Il 26 aprile 1986 resta scolpito nella storia e nella memoria collettiva per il disastro nucleare di Chernobyl.
Il 26 aprile 1986 si verificò nell’allora Repubblica Socialista Sovietica dell’ Ucraina il disastro nucleare di Chernobyl. Alle ore 1.23 locali il reattore numero 4 della centrale esplose, a causa di alcuni errori procedurali commessi durante un test di sicurezza. Studi successivi hanno sostenuto l’ipotesi della concatenazione con debolezze intrinseche di progettazione del reattore. Ciò che è certo è che l’incendio disperse nell’atmosfera un’elevata quantità di isotopi radioattivi, facendo classificare il disastro di Chernobyl come livello 7, il massimo della scala INES.
Il più grave incidente della storia dell’energia nucleare provocò la morte, accertata, di 65 persone, lavoratori della centrale e primi soccorritori. I valori delle radiazioni stimate nei pressi del reattore oscillavano tra 15000 e 36000 R/h, centinaia di migliaia di volte superiori a quelli naturali (20 μR/h). Basti pensare che è sufficiente un’esposizione a 500 R/h per 5 ore per uccidere una persona. Questa fu la sorte di chi tentò di arginare il disastro, sia all’interno del reattore sia all’esterno, attraverso operazioni di raffreddamento e spegnimento.
La nube tossica esplose nella notte del 26 aprile 1986 e nelle ore successive circa 600 mila persone (e sarebbero potute essere molte di più senza il sacrificio di pochi volontari) ad alti livelli di radiazioni, provocando negli anni successivi migliaia di malattie e la morte di almeno 4 mila persone, come rilevato dalle Nazioni Unite. Un bilancio inevitabilmente parziale, dal momento che gli studi sono stati interrotti da circa due decenni. Ad aggravare l’entità del disastro contribuirono i ritardi negli interventi a favore della popolazione. La città di Pripyat, dove sorgeva la centrale di Chernobyl, venne evacuata diverse ore dopo l’incidente, nonostante apparisse evidente la criticità della situazione. Emblematica fu la rapida trasformazione di una pineta che dopo il 26 aprile 1986 venne soprannominata “foresta rossa” a causa delle radiazioni che investirono gli alberi facendoli diventare di un colore tendente al rosso e dunque morire. Ancora oggi gran parte della foresta resta interdetta, così come Pripyat, divenuta una città fantasma.
Soltanto il 14 maggio 1986 il Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Michail Gorbaciov tenne a Vienna un discorso in cui si annunciava la pubblicazione delle informazioni sull’incidente, che sarebbero state invece secretate per i cittadini sovietici.
L’eco di quanto successo a Chernobyl la notte del 26 aprile 1986 arrivò ben presto in Europa, allarmando l’opinione pubblica circa il ricorso alle politiche energetiche basate sul nucleare. In Italia, dove venne vietato il consumo di alimenti ritenuti a rischio, come il latte e l’insalata, a maggio scesero in piazza circa 200 mila persone per manifestare la loro preoccupazione. Era la svolta per il movimento ambientalista, tanto italiano quanto europeo, che da anni si era schierato contro l’utilizzo civile e militare del nucleare. I Verdi vissero così l’apice della propria esperienza politica, facendosi promotori insieme ai Radicali e a Democrazia Proletaria di un referendum che sostanzialmente segnò l’abbandono dell’energia nucleare in Italia.
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