Incastonata nell’antica e fertile Valle Telesina, poco distante dal pittoresco Parco del Rio Grassano, sorge la suggestiva Abbazia Benedettina del Santo Salvatore, protettore della città di San Salvatore Telesino. La struttura, nonostante le trasformazioni operate, non sempre felicemente, dal tempo e dalla storia, oggi appare restaurata e valorizzata, senza tradire lo spirito originario del luogo, e funge da importante punto di riferimento identitario per gli abitanti e i visitatori della Valle Telesina.
La Valle Telesina e l’antica Telesia
Parlare della Valle Telesina, di San Salvatore Telesino e della vicina città termale di Telese, rimanda preliminarmente alle profonde radici storiche dell’antica città preromana di Telesia (Toulosium), di origine osca, come testimonia il ritrovamento di una moneta che ne riporta in caratteri oschi il nome. L’importanza della città è testimoniata anche in epoca romana, per la resistenza che essa oppose alla rapina operata dai cartaginesi di Annibale nel 217 a. C., da Tito Livio: «Annibal ex Arpini in Samnium transit, Beneventanum depopulatur agrum, Telesiam urbem capit» (Ab Urbe condita, lib. XXII, cap. X). Dopo queste ed altre devastazioni la città è tornata più volte all’originario splendore, grazie anche all’attestata federazione con l’Urbe. Nel VII secolo funse da circoscrizione amministrativa legata al governo longobardo, ma le tracce furono definitivamente perdute con l’invasione saracena dell’860 d. C.; nonostante questo, i sopravvissuti alle scorrerie saracene, onde non abbandonare la natia Valle Telesina, deliberarono di stabilirsi a poca distanza da Telesia, ovvero presso quello che sarebbe stato il nucleo originario dell’Abbazia Benedettina del Santo Salvatore (X-XI secolo): in questo si realizzò il primo passo verso la costituzione dell’odierno comune di San Salvatore Telesino.
L’Abbazia Benedettina del Santo Salvatore
Sono ancora incerte, date le ipotesi contrastanti di vari studiosi antichi e moderni (Libero Petrucci, Angelo Michele Iannacchino, Dante Marocco, Luigi Cielo), le circostanze della costruzione del complesso abbaziale del Santo Salvatore. Unico dato certo, dunque fuor di ipotesi, è il primo riferimento storico dell’esistenza dell’Abbazia: l’attestazione della presenza dell’abate Leopoldo di San Salvatore al Sinodo indetto dall’Arcivescovo di Benevento nel 1075. Si tratta di un luogo di storia e di storie, nelle quali, entrando, si è immediatamente proiettati: l’Abbazia, in cui sono raccolti reperti archeologici grazie alla Pro Loco, funge da raccordo storico tra identità passate presenti e anche chi non possiede dirette radici con l’antico luogo della Valle Telesina riesce a riconoscersi come parte di una trama storica e umana più antica, la stessa di cui è intessuto l’immaginario di ognuno.
Le tre navate dell’Abbazia, costruita sulla scorta, pare, del modello benedettino di Montecassino, l’abside e il transetto, inoltre, ospitano il percorso didattico Telesia Antiquarium, che testimonia l’incontro tra epica cristiana e precristiana: agli affreschi raffiguranti San Benedetto, la gemella Santa Scolastica e cortei apostolici affiancano l’esposizione di reperti più antichi: vi si possono ammirare, infatti, statue ed epitaffi d’epoca romana (prove dell’importanza rivestita al tempo da Telesia), nonché esempi di corredi funerari di origine precristiana, alcuni anche di recente ritrovamento. Questi ultimi, in particolare, dipingono negli occhi immagini sfocate di vite che vissero in un tempo che oggi sembra ancora difficile da concepire: suggestivo, infatti, per la tenerezza suscitata, è vedere vegliata dagli occhi affrescati dei santi benedettini un’anfora, contenente le reliquie di un bimbo defunto in tenerissima età, affidata, prima di essere riesumata, alla terra. Un contrasto tra le vite dei santi, agiografie immobili nella mente dell’anonimo affrescatore, e la vita, consegnata all’eternità, di quel bambino: una memoria delle proprie radici, un incontro di due mondi che prendono vita avanti agli occhi dell’uomo moderno, che si trova quasi un visitatore indiscreto di una credenza sacra, apparentemente inconcepibile, e che, grazie proprio a quell’incontro, può stabilire un legame profondo e concreto con il passato.
Fertile di vita antica e moderna, la Valle Telesina può e deve essere considerata, come molti siti della Campania Felix, un museo a cielo aperto che accoglie e serba ancora frammenti di storia ancora da riportare alla luce. E a questo proposito non possono non venire in mente le parole di Massimo Rao, grande artista telesino prematuramente scomparso nel 1996, le quali, benché dedicate alla musa pittorica, sembrano rappresentative di ciò che ad oggi rappresenta la Valle Telesina nelle sue innumerevoli sfaccettature umane: «Le cose non sono mai come appaiono: nascondono sempre infinite storie, inquiete memorie, infiniti sogni non ancora sognati».