Con l’incontro del 13 giugno si è giunti al termine del ciclo di incontri della terza edizione delle Conversazioni Cromatiche su Napoli a cura di Benedetta de Falco. È ancora una volta lei a moderare l’incontro nella sede dell’Intragallery, con la malinconia negli occhi ma già pronta ad annunciare con entusiasmo la ripresa di questa fantastica iniziativa, che nel 2018 vedrà la straordinaria apertura sotto la benedizione di Mauro Felicori, direttore della Reggia di Caserta.
L’ospite di un afoso martedì pomeriggio è Renato Quaglia, famoso per aver ricoperto illustri ruoli nell’ambito della coordinazione delle istituzioni culturali. Davanti ai presenti si figura un uomo dalla voce pacata, che viene annunciato dalla moderatrice come un «appassionato» di Napoli. Ebbene, lui ribatte così: «Non sono appassionato di Napoli, io sono fulminato da Napoli».
Eppure, prima del 2008 non avrebbe immaginato di vivere un’esperienza tanto forte. Friulano di origine, ha lavorato a Udine nell’impresa dello spettacolo, per poi arrivare nel 1998 alla prestigiosa Biennale di Venezia, ricoprendo l’arduo incarico di direttore organizzativo.
A questi primi attimi Renato Quaglia attribuisce due colori: il rosso e il giallo. La sua scelta è frutto di un’acuta erudizione, che lo ho portato ad appassionarsi a personaggi come Vasilij Kandinskij e Max Lüscher. Il primo, famoso pittore russo, l’altro psicoterapeuta interessato all’espressione che i colori riescono a dare a uno stato d’animo. Secondo Lüscher, infatti, il rosso sarebbe indicativo di una condizione di build up finalizzata a gettare le basi di un entusiasmante futuro. Il giallo, invece, è il colore del cambiamento. Un cambiamento vissuto da Renato Quaglia dopo nove anni alla Biennale. Nel 2007 infatti la sua esperienza lì si opacizza, per poi trovare rossore solo un anno dopo, nel fatidico viaggio della vita.
Nel 2008, infatti, a Quaglia viene affidata la direzione del Napoli Teatro Festival, in corso proprio in questo periodo. Ricorda felicemente quel periodo di serenità lavorativa, ma anche della scoperta della Città, a partire dalle mete “ovvie” fino a meandri della multiforme Napoli. «Avevo la sensazione che Napoli fosse una città di città».
Renato Quaglia come Marco Polo ne Le città invisibili di Italo Calvino
Nelle sue Lezioni Americane, Calvino aveva dato una chiave interpretativa della sua opera che Quaglia ha fatto sua: Marco Polo non fa che descrivere sempre la stessa città, ma da punti di vista sempre nuovi, che portano quella a essere una città di città. «Non a caso, Napoli è plurale, non come Milano, Venezia, Roma. Napoli è una città al plurale». Questa pluralità della Città si esprime nella sua «teatralità», intesa come autenticità della comunicazione, elemento ormai perduto nelle città che nascono nel solco dell’omologazione.
Ma ancora gli è difficile dare un colore a Napoli. Forse perché, secondo Quaglia, Napoli è come un quadro di Jackson Pollock. L’artista americano vedeva le gocce di pittura direzionarsi verso la tela, e prendere forma propria. Quegli schizzi di pittura che sembrano non condividere nulla, finiscono per colmare lo stesso spazio comune della bianca tela. Questo fenomeno è ben spiegato, secondo il nostro conversatore, dal termine solitarietà: un’unione tra solitudine e solidarietà. «Napoli dà la sensazione che la quantità di cose apparentemente inconciliabili possano dare vita a un disegno unico».
Dal 2008, Renato Quaglia è rimasto legato a Napoli
Lo spaccato di città da lui rappresentato è quello dei Quartieri Spagnoli. Con l’aiuto di aziende private, è riuscito a rilevare un progetto di rigenerazione convogliato nella Fondazione FOQUS di cui è direttore generale. Non deve ingannare la sua posizione di prestigio in questo progetto. Renato Quaglia quasi non riesce a parlare di questa esperienza senza essere inebriato dalla più tenera commozione, soprattutto nel trattare del progetto ARGO, uno spiraglio di luce anche per i ragazzi autistici, soprattutto quelli dai 16 ai 32 anni, lasciati alla totale indifferenza dello Stato, nonché dei passanti delle strade trafficate di Napoli, o alle asfissianti attenzioni dei familiari, che, soprattutto nella zona dei Quartieri, non hanno modo di supportarli a dovere. Nell’edificio-mondo da lui creato non c’è spazio per l’abbandono, ognuno è a casa, ogni ferita suturata. Il progetto FOQUS è un vanto non solo per l’appassionato Renato Quaglia, ma anche per coloro che ancora credono che le cose possano essere cambiate, che si possa dare colore anche a quei luoghi che crediamo non ci appartengano.
«Spesso si pensa che i Quartieri Spagnoli siano il piano B, quello di riserva. Henryk Sienkiewicz, autore di Quo vadis? affermava: “Ognuno di noi ha due nazionalità, la propria e quella italiana”. Mi sento di dire, che gli italiani stessi hanno due nazionalità, quella della città di provenienza e la cittadinanza napoletana. I Napoletani, invece, hanno la cittadinanza del quartiere da dove provengono e quella dei Quartieri Spagnoli».
Ed è con questa unione tra «anime distinte ma non distanti»(ricordando le parole della moderatrice Benedetta de Falco) che si conclude il commovente incontro con Renato Quaglia, un uomo che ha messo e continua a mettere tutto il suo cuore in ciò che fa. Anime distinte ma non distanti hanno preso parte agli incontri, fortunati nel sentir parlare uomini del suo calibro, gli stessi che costituiscono macchie dense di colore della grande tela che è Napoli.