Accadde oggi: il 15 febbraio 1898 è nato Antonio De Curtis, in arte Totò
Il 15 febbraio 1898 è nato il principe Antonio De Curtis, più comunemente noto come Totò, l’attore partenopeo divenuto ben presto simbolo del nostro paese e, secondo un certo neapolitan flavour, della comicità napoletana.
Il volto sbilenco ed il corpo disarticolato si prestavano facilmente alla deformazione, congiunti entrambi al gusto per i giochi di parole ai limiti paradossali del nonsense: Totò fece della plasticità del suo corpo una vera e propria marionetta bizzarra, che si spingeva fino ad un certo surrealismo parossistico, dando esito ad una modernità irreale e comica. Egli ha portato sia sulla scena che sullo schermo una tradizione che passava dalla commedia dell’arte, al varietà ed alla sceneggiata, attraverso la rivoluzionaria ripresa della maschera, che si imponeva sugli stessi personaggi. Attraverso la caricatura dei ruoli da lui interpretati, Totò rappresentava l’inevitabile scontro universale tra la vitalità del proletariato e l’ipocrisia borghese, esasperata fino a rasentare il ridicolo. In questo modo, la cupezza di temi come la fame, la povertà, la guerra e la morte venivano sciolte abilmente nello sberleffo: l’attore li affrontava con quell’ironia tipica della maschera capace di suscitare il riso ed allo stesso tempo di far riflettere. Ne risultava una recitazione fresca ed immediata, che centrava il senso della messa in scena senza troppi giri di parole e finanche quel piglio ironico non diventava più un modo per addolcire, ma piuttosto di accentuare la notevole schiettezza che permeava i film di Totò.
La maschera: tra realtà e finzione
Già con uno dei padri del teatro partenopeo, Eduardo Scarpetta, il senso e la misura della centralità della maschera sul palcoscenico erano stati modificati: egli si era adeguato ai gusti di un pubblico che a teatro si aspettava di ridere, ma che allo stesso tempo in scena voleva vedere la performance degli attori e non delle maschere che riproponessero in maniera sempre uguale gli stessi stereotipi. Questo rivoluzionario virare verso una notevole centralità dell’attore era stato portato all’esasperazione, poi, da Totò: in lui la performance dell’attore era inviolabile, nonché la sua supremazia sui personaggi e, talvolta, anche sulla qualità dei film. Totò era capace di catalizzare tutta l’attenzione del pubblico sullo sé stesso attore, sulla sua straordinaria abilità comica di snodarsi come se fosse un burattino umano. Da qui quell’anarchico incedere sulla scena stravolgendo i copioni a proprio piacimento, trattandolo al pari di un canovaccio da cui partire per poi reinventare, ricreare e sperimentare gli spunti comici, accostandosi per certi aspetti all’idea di base della commedia dell’arte, ma che diventava anche varietà e tante altre forme e altri generi di spettacolo mai univocamente definibili.
La sua figura, pertanto, risultava sempre polivalente, improvvisa, all’eterno confine tra ciò che è reale e ciò che è finzione: Totò parlava, affrontava una realtà tangibile nella sua tragicità, ma lo faceva facendo di sé stesso una maschera con la quale anche i personaggi più tragici risultavano venati da un certo guizzo smorfioso, tipico dello sberleffo e della sinteticità della maschera. Questo ha generato non poche ambiguità in Totò, in quanto personaggio e interprete, poiché la sua natura non poteva essere contenuta in nessun modo nei limiti del copione e della parola. Principalmente con Pasolini, poi, negli ultimi anni di carriera e di vita di Totò, «il cinema serio» riuscì ad usare la sua maschera, rispettando le sue caratteristiche e liberando, senza creare dislivelli con la qualità dei film, la sua verve libera e graffiante.
Totò è stato un vero e proprio personaggio, unico nel suo genere, permeato da una certa complessità, anche nel rapporto polivalente tra il suo essere Totò e Antonio De Curtis insieme, anarchico sottoproletariato e nobile principe. Insomma, la sua è una figura ancora tutta da riscoprire nella vita e nella scena.
Fonte immagine: Flickr