offrire un nuovo punto di vista da cui osservare ciò che ci circonda.
7. C’è qualche elemento simbolico che hai messo nelle tue foto che solo tu e pochi altri riuscite a riconoscere?
La ciclicità e la dualità sono elementi ricorrenti nelle mie fotografie in cui è possibile notare l’alternanza di luci e ombre, opacità e nitidezza, movimento e staticità. Anche l’installazione dei due specchi posta in apertura della mostra, ad esempio, è un elemento essenziale che rappresenta sia l’inizio che la fine di questo percorso. È un’esortazione al dialogo con le moltitudini che risiedono in noi attraversando le proprie crepe e avvicinandoci all’altrə. Infatti, la dualità e la contrapposizione degli specchi creano un gioco di riflessi in cui, anche attraverso lo sguardo di un’altra persona, è possibile vedere la nostra pienezza. “Oltre” è una mostra aperta in cui l’esplorazione di se stessi è un percorso a-temporale come suggerisce il testo di TS. Eliot inserito accanto lo specchio che ci invita a ritornare al punto di partenza per “conoscerlo per la prima volta”.
8. La tua mostra si concentra su un tema tanto delicato. Come bilanci il desiderio di sensibilizzare senza cadere nel sensazionalismo?
Cerco di adottare una composizione fotografica che sia il più pulita possibile, priva di elementi di disturbo, in cui l’occhio viene guidato sul soggetto ritratto e sulla sua condizione. Questo dà modo di entrare subito in empatia con ciò che si guarda mettendo al centro di tutto la riflessione e il coinvolgimento attivo dell’osservatore.
9. Come gestisci l’interazione con i tuoi soggetti? In che modo riesci a creare un ambiente di fiducia che permetta loro di mostrarsi autentici e vulnerabili?
Tutto parte da una semplice conversazione. Può sembrare banale, ma è molto importante instaurare un rapporto con le persone ritratte in cui ci si pone allo stesso livello. L’empatia è una qualità indispensabile per far si che chi abbiamo avanti possa sentirsi liberə di mostrarsi in tutta la sua autenticità ma ciò che più incide è la reciprocità nello scambio di sensazioni, esperienze vissute, idee e opinioni. Nell’atto fotografico co-esisto assieme al soggetto ritratto con quelle che sono le mie insicurezze, esperienze di vita e mostrarle apertamente crea un meccanismo di riconoscimento nell’altrə che spinge le persone a fidarsi. Non esistono gerarchie di ruoli ma solo uno sguardo ampio, un sentire comune.
10. Quali altri temi sociali o culturali pensi siano importanti da esplorare attraverso l’arte fotografica?
Non penso ci siano tematiche di serie A o di serie B. Credo dunque che ogni tematica meriti la giusta attenzione e possa esser esplorata attraverso la fotografia, anche se riguarda una piccola realtà. Dato il momento storico che stiamo vivendo, credo che dovremmo volgere il nostro sguardo su tematiche come il cambiamento climatico, i conflitti umanitari e la salvaguardia della biodiversità etnica – culturale come elemento fondamentale per il progresso sociale, l’identità collettiva e la resilienza delle comunità.
Fonte immagine per l’articolo Oltre di Veronica Acunto: fornite dalla fotografa