Gli anni ’60, all’interno del complesso mosaico internazionale, sono anche conosciuti come L’era atomica del Giappone (原子力時代), un momento storico nel quale il discorso sull’uso dell’energia nucleare era sulla bocca di tutti. Tuttavia, non erano passati nemmeno 20 anni dall’olocausto nucleare che colpì le città di Hiroshima e Nagasaki, oggi simbolo dell’apice che la crudeltà umana ha raggiunto in tempi di guerra.
Il fatto che, nonostante ciò, si stesse già pensando di utilizzare l’energia nucleare e abbracciare il piano “Atomi per la pace” (che prende il nome dal discorso pronunciato dal presidente statunitense Dwight D. Eisenhower l’8 dicembre 1953 alle Nazioni Unite) è, e continua ad essere, fonte di grande curiosità per molti.
Analizziamo, step by step, le tappe più importanti che hanno dato inizio all’era atomica del Giappone.
L’era atomica del Giappone: l’incidente della Lucky Dragon n. 5
Durante l’occupazione statunitense, furono proibiti gli studi sul nucleare e occultati gli effetti di Hiroshima e Nagasaki sugli hibakusha (被爆者, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici).
Il primo punto di svolta si verificò il 1° marzo 1954, quando il peschereccio Daigo Fukuryū Maru fu esposto al fallout radioattivo del test nucleare statunitense “Castle Bravo” presso l’atollo Bikini. È bene ricordare che nel momento della detonazione, i pescatori erano fuori dalla “zona di pericolo” indetta dal governo americano, ma un’esplosione fuori scala rispetto ai pronostici e forti venti fecero arrivare le polveri, ribattezzate in seguito shi no hai (死の灰, polveri mortali), fino all’imbarcazione.
Tutti i membri dell’equipaggio soffrirono di malattia acuta da radiazione, ma l’unico a morire, il 23 settembre dello stesso anno, fu l’addetto radio della crew, Kuboyama Aikichi. Tra i membri, ci fu anche chi leccò le polveri e le ingerì, Ōishi Matashichi. L’uomo, miracolosamente si salvò e, in seguito, divenne anche un attivista anti-nulceare.
Questo incidente e l’immissione di pescato contaminato al mercato di Tokyo il 14 marzo, contribuirono all’aumento di consapevolezza da parte del popolo riguardo i rischi del nucleare.
Il 1959 è stato anche rilasciato un film che narrava gli eventi dello sfortunato peschereccio.
Il Giappone diviso tra ambiguità e contraddizioni
Con l’avvento della Guerra Fredda, (la crescita della Cina comunista e la Guerra di Corea) si modificarono gli equilibri geopolitici anche in Asia orientale e il Giappone divenne un prezioso alleato per gli Stati Uniti, che trovarono necessario introdurre l’energia nucleare nell’arcipelago, un’impresa non semplice per ovvi motivi.
Ciò avvenne attraverso il programma portato avanti dalla International Atomic Energy Agency, ovvero il sopraccitato Atoms for Peace.
In questo periodo, in Giappone, nacque un’organizzazione conosciuta come villaggio nucleare (原子力村), un network di politici, burocrati, scienziati, media e imprese che garantì la creazione di strategie di propaganda pro-nucleare, che divennero tema centrale nelle agende politiche degli anni ’50.
Il MITI (Ministero del commercio internazionale e dell’industria, che dal 2001 in poi cambiò il suo nome in METI) ne enfatizzò il potenziale benefico per un paese insulare senza riserve di petrolio, e come avrebbe potuto anche salvare lo stile di vita rurale, minacciato dalle migrazioni di massa verso le grandi città e dalla depressione economica.
E le armi nucleari?
L’era atomica del Giappone fu anche caratterizzata dalla ripresa del discorso riguardo le armi nucleari, come conseguenza naturale.
A partire dal 1967, sotto il governo del primo ministro Satō Eisaku (il secondo con il governo più longevo dopo quello di Abe Shinzō), si adottarono i “3 principi non-nucleari”, che gli valsero anche il premio Nobel per la pace del 1974: “持たず、作らず、持ち込ませず” “non possedere, produrre, introdurre armi nucleari nel paese”.
Tuttavia, oggi sappiamo che, Okinawa, all’epoca ancora sotto controllo statunitense, ospitava armi nucleari, fatto sistematicamente ignorato da un governo pienamente consapevole dello stato degli affari.
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