Lo scrittore bulgaro Georgi Gospodinov, vincitore del premio Strega Europeo 2021 e dell’International Booker Prize 2023 con Cronorifugio (2020), chiude a Napoli la sedicesima edizione della rassegna letteraria “Strane Coppie”, diretta da Antonella Cilento. Domenica 17 novembre, nell’atrio delle Trentatré, Georgi Gospodinov ha tenuto un laboratorio di scrittura e una lectio, intitolata “Il sogno del tempo”, con traduzione di Giorgia Spadoni, letture di Andrea Renzi e accompagnamento musicale di Paolo Coletta.
Qual è il processo creativo di un libro, cosa ispira Georgi Gospodinov? Che consiglio può dare a chi si avvicina alla scrittura?
Ho scritto poesia e prosa, pièce teatrali, sceneggiature per cortometraggi, critica, studi letterari, una tesi di dottorato, oltre 400 testi di pubblicistica, testi commerciali; da oltre 20 anni sono redattore della rivista Literaturen vestnik e a volte penso di aver letto più manoscritti che libri; ho seguito corsi di scrittura creativa, ho insegnato. E dopo tutto questo posso dirlo francamente. Non diventa mai più facile. Ogni volta cominci da zero con tutte le tue paure e preoccupazioni, con tutte le esitazioni. E proprio l’esitazione è l’inizio. Viviamo in una cultura che non tollera l’esitazione. Ma se dovessi formulare una sorta di consiglio: non evitate l’esitazione, non ne abbiate timore, sviluppate i vostri dubbi, le ipotesi collegate con ciò che state scrivendo. L’insicurezza terrà tutte le strade davanti a voi e il vostro testo aperti. Trovo che l’esitazione sia lo stato più naturale della persona (e di chi scrive), tratto certo di sensibilità, che è la cosa più importante nella nostra occupazione. Non credo molto alla gente che conosce tutte le risposte, tutte le mosse, e non dubita di quello che fa. La categoricità è sempre sospetta e limitante. D’altronde lavoriamo con quella delicata, sfuggente e ambigua materia che è la lingua.
Mentre scrivevo il mio primo romanzo ero assolutamente libero, non perché sapessi come si faceva, niente affatto, l’esatto contrario. Era la mia prima esperienza e avevo diritto a fallire. Questo è un diritto molto importante, usatelo senza timore adesso, all’inizio. Rende liberi. In effetti tutta quest’arte è un incessante camminare sull’orlo del fallimento.
Non è importante capire tutta la storia fin dall’inizio. Ogni scrittore ha il suo metodo: io preferisco scrivere in un modo più vicino alla poesia, affidarmi alla storia, alla mia voce, alla lingua, e farmi guidare, senza limitarmi dall’inizio con la mia idea. È un po’ come il rafting, devo fare solo attenzione a non ribaltarmi, il resto lo farà l’acqua. In corso d’opera cambio spesso direzione: nella poesia è importante fare associazioni e collegamenti, e mi sono portato quest’abitudine anche nella prosa. Fisica della malinconia è pieno di queste deviazioni; l’importante è non perdere il filo conduttore e saper tornare alla trama principale.
Lei ha detto: “a volte mi sento come un trafficante di poesia nei romanzi”. Come influisce la sua esperienza poetica sulla narrazione dei suoi romanzi?
Io provengo dalla poesia e in effetti non l’ho mai abbandonata. Come ho detto, devo alla poesia il mio stile e il mio metodo, ma anche tutte le “deviazioni” presenti nei miei romanzi. È chiaro che la stesura di un componimento poetico e di un romanzo sono due discipline diverse; la questione più importante nella stesura del secondo è come mantenere il proprio ritmo e respiro per un tempo maggiore. È anche importante mantenere due livelli quando scriviamo: il quotidiano e il sublime; questi si completano e sono necessari l’uno all’altro.
Qual è, secondo lei, la caratteristica più importante per uno scrittore?
L’empatia: senza di essa non potremmo leggere davvero un racconto, né scrivere ed immedesimarci nei nostri personaggi. Ad esempio, in Fisica della malinconia, il nonno ingoia delle lumache vive, perché pensa di curare così il suo intestino, e io ho cercato di immaginare l’episodio dal punto di vista della lumaca. Per essere buoni scrittori dobbiamo provare empatia anche per il pesce de Il vecchio e il mare.
Se dobbiamo privarci di tutto il superfluo e riassumere cosa rimane alla fine in quanto unità minima di vitale importanza per ogni scrittore, è la seguente: un’estrema sensibilità ed empatia verso tutto ciò che fa male, ferisce o rende felici. Non solo il tuo corpo, ma anche il corpo del mondo. E una diabolica sensibilità per le parole, per il miracolo della lingua. Niente di più, niente di meno.
Come si è avvicinato alla scrittura?
Ho iniziato a scrivere da bambino, a sei anni circa, perché facevo un incubo ricorrente. Cercavo di raccontarlo a mia nonna, ma lei non voleva che glielo dicessi, perché secondo una superstizione bulgara se racconti un incubo a voce alta si avvera. Allora l’ho scritto, e sono successi due miracoli: non ho più fatto quell’incubo, ma non l’ho più dimenticato.
Crede che la scrittura sia ancora oggi un modo per affrontare le sue paure?
Sì, uno dei poteri della scrittura è combattere le nostre paure, principalmente la paura che il tempo finisca. Penso che lo scrivere sia questo: cerchiamo di scrivere per fermare delle cose, dei momenti che evaporano molto velocemente. La scrittura crea memoria, e noi scriviamo sempre all’ombra di questa memoria.
Ho sentito differenti risposte di scrittori alla domanda “Perché scrive?”. Una delle più sincere era: “Perché mi amino”. E questo è un motivo di tutto rispetto. Credo di averlo messo in pratica tra i miei 15 e 25 anni. Günter Grass, se non erro, dice che scrive contro il tempo che scorre. Attraverso la bocca di Gaustin mi permetto di aggiungere “E anche se da un punto di vista strategico abbiamo perso la partita, i giri a vuoto delle nostre storie rimanderanno sempre la fine”.
La memoria è un tema centrale nelle sue opere. Da cosa nasce?
Il legame tra letteratura e memoria, che attraversa tutte le mie opere, nasce probabilmente dalle mie poesie. Ci sono diversi tipi di memoria. C’è, ad esempio, la memoria monumentale, quella delle piramidi di Giza. Questa però non mi interessa, io voglio di scrivere di cose molto più effimere, effimere come noi. A me interessa quella che io chiamo “memoria calda”: è la memoria che ha le dimensioni di una vita umana, la memoria dei miei genitori e dei loro genitori, che suona come la storia personale di qualcun altro. Per questo i miei romanzi sono ambientati nel XX-XXI secolo, perché è questa la memoria che a me interessa, la memoria di come noi siamo fatti. Penso che le storie personali siano molto più importanti della storia “grande”.
Continua Georgi Gospodinov: La memoria è anche piena di campi vuoti: è lì che la fantasia lavora. L’immaginazione ha bisogno di spazi vuoti da riempire. I ricordi sono sempre nebulosi, sfumati, e possiamo permetterci di mantenere quest’incertezza.
Cronorifugio nasce proprio da un’idea che ho avuto leggendo uno studio su come i sensi aiutano i malati di Alzheimer a ricordare. I tre stimoli che più stuzzicano la memoria sono gli odori, la musica e le storie. I bravi scrittori inconsciamente usano tutti i sensi quando scrivono, e così risvegliano nel lettore le stesse emozioni che hanno vissuto.
Quanto c’è di autobiografico nelle sue opere? Quanto appartiene a Georgi Gospodinov e quanto ai suoi personaggi?
Credo che i migliori libri vengano fuori dal vissuto personale. Quando parlo di personale non intendo solo biografico. L’idea fa sempre leva sull’empatia, è un personale condiviso, di tutti. Le nostre storie personali sono universali. Così è la loro natura. Perché ogni storia è sempre una storia contro la morte, anche se è una storia sulla morte. La storia personale è il collante. Che sia d’amore, disgregazione, morte… i temi non sono così tanti, le trame sono limitate. Anche fosse una storia sull’impossibilità di raccontare la nostra storia personale, come nel caso di Romanzo naturale.
A proposito dell’importanza di ricordare il passato, qual è la sua posizione nel dibattito sullo smantellamento dei monumenti? Cosa pensa della rimozione del monumento all’Armata Rossa a Sofia?
Dipende molto da ogni caso concreto. Ci sono dei monumenti, ad esempio, che sono proprio brutti, non hanno alcuna memoria, anzi stanno lì per falsificare una memoria storica. Il monumento a Sofia, ad esempio, vorrebbe ricordare i soldati dell’Armata Rossa morti durante la Seconda guerra mondiale in territorio bulgaro, ma in realtà non c’è nessun soldato dell’Armata Rossa che sia morto in Bulgaria. Perciò questo monumento racconta una storia falsa. Nonostante ciò, non sono del tutto sicuro che andasse rimosso. A me piaceva quando è stato oggetto di diversi atti di vandalismo, e hanno dipinto alcuni soldati come supereroi americani; era un’interpretazione molto interessante. I monumenti vanno interpretati, altrimenti sono morti.
In primavera uscirà anche in Italia Il giardiniere e la morte. Cosa può anticiparci di questo romanzo?
È un libro assolutamente non facile, sulla morte di mio padre, che era un giardiniere – spiega Georgi Gospodinov, È un libro su quello che impariamo o cerchiamo di imparare dalla morte delle persone che ci stanno vicino, le persone che ci insegnano a fare tutto. Nessuno ci insegna come morire. È anche un libro sull’importanza di tenere la mano alle persone che ci stanno lasciando. Sia nel sonno che nella morte una persona entra da sola, ma è sempre bello che ci sia qualcuno alla porta lì con te.
Fonte immagini: archivio personale