Disabilità: quando “l’essenziale è invisibile agli occhi”

Disabilità: quando “l’essenziale è invisibile agli occhi”

Disabilità: inclusione, diritti, differenza. Un salto nel passato o un tuffo nel futuro. Ne parla la psicologa di Eroica(mentis).

Se pensiamo che appena il 31,4% delle persone affette da sindrome di Down con più di 24 anni lavora, prendiamo atto dell’esistenza di una manchevolezza legata ad alcuni riposizionamenti organizzativi all’interno di un contesto complesso che contiene ed accoglie la differenza come qualità specifica e irrinunciabile alla base del cambiamento sociale.
Cosa manca effettivamente? Il collante. Una dinamica relazionale che riesca a tenere insieme l’impegno strettamente istituzionale con quello più largamente educativo e progettuale agito e promosso sul territorio. «L’essenziale è invisibile agli occhi» affermava il noto scrittore francese.

La disabilità diventa un numero che aumenta a dismisura, ma senza lasciare traccia, senza un dopo famigliare e sociale. Questo fenomeno si manifesta in misura maggiore dopo l’uscita dal contesto scolastico che conduce il soggetto disabile alla dissolvenza sociale, all’assenza di un impegno lavorativo e al conseguente e inevitabile sovraccarico famigliare.

Percentuali che sfidano la messa in gioco dell’autonomia, del senso di collaborazione, di una politica dell’inclusione che si ponga tra accettazione e sfida continua. 1 italiano su 4 dichiara di non aver mai incontrato nel corso della propria esperienza lavorativa persone disabili, senza trascurare che per 2 italiani su 3 la disabilità viene percepita come una limitazione fisica più che intellettiva.
Bisognerebbe farsi carico della disabilità per vivere l’autonomia nella sua essenzialità, nel suo significato più profondo, per essere capaci di vivere l’indipendenza come prerogativa dell’organizzazione collettiva. Sorge la necessità di educarsi per educare, e questo esempio dev’essere dato da una buona politica attraverso un processo di coscientizzazione ed individuazione di quelli che sono i servizi e le possibilità offerte dal territorio per l’inserimento della disabilità nel mondo del lavoro.
Appare evidente come oggi ci concentriamo sui molti disoccupati senza lavoro sottovalutando il dato di fatto che le persone con handicap hanno maggiori difficoltà di accesso nei contesti lavorativi limitando di fatto la partecipazione attiva all’interno della comunità, senza tralasciare uno spreco inaccettabile di competenze.

Per fare questo è necessario entrare nella “loro” realtà, conoscendo le loro peculiari caratteristiche per organizzarle e inserirle in particolari contesti che li valorizzino. Un investimento sociale ed economico senza precedenti. Una sfida alla crisi economica, all’individualizzazione, ai mercati finanziari, alla globalizzazione. Rimettere in gioco i contesti organizzativi significa generare conflitti, creare disordine, quest’ultimo non deve intendersi come assenza di ordine ma va letto come una mancanza di relazione tra ordini diversi. La possibilità di includere la differenza costituisce un valore aggiunto al capitale umano in quanto apre prospettive inedite, di emancipazione e di crescita superando il limite che ci impone il nostro esclusivo punto di vista. Significa superare il confine della paura e del rischio per accedere al cambiamento e alla conoscenza dell’altro rimettendo in discussione se stessi e le proprie convinzioni. Sorge la necessità di recuperare una solidarietà collettiva di integrazione della differenza superando quelle barriere di rigidità e indifferenza che ostacolano la nascita di ecologie relazionali possibili e costruttive. Significa superare la mera logica materialistica del “sussidio” per passare ad una più proficua integrazione tra politiche del lavoro e politiche sociali proattive, queste ultime maggiormente incentrare sul soggetto svantaggiato e sul suo potenziale.

L’obiettivo a cui dovrebbe mirare non solo la politica ma anche la collettività tutta è quello di trasformare la natura dell’attività lavorativa partendo dall’idea secondo cui esistono depositi di risorse umane sottosviluppate che devono essere valorizzate e diffuse. Ciò determinerebbe la possibilità per i contesti lavorativi di creare valore, assumendosi la responsabilità di attività innovative, fonte di profitti economicamente concorrenziali. Ciò consentirebbe non solo di impostare un metodo di valutazione più equo, ma anche di accrescere l’efficacia e l’efficienza produttiva dell’intero sistema economico creando nuovi posti di lavoro.

Un circolo virtuoso che può essere avviato trasformando la spesa in un investimento non solo per la società ma per ciascuna famiglia che fa fatica ad arrivare a fine mese. Questo sarebbe concretamente possibile se ci spostassimo dalla logica binaria normalità-patologia per essere in grado di guardare l’altro differente in quanto persona con dei diritti e a cui vengono garantite delle condizioni di benessere e di opportunità all’interno di un progetto di vita che risponde all’esigenza di appartenenza al tessuto socio-economico. Una trasformazione che consentirebbe l’assunzione di un atteggiamento critico e di apertura basato sulla riflessività ed un impegno prima di tutto umano e, successivamente, di implementazione politico-istituzionale. Sviluppare una pedagogia dell’inclusione significa favorire l’inserimento della disabilità nei contesti più ampi.

Immagine: Governo italiano

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